Lo zio di Wilma risponde con prudenza ad una fitta serie di domande del P. M. di Francesco Rosso

Lo zio di Wilma risponde con prudenza ad una fitta serie di domande del P. M. Per un momento è parso che il giovane Giuseppe Montesi assumesse il ruolo di accusato Lo zio di Wilma risponde con prudenza ad una fitta serie di domande del P. M. Il teste dice che la ragazza probabilmente non amava il fidanzato e ripropone l'ipotesi del suicidio nel mare di Ostia - Afferma che nel tragico 9 aprile egli lasciò l'ufficio alle 20, ma i suoi colleghi dicono alle 17,30 quando la nipote usciva di casa - L'avv. Cassinelli rileva che il principale accusatore di zio Giuseppe è latitante, colpito da mandato di cattura: era un conoscente, forse amico, di Piccioni - Oggi confronto fra la Caglio e l'ex-questore Agnesina (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 28 marzo. Oggi, anche se per un solo momento, « zio Giuseppe » ha veramente avuto paura di trasformarsi da testimone in accusato. Afferrato dalla tenaglia di alcune domande implacabili, egli tentava di spiegare perché non può rendere conto del < vuoto di ore » che si riscontra nella sua giornata del 9 aprile 1953, proprio mentre sua nipote Wilma andava verso una morte che si nasconde dietro un mistero sempre più fitto, e si sentiva cadere sulle spalle, pesanti come macigni, le parole del Pubblico Ministero: «No, ciò che lei afferma non è possibile. Non mi convince». In quelle condizioni, qualsiasi altro avrebbe tremato, anche se ancor più palesemente estraneo alla vicenda di lui. < Zio Giuseppe > ha avuto paura, lo si vedeva dal pallore freddo e umidiccio del volto; dal frenetico, quasi angosciato gesto di inumidirsi le labbra secche, ma ha saputo controllarsi e uscire, per quanto fiaccato, senza troppi danni, dal primo scontro che ha avuto con il rappresentante della pubblica accusa e con l'ag guerrito collegio dì difesa. La prova, però, non è anoora terminata, anzi si potreb be dire che la deposizione di oggi è soltanto un saggio di ciò che « zio Giuseppe > dovrà ancora affrontare dopo che saranno interrogati i testimoni legati alla sua posizione; tuttavia si può fin da ora pensare che la « operazione Giù seppe > non avrà quegli svi luppi sensazionali che taluni prospettavano e se tutto finirà più o meno quietamente, il merito sarà dell'abile condotta seguita dal singolare testimone, il quale, caso altrettanto singolare, è venuto in aula con l'assistenza di un noto legale romano. Tale intelligenza va ricercata soprattutto nella ovattata eleganza con cui « zio Giuseppe > ha fatto scivolare nuovamente sul tavolo del Tribunale l'ipotesi del suicidio. Non ha detto une frase precisa, Intendiamoci, ma descrivendo l'atteggiamento di suo fratello, della cognata, della nipote Wanda successivamente alla disgrazia, riferendo le loro frasi e suppos'zioni, ha aperto una profonda breccia nelle mura di casa Montesi, attra verso cui, volendo, si possono cogliere significative ammissioni. Vista sotto questa angolazione, la deposizione di Giuseppe Montesi potrebbe essere considerata come il tentativo di disincagliare la singolare e complessa vicenda dalle secche in cui ò finita, e darle una spiegazione logica, perché, se non è accettabile la tesi del «pediluvio», e se non'si riesce a provare che Wilma fu lasciata morire là dove fu trovata, è pure necessario ripiegare sull'ipotesi che la ragazza si sia uccisa in un attimo di scoramento, del quale non conosciamo le ragioni. Depone l'avv. Zegretti « Zio Giuseppe » ha abilmente manovrato perché l'attenzione dei giudici si rivolga a questa tesi. Lo ha fatto perché tale atteggiamento deriva da una sua intima convinzione, o soltanto per stornare da sé i sospetti che oggi, attraverso le parole del Pubblico Ministero, lo hanno investito con corposa evidenza? La risposta non è facile, soprattutto perohé « zio Giuseppe » non ha concluso ancora la sua comparizione e sarà meglio attendere* fino a sabato, quando sarà possibile inquadrare le sue affermazioni nella cornice di Ciò che diranno i testimoni. Ma prima che davanti ai giudici comparisse il giovane zio di Wilma, c'è stato abbondante margine per ascoltare l'acre deposizione dell'avv. Luigi Zegretti il quale, nominato difensore di fiducia di Anastasio Lilli, uno elei guardiani di Capocotta, imputato di falsa testimonianza, si è visto togliere il mandato poco tempo prima che incominciaste il processo a Venezia. L'avv. Zegretti doveva ripetere sclusivamente ciò che il suo cliente di allora, attraverso i suoi congiunti, s'era sentito consigliare dall'avv. Gerolamo Bellavista, uria serie di frasi che pare abbiano un vago sapore di subornazione. In altre parole, Anastasio Lilli sarebbe stato consigliato di addossarsi la responsabilità di avere aiutato il principe Maurizio d'Assia a trasportare, da Capocotta fin sulla spiaggia di Tor Vaianica, il corpo inerte di Wilma Montesi. E' una circostanza già abbondantemente discussa la settimana scorsa, durante una tempestosa udienza, al termine della quale l'avv. Bellavista, difensore di Montagna, chiamato in causa quasi come imputato, ebbe una crisi cardiaca che in ha tenuto lontano dall'aula alcuni giorni. Oggi, però, era presente, ma non è mai intervenuto nella deposizone del suo collega di togu, lasciando al prof. Vassalli il compilo di acclarare talune circostanze. La deposizione dell'avv. Zegretti è stata più lunga di quanto si supponesse, interca¬ lata da polemici interventi e commenti del collegio difensivo. Alla fine si è compreso che Anastasio Lilli lo ha esonerato dal compito di assisterlo perché temeva di dover pagare una parcella troppo elevata, preferendo rivolgersi all'avv. Bucciante che, a fianco dell'avv. Sotglu, difese Silvano Muto in quel breve e concitato processo che fu il prologo allo scandalo e all'attuale vicenda giudiziaria. Per quanto lunga e circostanziata, la deposizione dell'avv. Zegretti non ha portato elementi nuovi alla circostanza che già, con voce più diretta, avevano riferito 1 testimoni che avevano parlato con l'avv. Bellavista, cioè i cognati di Anastasio Lilli. Il penalista romano ha insistito con acre polemica nei confronti del suo collega, mantenendosi in una posizione di pungente ironia che provocava improvvisi, irosi rossori all'avv. Bellavista, il quale non voleva intervenire per non subire ancora un attacco cardiaco o di fegato. L'alibi di Piccioni Licenziato il testimone dalla insinuante sottigliezza, il presidente ha letto un espresso giuntogli da Parigi, in cui Felicién Marceau e sua moglie Bianca Zingone, confermando che la sera del 29 aprile furono davvero a cena in casa di Alida Valli con Piero Piccioni; esprimono però il rammarico di non poter venire a Venezia per deporre. Poiché si tratta di appurare se l'imputato era a cena con l'attrice e con lo scrittore francese, oppure a colloquio con Montagna e Pavone al Viminale, come afferma la Caglio, i difensori hanno insistito perché i due testimoni siano citati, ma poiché nulla si può fare cont.ro cittadini stranieri, il Tribunale ha acconsentito che siano citati per via diplomatica. Come si vede, le affermazioni di Anna Maria Caglio faranno muovere anche gli ambasciatori, figure ancora nuove alla vicenda Montesi. Il campo era cosi sgombro per la revisione della «operazione Giuseppe », come si definisce ormai la posizione in questa causa del giovane zio di Wilma, ed ha dato l'avvio la comparsa -del dott. Arturo Musco, questore di Roma, che si interessò particolarmente alle indagini dopo che Giuseppe Montesi scrisse una specie di memoriale pagatogli centocinquantamila lire, per il settimanale Oggi. quel memoriale « zio Giuseppe » dimostrava troppo interesse a sostenere la tesi della disgrazia, e ciò fu sospettato come un tentativo di allontanare qualche ombra fastidiosa dal proprio capo. Il questore Musco andò a cercare nella collezione dei giornali e trovò una corrispondenza di Luciano Doddoli, che già il 16 aprile 1953, esattamente il giorno in.cui Wilma fu sepolta, « zio Giuseppe » rivelava delle preoccupazioni e dei timori eccessivi. Fece indagare più a fpndo, sia al Ministero del Tesoro dove Giuseppe Montesi era impiegato, sia alla Tipografia Casciani, dove il giovanotto impiegava le ore pomeridiane in lavori supplementari e gli scappò fuori un ritratto sorprendente. Amici e compagni di lavoro, descrissero zio Giuseppe come libertino, donnaiolo, sregolato. Gli furono riferite alcune frasi che lo misero sempre più in sospetto. Una, ad esempio, colpì singolarmente il questore. Parlando con un amico, «zìo Giuseppe » pare abbia detto: « Che c'è di strano se uno zio fa all'amore con la propria nipote? Basta che ne valga la pena». Da una compagna di lavoro, seppe che « zio Giuseppe » telefonava a molte donne tra le quali a una che si chiamava Wilma. | Wilma andò a perlustrare gli argini del Tevere? Perché la madre suppose che la ragazza si fosse gettata in un pozzo? Perché pensava che si fosse nascosta in un convento di suore? Le frasi di < zio Giuseppe » passavano come un trapano le mura di casa Montesi e lasciavano scorgere una scena non così idillica come hanno descritto 1 familiari della ragazza. Si può davvero escludere che in quel pomeriggio non ci sia stato un litigio tra Wilma, la madre e la sorella? « Zio Giuseppe » lo lascia supporre, anche perché l'ipotesi del suicidio lo libera interamente dai sospetti, soprattutto se fosse accertato che Wilma è morta il 9 aprile. Ciò gli consentirebbe di trascurare il suo alibi, di non preoccuparsi di riempire quel « vuoto d'ore >, fra le 17 e le 23, che lo mette in serio imbarazzo. Se invece prevalesse la tesi dell'accusa, secondo cui Wilma Montesi è morta nel tardo pomerìggio del 10 aprile, egli non avrebbe più alcuna preoccupazione, quella giornata la trascorse intera accanto al padre di Wilma. Ma se questa tesi serve mirabilmente a Giuseppe Montesi, serve altrettanto miràbilmente a Piero Piccioni. Egli, com'è noto, afferma di essere stato ammalato dal 9 al 13 aprile, ma se si tiene conto che nel pomeriggio del 9, per quanto sofferente, egli era ancora in circolazione, si potrebbe supporre che sia andato con Wilma. E' però certo che il 10 aprile egli era a Ietto e non può essersi recato a Capocotta. Come è facile dedurre, attribuire la j morte di Wilma, se si sostiene che avvenne il 10 aprile, a Piccioni o a « zio Giuseppe » è impresa ardua, entrambi hanno un alibi di ferro per quel giorno. Poiché da alcune testimonianze, risulta che Giuseppe Montesi chiedeva molti permessi per recarsi ad Ostie, e a Tor Vaianica, poteva sorgere il dubbio che egli conoscesse molto bene la strada per quelle località e che non abbia esitato a portare la nipote nella gita che non ebbe ritorno. « Zio Giuseppe » ha dichiarato che sapeva andare ad Ostia, condusse anzi suo fratello ed il nipote Sergio, dopo le dichiarazioni .della dottoressa PassarelII, a fare una piccola indagine, ma ignoravi quasi la strada per Tor Vaianica e Capocotta al punto che, quando portò il fratello e 11 fidanzato dì Wilma, dovette informarsi più di una volta sul percorso. Presidente — E' vero che aveva ad Ostia un piccolo «pied-àterre »? Teste — Questa è una fandonia. Presidente —- Quali sono attualmente i rapporti con suo fratello? Teste — Ci siamo nuovamente guastati dopo uno scatto di gelosia di mia cognata che suonava offesa per la nostra famiglia. Presidente — Suo fratello ha dichiarato che vi siete guastati perché lei dava cattivi consigli a suo nipote. Teste — Mio fratello ha pre30 sul serio una mia frase scherzevole; è capitato che portassi Sergio con me e la mia fidanzata a qualche passeggiata domenicale, ma niente di men che onesto. Presidente — Perché si è fat to portare lo stipendio di apri le in un bar anziché andare a ritirarlo aila tipografìa Casciani? Teste — Per non rispondere alle domande che certi) mi avrebbero fatto su mia nipote Presidente — Ha comperato lei l'abito da sposa con cui fu rivestita Wilma? Teste — No, lo ha pagato mio fratello Alberto. Io mi sono limitato ad accompagnare mia sorella al negozio per comperarlo. Fino a questo punto, la deposizione di « zio Giuseppe » era andata via senza intoppi grossi, il Presidente non si preoccupava di fare rilevare le contraddizioni fra ciò che il teste dice oggi e ciò che ha dichiarato in numerosi articoli, in interviste, e soprattutto davanti al Giudice istruttore, ma ha provveduto a ciò il Pubblico Ministero con una serie di fittissime contestazioni che hanno provocato a « zio Giuseppe > quel serpeggiante brivido di paura a cui abbiamo fatto cenno all'inizio. In un articolo, che ora rinnega in parte, egli scrisse che suo fratello Rodolfo telefonò per comunicare la scomparsa di Wilma verso le 21 del 9 aprile, ora in cui, stando alle sue affer- ! mazioni, « zio Giuseppe > dovejva essere a tavola con i famij l'ari. Egli, invece, non ricevet | te quella telefonata. Il testimo ( Tesfe — L'ultima frase, dove , è scritto che Wilma si è recata i ne ha dichiarato, ma senza troppa convinzione, che quei particolari furono scritti soltanto per dare maggior drammaticità all'articolo. P. St. — Lei afferma che in questo articolo c'è molta immaginazione, quali altri particolari, ad esempio, non sono veri? ad Ostia quasi per compiere un gesto di ribellione contro il padre. P. SI. — Ad u:: certo momento lei afferma che, essen- dosl trovato per un momento solo in macchina con Wilma, mentre la sua fidanzata era scesa per comperare sigarette, le disse: «Allora ti sposi», e Wilma le rispose: « Sì, mi sposo », ed aveva l'aria di dire < Ecco che devo fare ». Che cosa intendeva dire? Teste — Nulla di particolare, era una risposta naturale della ragazza che arrivata ad una certa età si sposa. P. M. — No, la sua risposta non mi convince, una ragazza che si sposa volentieri non dice: « Ecco che debbo fare ». La sera del 9 aprile, a che ora è uscito da casa? Teste — Verso le nove e mezzo per accompagnare la mia fidanzata. P. M. — Ed a quell'ora non avevano ancora telefonato dalla casa di suo fratello? Teste — Evidentemente no, perché diversamente sarei andato subito ad aiutarlo a cercare Wilma, P. M. — Signor Presidente, vuol contestare al teste che le deposizioni della madre di Wilma, deiia portinaia Roscinl, di buo marito, del colonnello Zinza confermano che la prima telefonata fu fatta alle 21, forse qualche minuto prima? Teste — Io so soltanto che quando sono uscito nessuno aveva ancora telefonato, tanto che la mia fidanzata Mariella Spissu seppe soltanto il giorno dopo che Wilma era scomparsa. P. M. — E' impossibile. Sua cognata ha telefonato ' dalla guardiola della portinaia alle nove, minuto più o meno. Teste — Affermo che quando sono uscito da casa dopo cena la prima telefonata non era ancora stata fatta. L'alibi del testimone P. M. — E' impossibile. Se lei è uscito con la sua fidanzata dopo le nove e mezzo deve aver saputo della prima telefonata, di qui non si scappa. In precedenza lei ha negato di essere uscito dalla tipografia Casciani nel pomeriggio del 9 aprile, ora che cosa sostiene? Teste — Penso di non essere uscito. P. II. — Lei sa che i suol colleghi della tipografa affermano il contrario. Teste — Lo so ma non riesco a giustificarli. In un primo tempo diedero buone informazioni sul mio conto. P. M. — Erano informazioni generiche, ma quando furono interrogati su circostanze precise hanno fatto altre dichiarazioni. Lei pensa che tale mutamento sia dovuto a qualche litigio con gli amici, o i superiori ? Teste — Negli ultimi tempi il direttore della tipografia dott. Franco Biagetti si rammaricava che fosse attribuita a Piccioni la responsabilità della morte di mia nipote. Per svuotare di interesse e di valore le accuse fatte dal dott. Biagetti, che si nasconde a un mandato di cattura, è stato dichiarato che egli è ami co di Piccioni, da qui il suo interesse a far convergere i sospetti sullo « zio Giuseppe ». La tesi è ardita, ma in questo processo tutto serve. Il momento più pericoloso per « zio Giuseppe» era trascorso, benché il Pubblico Ministero lo avesse toccato duro più di una volta, l'intraprendente e giovane zio di Wilma era uscito dal combattimento con qualche riserva di energia che gli è servita per completare e attuare il suo piano tattico. Mentre il Pubblico Ministero lo interrogava strettamente, egli aveva accusato la paura che gli serpeggiava in corpo, ma quando intese che il rappresentante della pubblica accusa aveva terminato, per il momento, di insidiarlo con domande troppo circostanziate egli respirò. La paura grossa era passata, gii restava un discreto margine di sicurezza per prepararsi alle altre battaglie e non si lasciò sfuggire l'occasione fornitagli dall'avv. Vassalli, difensore di Montagna, per tornare a battere sulla tesi del suicidio. Aw. Vassalli — In un'intervista all'JSjtropeo nell'ottobre nel '54 il teste afferma che Wilma era una ragazza di intelligenza limitata, che era quasi impossibile fare un discorso con lei, lo conferma? Teste — L'ho sentito dire in casa Quelle poche volte che l'ho veduta non fu facile avviare una conversazione. Non era certo molto espansiva. Avv. Vassalli — Lei riferisce in questo articolo anche del lungo svenimento a cui fu soggetta WilmaTeste — Mia cognata mi raccontò che la ragazza, dopo un itigio con un vicino, era svenuta, ed era rimasta incosciente per molto tempo. Avv. Vassalli — E' vero ciò che ha dichiarato in questo articolo, che a Wilma piacevano i bei vestiti, le calze di seta e aveva una grande cura della propria persona? Teste — L'ho saputo da mia cognata. Aw. Vassalli — E' vero che la sera del 9 aprile, quando arrivò in casa di suo fratello, trovò la cognata inginocchiata nel corridoio che, come fuori di sé, gridava: «Wilma, torna, ti perdonerò, farò qualsiasi cosa per te »? Teste — E' vero. Presidente — A che cosa si riferiva con quella frase? Testo — La mamma pensava che Wilma si fosse uccisa. P. if. — E lei non l'ha interrogata vedendola in quello stato? Teste — Cosa vuole, la poveretta faceva tutte le supposizioni. Pensò persino che fosse fuggita con un uomo e mi mandò dall'ing. Cavaldesi, a Rocca di Papa, per vedere se si fosse rifugiata da lui. Presidente — Le risulta che Wilma non andasse d'accordo con II fidanzato? Testa — Era un'impressione, nulla di più « Zio Giuseppe » aveva superato la prima, dura fase della sua deposizione, ma non l'aveva conclusa. Poiché dalle sue dichiarazioni sono emersi alcuni fatti chi devono es-^re chiariti, il Pubblico Minis.ero ha chiesto al presidente di citare nuovamente i portinai di via Tagliamento, i genitori di Wilma Montesi, ancora il colonnello Zinza, i nonni di Wilma, cioè un'altra discreta imbarcata di testimoni che dovrebbero comparire sabato prossimo. Come si vede il processo Montesi anziché esaurirsi continua a dilatarsi. Domani, intanto, torna alla ribalta Anna Maria Caglio per un breve duetto con il questore Vincenzo Agnesina. Poiché oggi l'avv. Zegretti e « zio Giuseppe » hanno assorbito quasi tutta l'udienza, sono rimasti ad attendere una decina di testimoni, tutti gli impiegati della tipografia Casciani, dove lavorava lo zio di Wilma, e il giornalista Fabrizio Menghini, il quale assicura di avere rivelazioni da fare su «zio Giuseppe». Francesco Rosso Giuseppe Montesi, li trentaduenne zio di Wilma, fra la fidanzata Mariella Spissu (a sin.) e la sorella Ida (Telefoto) Giuseppe Montesi sarà di nuovo Interrogato sabato (Tel.)