Piccolo vivere di Mario Gromo

Piccolo vivere VOLTI E ISTANTI DEL GIAPPONE Piccolo vivere (Dal nostro inviato speciale) Tokio, marzo. Ogni mattina, alle sette precise, comincia un ritmico palleggio di brevi tonfi smorzati. E se mi affaccio, su di uno spiazzo dietro l'albergo rivedo d « maestro ». Si è conciato proprio da maestro, con una tuta turchina, scarpe di tela bianca, guantoni di lana bianca, al collo un fazzoletto giallo, in capo un pentolino azzurro dalla visiera a punta. E' un quasi maestro di base-ball, vive la sua giornata su di un paio di lezioni -al mattino. Aspetta con noncuranza la palla, la raccoglie nell'incavo di cuoio come se acchiappasse una nocciolina, fa una sdegnosa piroetta su se stesso, e senza nemmeno donarle uno sguardo rilancia la palla al suo allievo. Non troppo forte, dosata in modo che l'altro sempre l'afferri, e si senta bravo, sia incitato a continuare nelle proficue lezioni, duecento yen ogni mezz'ora. A ogni presa dell'allievo il maestro gli sorride, gli fa un rapido inchino che si congratula, e poi ha un'altra piroetta e un altro rilancio, è anche questo un modo di sbarcare il lunario. E' quasi incredibile, quanti ve ne siano, di minimi, di ignorati. Nelle prode a terrazza il contadino sfrutta il dorso esterno di ogni gradone, su quella superficie quasi verticale sembrerebbe impossibile farvi attecchire qualcosa-, eppure, una piantina dopo l'altra, anche quella superficie è incisa da rughe e graffa, permetteranno a esili radici la vita di una breve stagione. E poiché la terra è poca, si trasformano in campi anche tratti di mare. Si coltivano le alghe come una strana, ondosa insalata. Danno il nari, lasciato a seccare sulla spiaggia sarà un ingrediente per innumerevoli zuppe, un contorno a un po' di riso bollito. E con quella del nori, la raccolta del pesce secco. Lasciata la minutàglia della pesca al sole, la si riduce in polvere, dicono che sia squisita, in palline di zucchero caramellato. E quando d'inverno, fra le montagne, il gelo tutto impietra per più di sei mesi, il montanaro trascorre lunghe ore di grigia penombra nell'intagliare cascami di legno. Allineava kokeshi su kokeshi, bambolette che poteva dare per un po' di miglio, e che sono ora insidiate da quelle prodotte da piccole industrie. E allora quei lenti giorni vedono, sotto il coltello paziente, nascere stecche per ombrelli ombrellini e ventagli, potranno ancora dare un po' di miglio. Ma è in città che il piccolo vivere quotidiano si aguzza ingegnoso, e si cefa quasi funivo Il « pittore » di lanterne di carta, il « calligrafo » di pìccoli avvisi da incollare alla soglia di una botteguccia, il tessitore di legacci di paglia per sandali, il venditore di chioccioline, di riso pressato, di salcicciotti di pesce e quegli uomini e quelle donne dal lungo sacco a purità, giungono ogni primavera dalla regione di Toyama, vanno di casa in casa a costituirvi un loro piccolo deposito di dokudéshi, pillole contravveleno, soprattutto per il mal di stomaco. Ripasseranno un anno dopo, saranno pagati a seconda del consumo avvenuto; e di nuovo lasceranno un loro piccolo deposito, da « regolarsi » la primavera ven tura. Quasi-farmacisti che vendono specifici desunti da animali, (il mal di capo è alleviato da ossa calcinate di scimmia, la febbre da polvere di pesce rosso). Ed è allora la volta dei mediconi, ce ne sono in molti quartieri della periferia; e le ricette si fanno sempre più infallibili: per nausee, un pizzico di zolfo sull'ombelico; per denti cariati, cenere di aghi di pino; per sogni angosciosi, patate dolci; per foruncoli, ali macerate di farfalla. E la panacea delle panacee, utile anche contro i ladri, è un unguento di lucciole, basta averlo provato una volta per non abbandonarlo mai più. Ma la figura forse più patetica è quella del massaggiatore cieco, non patentato. Lavora quindi di straforo. Giunge condotto da un ragazzetto, rigidamente si inchina a vuoto, esamina con i polpastrelli la parte malata, vi comincia i suoi cauti arpeggi, la circuisce e la blandisce, se riesce a infondervi un po' di sollievo potrà avere la speranza di essere chiamato anche domani, saranno altri cento yen. * * Le vie più popolose, di questo o di quest'altro « centro », offrono espedienti di un tono diverso. Il padrone di una taverna, che vorrebbe essere elegante, ha inalberato un'insegna, Salary man; perche sia ben chiaro che ci si può entrare, senza timore, anche se si è semplici salariati. Gli autisti di tassì, per , il loro buttarsi alla diavola, alla caccia del minuto e del cliente, sono comunemente detti kamikaze, cosi si chiamavano i pilotisuicidi dell'ultima guerra; e in taverne più o meno notturne lavorano come camerieri e chel- lerine, a ore, gli Arbeits-students, studenti e studentesse che ne ricavano quanto basti a mantenerli poveramente agli studi. Una delle riuscite più convincenti l'abbiamo scovata in uno « stabilimento » di sì e no dieci metri quadrati. A Tokio ci sono circa ventimila caffè, di solito vendono brodàglia. Ma all'inventore fondatore-proprietario de L'Ambre bisognerà riconoscere i suoi meriti. A una cantonata, e a un metro da terra, c'è la sua piccola insegna, con sotto un severo « coffee only ». Quella, però, e una cantonata quasi impercettibile, dà in un vicolo che non è nemmeno una strettissima calle, è come una fessura, una crcpa, larga un ottanta centimetri. Ci si insinua stringendo i gomiti ai fianchi, per non strofinarli lungo i muri. E dopo una ventina di passi si penetra nella bottega, poco più di uno sgabuzzino, sempre in una penombra violàcea. Ingegnosamente ritagliati o incastrati, tutti minuscoli, un banco con uno scaffale, un basso camino con dei fornelli, dei tavolinetti, e degli sgabelli, poco più di selle per bicicletta. Alle pareti alcune vecchie stampe, due riproduzioni di Van Gogh, mensolette con statuine arcàiche; e sul banco, in un canto, qualche libro d'arte. La messinscena è minima, ma si sente. E allo scaffale, in boccali sigillati, da farmacia, le varie specie di caffè, ogni boccale ha il suo cartìglio: Brazil e Venezuela, Perù e Salvador, Mexico e Guatemala, Haway e Uganda, Giava, Jamaica, Sumatra. Un po' di ogni specie è tostato ogni giorno; e lo si màcina poi all'ultimo momento, per ogni cliente. Questi esamina la « lista » dei caffè, corrispondenti ai boccali; può sceglierne una qualità sola, o una delle rnisture consigliate; e dopo un,quarto d'ora la moglie (una giapponesina davvero minuscola, proporzionata al locale) reca il frutto della fatica del marito, chino sui fornelli sono il camino. Reca una tazza che sprigiona un profumo denso, molle,- penetrante. E' un caffè quintessenziatò, da ristorare con quattro sorsi qualsiasi cardiaco; ed è una tazza davvero quasi preziosa, dal prezzo abilmente sostenuto, centocinquanta yen, quasi trecento lire. Nella botteguccia ci potranno stare dieci clienti, non ce ne sono mai di più; e ci sono quasi sempre, come rinnovati da un flusso pacato.-L'artéfice, il creatore de L'Ambre, intento ai suoi fornelli, mai se ne volge, la moglie gli passa l'ordine su di un fogliettino; e quello, senza parere, ha la bravura di ostentare, ma poco, oculatezze da farmacista, scrupoli da dosatore di essenze. E' per lui come un'alchimia, la preparazione della be¬ vanda; la moglie lo asseconda nel porgerla, reca il piccolo vassoio con una cautela peritosa, infinita; e una « preparazione » ci ha particolarmente colpiti. Entrando, avevamo scorto in un canto due clienti, già in una fidente attesa. Sfido, avevano ordinato due non semplici misture, e fredde, e con « bianco ». Fatta la dosatura dei chicchi, erano stati macinati; ne era venuto un caffè bollente; era-stato posto a raffreddare in un piccolissimo frigorifero; messo poi in uno shaker, con zucchero di canna e poche scaglie di ghiaccio, fu agitato dolcemente, lasciato riposare, di nuovo agitato, di nuovo a riposo. Versato infine in due coppe, se n'era destata un po' di schiuma. Con una spatoletta è stata tolta, deposta su un lembo di tovagliolo, con cautela, fino all'ultima bollicina; e poi, lentissimamente, è stato versato il <t bianco », un esile filo di crema che si è adagiato sul nero liquore senza turbarlo, sino a formarvi uno strato, di un po' più di un millimetro, sembrava della coppa un esile coperchio. (A L'Ambre, ultima proclamata finezza, si adoperano i recipienti originali, del luogo del caffè o della mistura; e, per un « Neapel », c'è, naturalmente, la napolctanina di latta). Mario Gromo

Persone citate: Brazil, Van Gogh

Luoghi citati: Giappone, Guatemala, Haway, Jamaica, Perù, Tokio, Venezuela