SULLE TRACCE DI ANTICHE TRAGEDIE GRECHE L'incantevole della ricerea romanzo areheatogiea di Vittorio Gorresio

SULLE TRACCE DI ANTICHE TRAGEDIE GRECHE L'incantevole della ricerea romanzo areheatogiea SULLE TRACCE DI ANTICHE TRAGEDIE GRECHE Una visita di De Gasperi a Micene - Il bagno dove fu ucciso il gran re Agamennone e la sensazionale scoperta di Schliemann - Tesori d'inestimabile valore - Un'aurora di giustizia attesa da tremila anni (Dal nostro Inviato speciale) Micene, gennaio. A destro di De Gasperi andava il professore Papadimitriou, un archeologo di Atene, ed alla sua sinistra Doro Levi, professore anche lui, anche lui archeologo, e direttore della scuola archeologica italiana di Atene. Invoce Papadimitriou è direttore del Museo archeologico di Atene, o per lo meno vi ha il suo ufficio, che è un quartier generale. Questi archeologhi, difatti, sono persone battagliere, per l'abitudine che hanno, più e ancora meglio che gli storici, di fare, come dice il Manzoni, illustre guerra contro il tempo, togliendo dalle mani del gran vecchio i millenni che sono suoi prigionieri, e anzi fatti cadaveri, per richiamarli in . Dito e passarli in rassegna e schierarli in battaglia nuova-, mente. Dato che battono davvero la campagna, e - comandano squadre bene armate — vanghe, picconi — e si orientano, come i generali sulla carta topografica, sui libri dei poeti per ripercorrere gli itinerari dell'esperienza umana, eccoli pronti a polemizzare, come bravi ufficiali coscienziosi dello stato maggiore. De Gasperi, fra i due, non sapeva decidere a chi doves¬ L'incantevole della ricerea romanzo areheatogiea se dar retta. Doro Levi dirige scavi a Creta ed è persuaso della derivazione della civiltà micenea da quella dell'isola. Il professore Papadimitriou segue una scuola più recente, chiamata elladica, dalla quale si afferma che Micene è invece autoctono prodotto degli aborigeni continentali. Un nuovo capitolo Probabilmente questi elladici sono il mistero del quale il secolo che corre ci riserva la scoperta, compiutamente, perchè si aggiunga un capitolo nuovo, anche nel nostro secolo, all'incantevole romanzo dell'archeologia. Ma sì capisce come De Gasperi, visitando Micene, si sentisse in imbarazzo tutte le volte che Doro Levi gli diceva a sinistra: « origine cretese >; e Papadimitriou da destra correggeva: « pardon, elladica ». E, ciò dicendo i professori, i loro sguardi si incrociavano, poiché ognuno dei due si protendeva, davanti al petto del Presidente, a guardare l'altro: ed a tutti e due, comunque, sorrideva De Gasperi. tornato ad essere, come negli anni del suo servizio alla Biblioteca Vaticana, amatore curioso di questioni erudite. Era l'ultimo giorno della sua permanenza. Il dovere politico compiuto nel corso MllllllMII lllUIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIItllMÌIII delle conversazioni con il re, con Papagoa, con il ministro Stephanopoulos gli dava pace alla coscienza; la noia della prospettiva di riprendere in Italia certe squallide lotte in Parlamento lo induceva a godere più intensamente che potesse dell'estrema vacanza. Ed è per questo che mostrava di stare al gioco dei due dotti, e ad ogni pietra che gli insegnavano: « cretese t », domandava a Papadimitriou; o: « elladica t », rivolto a Doro Levi, per provocare con amabile ironia tanto l'uno che l'altro. E certo è che il giorno dopo, nel salutare i giornalisti all'aeroporto Ellenikon e sentito che alcuni rimanevano in Grecia, disse agitando il cappello largo, e sinceramente: « Beati voi che 10 potete. Confesso che vi invidio ». Questo archeologico, difatti, è un bacillo che ha presa, una presa immediata, soprattutto in terreni che in qualche modo siano stati predisposti da una cultura idoneo, perchè sovvengono i ricordi dell'Iliade, dell'Odissea studiate a scuola, delle tragedie dei poeti che ascoltammo nei teatri all'aperto di Siracusa e Tripoli, o al « Quirino > di Roma nell'interpretazione di Gassmann per la regia di Luchino Visconti. Perciò al ritrovarsi sulla Rocca di Micene si guarda alle montagne che circondano l'Argolide, si scruta il mare in direzione di Nauplia, ci si domanda: « Oreste, da che parte è arrivato f E il re degli uomini Agamennone, chi è stato il primo, e da dove, a vederlo T » Di Oreste, la signora che ci accompagna mostra la via che scelse per fuggire dalla reggia nefanda. Non dalla Porta dei Leoni che ne era l'ingresso principale, ma da un'uscita verso oriente, quasi segreta. Pare che fosse primavera, quel terribile giorno; tutta l'Argolide doveva essere allora ricoperta di fiori, sicché è fatica in questo inverno gelido, con questa neve che ci imbianca le montagne visibili, immaginare quei colori e lo spettacolo che aveva Oreste innanzi a sè. Pure, il cammino che ripetiamo con orrore religioso, questo fu il suo cammino, e nel discendere le pietre sdrucciolevoli incontro ai prati dei pastori, sorge lo stesso anelito di fuga. Via, via da queste pietre angosciose, verso Delfo, ad Apollo, per fuggire le Erinni. In alt ', è ancora visibile il bagno di Agamennone, dove 11 gran re fu ucciso. Per disgrazia una parte del terreno è proprio qui franata molti secoli fa trascinando le mura nel letto di un torrente sottostante; cosi è rimasto poco, di quel bagno, ed è rimasto poco anche di quello di Clitennestra, che gli era adiacente -e nel quale sappiamo che la regina si era andata a vestire delle porpore pizie per accogliere il marito istigatore della figlia al suicidio, e per ucciderlo. E tappeti di porpora avevo fatto stendere sulla «■. oda che sale verso la reggia, questa medesima che percorriamo fra sterpi e sassi. La via di porpora In verità, Agamennone esitava a calcare quelle porpore, « perch'io, mortale, — diceva a Clitennestra — incedere su lussuosi screziati drappi non so senza timore ». Poi gli venne lo scrupolo, più umano, di' sciuparli coi rozzi calzari della guerra. « M'è vergogna dar guasto alle ricchezze - della mia casa, minando i drappi comprati a peso d'oro ». Ma la moglie insisteva, gli vantò le ricchezze della casa, e alla fine Agamennone cedette: c Orsù — le disse — muovo alla reggia sulla via di porpnray. Mosre, difatti, per non uscirne che da morto, dopo la sosta nel tragico ba'gno, s din bene Eschilo oh» quella via di porpora era come un fiume di sangue, che chiamerà vendetta. Subito, infatti, sul momento della strage, gli amanti sanguinari, Egisto e Clitennestra, furono presi dallo sgomento. La sepoltura di Agamennone, Cassandra, Eurimedonte e dei loro compagni avvenne in fretta, secondo Enrico Schliemann che ne scopri le tombe settant'annt fa. Trovò corpi coperti dt gioielli e d'oro, forniti di armi preziose, ma potè stabilire che la combustione d*i cadaveri era stata affrettata, e brandelli di carne pendevano ancora dalle ossa; e che fossero cadaveri di assassinati, Schliemann non dubitava per certe contrazioni che credette vedere nelle bocche. E scrisse anzi che apparivano « gettati come carogne di animali impuri in miserevoli fosse ». Maschere d'oro Forse i tesori vi erano stati accumulati dagli assassini solo per un rispetto alle consuetudini, pensava Schliemann, e applicate le maschere e apposti i pettorali d'oro sui corpi dei defunti percìtè ne fossero protetti, come voleva la tradizione, dalle influenze esterne. Quando cavò col suo coltello lo strato di argilla che li copriva, le teste ressero per qualche ora prima di andare disfatte in polvere. Per qualche ora Schliemann contemplò in volto il creduto Agamennone, poi gli rimasero le maschere d'oro riproducenti fisionomie « cosi diverse dai tipi ideait22ati degli dèi e degli eroi da far ritenere, senza possibilità di dubbio, che ciascuna di esse riproduceva il volto stesso del defunto ». Telegrafò, esultando, al re di Grecia: « Con gaudio singolare annuncio a V. M. di avere scoperto le tombe che la tradizione indica come quelle di Agamennone, Cassandra, Eurimedonte e compagni uccisi da Clitennestra e dal suo amante Egisto ». La conclusione sembra il rapporto di un commissario della « Mobile » al questore per informarlo sui risultati delle indagini compiute su un fattaccio. Poi Schliemann fece l'inventario dei tesori raccolti e gli servirono duecento lunghe pagine fitte: « Tutti i musei del mondo riuniti non posseggono nemmeno un quinto di attesto valore ». Elencava: cinque diademi d'oro puro, foglie d'alloro e corone d'oro, nella tomba numero 1, su ciascuno dei tre cadaveri che vi sono contenuti. Settecento foglie d'oro, nella tomba delle tre donne, con ornamenti di animali, fiori, seppie e farfalle. Gioielli con figure di leoni e di altre bestie, grifi, cervi giacenti, donne con colombe. Una corona con trentasei foglie d'oro. Croci e rosette d'oro, spilli e fermagli da riccioli, cristalli di rocca, fibbie di agata, gemme lenticolari di sardonica e di ametista. Scettri d'argento e d'oro con impugnature di cristallo di rocca, coppe e scatole d'oro, ornamenti di alabastro, anelli a sigillo, bracciali, fasce frontali, cinture, 110 fiori d'oro, 68 bottoni d'oro liscio e 118 lavorati. Una seppia d'oro. Altri 130 bottoni. Scrivevo a giorno terminato, tutta la sera e parte della notte, nel suo fantastico accampamento circondato da fuochi, i primi fuochi, stando ai suoi calcoli, che avessero illuminato l'Acropoli di Micene da SHi anni, fuochi di guardia come quelli che avevano annunziato a Clitennestra ed al suo amante l'arrivo di Agamennone. Quello che Schliemann non sapeva, nonostante i suoi calcoli e le sue supposizioni condotte sulla scorta dei poeti, è che le tombe non erano quelle di Agamennone, né dell'auriga Eurimedonte, nè della < gioita > prigioniera Cassandra. Erano certo tombe di re, ma di altri quattro secoli più antichi di Agamennone. Non ha molta importanza, o, meglio ancora, non ne ha proprio nessuna. Simili errori di un archeologo vengono poi corretti per il bene della scienza da altri archeologhi in polemica di scuole e di tendenze, rivolte ad affermare, per esempio, la preminenza dei cretesi sugli elladici o degli elladici su Creta. Cosi polemizzando si troverà magari quella iscrizione bilingue che è il sogno, oggi, degli archeologhi, per decifrare l'alfabeto cretese. Anzi, secondo Doro Levi, si potrebbe trovare proprio a Micene, e cosi vincerebbe la sua tesi contro la tesi innovatrice di Papadimitriou. Ma per noi, fuori della scienza, non ha importanza neppure questo. A noi basta sapere che Agamennone non era un mito, ma fu un uomo vivo, che qui arrivò sul suo carro di guerra per la strada da Tirinto e da Argo, che qui entrò per la Porta dei Leoni, a piedi scalzi sui tappeti di porpora, avviato alle sue stanze che erano quelle che descrive Omero — che oggi vediamo — perchè gli succedesse quanto narrano Eschilo, Sofocle ed Euripide — che qui ci è dato controllare — percorrendo la reggia fra il Megaron, il bagno e la porta segreta donde fuggì Oreste verso Delfo. Se la. evidenza topografica soggioga, ancora meglio incombe il monito della storia di sangue, dalla quale una aurora di giustizia doveva sorgere sul mondo. Era già la speranza di tremila anni or sono, « perchè messe di morte ha il campo della colpa — e nuova audacia, nuova audacia genera — nelle case degli empi>. Vittorio Gorresio iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiititiiiiiiiiiiiiiiiiiHiii

Luoghi citati: Atene, Grecia, Italia, Roma, Siracusa, Tripoli