Il diario di Romain Rolland

Il diario di Romain Rolland Il diario di Romain Rolland Quantunque consti di quasi duemila pagine, questo Journal des années de guerre: 1914-1919 di Romain Rolland (Parigi, Albin Michel ed.) non è completo: frequenti interruzioni, e confessati tagli nelle citazioni, 10 rivelano esplicitamente. Spegnendosi il 31 dicembre del 1944, . Romain Rolland aveva disposto un decennio d'intervallo fra la sua scomparsa e la stampa integrale del volume, e preparata l'edizione parziale che oggi vede la luce. E' incerto tuttavia s'essa sarà seguita da quella definitiva. Giacché troppo minuzioso e noiosamente documentario, è il testo; nè sembrano superabili le reticenze di parecchi dei chiamati in causa. A dire il vero, il paziente lettore rimane, in conclusione, un po' deluso, e propenso a far proprio il giudizio che Rolland dava del critico danese George Brandes: «J'ai toujours été surpris de sa réputation d'universalité: c'est de la poudrc aux yeux; il ne va à fona" nulle part. Mais il est vrai que — sinon l'aboutissement — du moins les directiòns sont universelles ». Ignoro se le nuove generazioni leggano Jean Cristophe, ristampato anche recentemente. Ma quel lungo romanzo delVeducation sentimentale di un musicista tedesco in Francia, fu uno dei breviari della generazione che il 2 agosto 1914 senti squillar a martello le campane della mobilitazione generale; e la moda Romain Rolland corrispose all'odierna per Jean-Paul Sartre o per Gide. Vago è il ricordo del suo Teatro della Rivoluzione: Le 14 juillet, Danton, Les loups, ecc.; più vicine a noi rimangono le biografie di Michelangelo, Tolstoj, Péguy; ancor si ricorda il titolo: Au dessus de la mèlée delle sue prose durante la guerra del '14-18, mentre lo pseudorabelaisiano racconto Colas Breugnon è dimenticato. Sembra che i'cultori di musica abbiano avuto caro Romain Rolland: non certo io giudicherò la sua Vie de Beethoven. Il Journal mi pare invece utile per rendersi conto di che cosa fosse un neutralista del '14, e giudicarlo. Se dovessi caratterizzare Rolland in due parole, penso che la migliore definizione, sarebbe: un discepolo di Tolstoj. Però un discepolo più gracile, più stanco, meno umano. Nel grande russo — rinvio alle stupende notazioni di Gorkij, ai frammenti autobiografici, alle ultime novelle — ci furono sino alla fine un vigor di sangue, una potenza di artista, una violenza di passioni, che Romain Rolland neppure immaginò, pallido idealista, chiuso in una stanza d'albergo svizzera, o a riempire schede negli uffici della Croce Rossa, cullato dalla mamma e dalla sorella, intento a legger le lettere che gli arrivavano, a conservarle compiacendosene, a rispondervi, mentre la bufera divampava. Il vangelo di Tolstoj s" di apocalissi, la di lui fuga in punto di morte, di rivolta estrema; il russo combatte in patria le autorità costituite, non ha paura di esser chiamato anarchico, accusato di abbattere le colonne della so cietà. Rolland sta fuori, non dentro la mischia, si proclama estraneo alla politica — però ne discute, e avventa giudizi — cer a di tener la bilancia fra la Francia dov'è nato, e la Germania sempre spirituale sua guida è anglofobo finche non scopre delle anime gemelle nei labouri sti obbiettori di coscienza, wil soniano ingenuo e stupito, gelo so di Barbusse che rivaleggia con lui in pacifismo suscitando 11 gruppo Ciane. Solo verso il suo Paese resta tiepido: Clemenceau, che lo salva e lo porta alla vittoria, diventa la sua be stia nera. La guerra era scoppiata all'improvviso. Narra Rolland che il suo conoscente conte di Fitz James assisteva quella sera Bayreuth al Parsifal. Le truppe avevan presentato le armi al principe ereditario, il primo atto era finito. Nell'intervallo, si avvicinò a Fitz James la bimba della sua portinaia, vestita ancor da paggetto per il Graal, dicendogli: — C'è la guerra! — Dove? In Francia? — Dappertutto — Lo spettacolo continuò fra l'emozione generale. Fuori cominciavano i clamori delle mar eie militari. Fitz James e la moglie presero il primo treno, e gli amici tedeschi li accompagnarono alla stazione. Romain Rolland era in Svizzera, a Vevey e con templava il paesaggio: profumo di glicine, luccichio di stelle: « C'est dans cette paix divine et cette tendre beauté que les peu ples d'Europe commencent le grand éporgement » Di chi la colpa? Quanto do veva ripetersi nel 1939 nnn sem bra abbia ispirato al nostro au tore serie riflessioni e desiderio di ragionevoli rettifiche. La tesi ch'egli sostiene nel Journal rende infatti responsabili in primo luogo la Russia e in secondo l'Inghilterra: la Germania vie buona terza, e Sir Edward Grey, per la sua indecisione, oscura la fredda decisione del Kaiser. Spulciatore di testi sovente inutili, perditempo in mille lettere insignificanti, Romain Rolland sembra abbia ignorato la capitale testimonianza dell'ambascia¬ tontoeLtacepncgmdgAGedmtàintocdgbutla«besBp—ItbmslvqtgcdSccdsfgdsJrdralmsPPdcuRsrstssGsmpgJlcl a o l a e z e l i a r a i d o : t e o si no o y, la r. ure d ia¬ tore Cambon il quale attendeva, nell'agosto 1914, fremente, il voto del Parlamento inglese per esser sicuro dell'intervento di Londra — mai un ministro britannico, avrebbe osato dare per certa la dichiarazione di guerra prima della votazione ai Comuni —; nonché la deliberata successiva trascuratezza, da parte germanica, nell'estate 1939, del monito inglese che l'invasione della Polonia avrebbe causato la guerra, come infatti avvenne. Affascinato dalle chimere di una Germania ideale, ci voller mesi e mesi perchè egli si accorgesse del militarismo prussiano e ammettesse l'esistenza delle atrocità in Belgio e in Francia. Subito invece notò quanto di declamatorio lo stato di guerra produceva nei discorsi e nella stampa, di spurio conteneva ogni propaganda; e il risveglio degl'istinti brutali determinati nella natura umana, dagli appetiti scatenati. La parte più curiosa ed attraente del Journal è nella sfilata dei personaggi. Anzitutto, i « vociarli » laudatori, di punto in bianco diventati critici o nemiThovez e Papini, Salvemini e Marinetti; poi i vecchi avversari coriacei e tracotanti, da Barrès a Maurras, da Souday al primo marito di Colette, Willy — ribattezzato Willy Goujart. Indi le comparse, dalla grassottella Margherita Sarfatti al rabelaisiano e barbuto padre Semeria (il quale, « conciliando la sua religione con gli interessi e le passioni umane » lo canzonava: — Eh, quant'è" idealista questo caro Rolando! —) mentre padre Gemelli compiva (pagina 576) un « ignoble appel au crime » e in penombra s'intravedono i modernisti don Vercesi don Brizio. Poi i musicisti, Strawinskij, Debussy; i politicanti russi capeggiati da Lunaciarskij. C'è l'autore di Quo vadis? Sienkievicz, la figlia di Dostoevskij, Thomas Mann, allora frenetico nazionalista; Einstein, già meditabondo, Stefan Zweig disperato pel crollo dell'austriaca douceur de vhre. Romain Rolland ripudia nel Journal l'umanesimo dei Tharaud, le delicatezze e squisitezze di Debussy, deplor" la noncu ranza di Anatole France. Egli aveva cominciato nei Cahiers de la quìnzaine la sua fortuna; la morte in battaglia di Péguy lo scuote, però non lo converte Più volte torna sul destino di Péguy, sulla devozione profonda aliar patria, sul sacrificio di cui lo scrittore era presago. C'è una frontiera invalicàbile fra Rolland e Péguy: il primo resta Au dessus de. la mèlée, lavora per una pace di compromesso, non capisce che solo l'abbattimento della casta militare prussiana può essere risolutivo, la sconfitta militare persuadere la Germania del fallimento della sua impresa di dominazione mondiale. Il secondo ci appare ìggi ancora come l'immagine più alta del poilu francese del, 14, un'anima candida, burbera generosa. Per usare un'espressione volgare, il Romain Rolland del Journal si mostra invece nè carnè, nè pesce. Il suo individualismo è esclusivamente egoistico: fisso nella convinzione di possedere la verità, Rolland teme di esser tacciato d'anarchico, limita la sua simpatia « ai socialisti liberi » tipo Liebknecht, si scopre delle affinità con gli orientali, non sente i legami della terra, della razza, la forza delle tradizioni culturali francesi. Il misticismo utopistico tolstoiano, è ancora e sempre squisitamente russo; in Romain Rolland — che non aveva una goccia di sangue tedesco nelle vene — avverti soltanto l'amore per le "ebbie germaniche, un romanticismo più ideologico che letterario. Di qui le violentissime antipatie, le scomuniche piovute sopra Au dessus de la mèlée da parte di chi istintivamente ragionava da paysan, come Péguy, sentiva di doversi difendere da un tentativo di dominazione che, riuscendo, avrebbe messe) per secoli l'Europa sotto tallone tedesco; e si batteva per salvaguardare i principi delti grande rivoluzione, 1*89. Meschinamente, Rolland attribuiva gli strali che su di lui piombavano, a ge'osie letterarie parigine, a vendette ebraiche per certi capitoli satirici di Jean Cristophe. Non s'accorgeva che al di là degli odi e dei rancori di qualche pennaiuolo, c'era davvero l'insurrezione della coscien7i popolare contro il rifugiato in Svizzera mentre la Francia era invasa, l'avversione per l'uomo che non era corso a difendere le frontiere del suo paese, che continuava ad arrampicarsi sui vetri per sostenere che Francia e Inghilterra, col loro spirito aggressivo, avevano spinto la Germania alla guerra! Se si riapre, dopo il Journal, la Vie de Tolstoj, si comprende subito. che Rolland dovette essere ossessionato dalla figura del suo grande maestro, ansioso di ripeterne le prove, di impersonare la « coscienza umana », la Verità col " maiuscolo. Nei momenti di dubbio, e di crisi, però ammetteva di esser un 1 fuoruscito » dalla società, e certo il suo moralismo provinciale lo rendeva inadatto' a ragionar di politica (se ne occupava da un punto di vista «spirituale »! ), facilmente scandalizzabile; tuttavia illuso, ambizioso, settario. Morbosamente idvrnddpluJill'PdadslifiTuetpcda idealista, si scagliava contro i rivali; a disdoro di D'Annunzio ricordava che certe dame romane, in una fiera di beneficenza descritta nel Piacere, vendevano dei sigari dopo averli tenuti un po' sotto l'ascella umida. Ho voluto confrontare la frase del Journal col testo del romanzo: il secondo è più sobrio, limita l'episodio a una sola persona. Piccola ma persuasiva prova delle visioni allucinatorie, della ambiguità di Romain Rolland, del suo temperamento di adolescente ombroso, patetico e malinconico, perpetuatosi sino alla fine senza toccare la virilità. Tolstoj era invece un uomo, e un uomo sano per cui la guerra e l'amore restano fenomeni naturali. Si era battuto a Sebastopoli, e: «Io fui insaziabile», confessava a Gorkij. Tutta la differenza è qui. Arrigo Cajumi ainiiniliiimiiiiiiimimniiiMiimiiimniiMim I due fratellini ebrei Robert e Gerald Flnaly che la madre adottiva Antolnette Brun ha nascosti In Francia per non consegnarli alla zia che II ha reclamati da Tel Aviv iminniiiMiiiiiniiMiiimiiH