Carnelutti dice: «Qui patisce la serietà della giustizia>> Il Presidente e i due giudici escono sdegnati dall'aula di Francesco Rosso

Carnelutti dice: «Qui patisce la serietà della giustizia>> Il Presidente e i due giudici escono sdegnati dall'aula Udienza sospesa al processo di Venezia per un inatteso drammatico incidente Carnelutti dice: «Qui patisce la serietà della giustizia>> Il Presidente e i due giudici escono sdegnati dall'aula Prima della brusca decisione il presidente liberi aveva replicato sicuro: «La serietà della giustizia sta a cuore a me quanto a lei» - Il pubblico ha applaudito il gesto dei magistrati - Il difensore di Piccioni si era rammaricato che il teste Bruzzese fosse trattato «come i testimoni che dicono la verità», nonostante che il col. Zinza lo avesse smentito - Oggi la Caglio a confronto con il gesuita Dall'Olio - Tra poco il sopraluogo a Capocotta (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 22 marzo. La natura arcigna, addirittura spietata di questo processo si- è rivelata fin dalla prima udienza. Tra collegio di difesa e magistrati si creò immediatamente un invalicabile diaframma di diffidenza che provocò una costante . e dannosa tensione. Oggi, tale tensione è giunta al limite di rottura con un incidente che non sapremo qualificare. L'urto fra il presidente Tiberi e l'aw. Carneluttì fu così subitaneo da apparire inverosimile; per quanto paludate di aulica grandiloquenza, le parole aspre e violente caddero pesanti come pietre e mandarono in frantumi quel poco di formalistica cortesia che aveva governato l'udienza fino a quel momento. Sulla sedia dei testimoni era tornato il col. Cosimo Zinza per rispondere ad alcune affermazioni del dott. Umberto Bruzzese. Cogliendolo quasi in contropiede, la difesa gli strappava brani di ammissioni preziose sullo svolgimento della istruttoria, ma il solito diavolo infilò la coda invelenita suggerendo, forse, un desiderio di stravincere. all'avv. Carnelutti e per l'occasione, gli suggerì anche parole inadeguate che toccarono la sensibilità del presidente Tiberi il quale, convinto di tutelare la dignità propria e di tutta la magistra-, tura, sospese bruscamente la udienza tra uno spontaneo e fragoroso applauso del. pubblico tornato foltissimo in aula stamane. Non sta a noi commentare, e quindi valutare l'incidente, dalla pronaca dell'udienza si vedrà come si sia verificato e la sua innaturalezza, non ci possiamo però sottrarre al dovere di spiegare perché una volta o l'altra l'incidente doveva accadere. I difensori non hanno mal fatto mistero delle loro precise intenzioni,'' che sono tese a smantellare la sentenza istruttoria a pezzo a pezzo per dimostrarne la presunta inconsistenza. Un simile gioco procedurale accade in ogni vicenda giudiziaria, ma nel processo Morrtesi assume' valori-e 'significati diversi, più che enumerare I presunti errori contenuti nella istruttoria, i difensori vogliono rendere pubblica ciò che essi definiscono irritualità del procedimento istruttorio. Contro questa manovra dei difensori, si oppone con efficaci interventi il Pubblico Ministero il quale si preoccupa non tanto ni nascondere le lacune che in ogni istruttoria, anche la più precisa e meditata, si possono riscontrare, ma di difendere l'onestà e la buona fede del magistrato, in questo caso dei magistrati, che hanno svolto l'indagine. Contro il desiderio dei difensori di aprire ad ogni udienza una specie di processo al dott. Sepe, si oppone con validi argomenti il Pubblico Ministero dott. Palminteri, ma è chiaro che a furia di duellare uno dei contendenti finisce per lasciarci un lembo di pelle. La Difesa in vantaggio Oggi, i difensori hanno segnato alcuni punti, e forse decisivi, a loro favore quando sono riusciti a stabilire sulla deposizione del col. Zinza, che il dott. Sepe ha controllato di persona se davvero Rodolfo Montesi ha ottenuto un credito di 18 milioni garantiti da Ugo Montagna alla Banca di Medio Credito e che l'esito delle indagini è stato negativo. Di tale operazione, però, non rimane traccia negli atti, ma è servita al dott. Umberto Bruzzese per creare un nuovo alone di dubbio sui rapporti finanziari tra la famiglia della vittima ed uno degli imputati. E' piuttosto facile dedurre che se davvero il marchese di San Bartolomeo avesse garantito quel credito al padre di Wilma Montesi egli lo avrebbe fatto soltanto per tacitare la famiglia della vittima, scoprendo in tal modo la propria colpevolezza. Il pubblico, tale facile deduzione l'ha fatta. Non è più sufficiente dire che l'atteggiamento dei Montesi al processo, dove si sorto costituiti parte civile, non è affatto amichevole nei, confronti di Piccioni, Montagna e Polito, il dubbio che quel 18 milioni siano stati davvero incassati da Rodolfo Montesi non sarà facilmente dissipato anche dopo la deposizione del col. Zinza. Infatti, quando l'ufHclale superiore dei carabinieri ha accennato a quella operazione, dal muro di folla che aveva alle spalle si è levato un sordo e corale « oh » di sbigottita meraviglia; il pensiero che gli imputati fossero riusciti a corrompere con il denaro persino I genitori di Wilma Montesi penetrò fulmineo nella mente di ognuno. Ora, a scacciare quel chiodo non sarà impresa facile nemmeno per i logici e ferrati difensori, e se ne è avuta la prova quando l'aw. Carnelutti, chiedendo al Presidente di richiamare sulla pedana dei testimoni il dott. Umberto Bruzzese e dargli una solenne lavata di capo per la leggerezza con cui aveva trattato quella materia, si è verificato l'incìdente a cui abbiamo fatto cenno. Il dott. Umberto Bruzzese che si qualifica giornalista, ha lavorato un po' a Roma ed un po' a Napoli. Attualmente lavora per Napoli-Notte che è l'edizione pomeridiana del quotidiano monarchico di Achille Lauro. Nel 1955, però, egli era a Roma e faceva inchieste per II Momento e in quell'occasione si interessò al « caso Montesi >. Accertò, egli afterma, che un'altra persona oltre alla portinaia Adalgisa Rosolili avrebbe veduto Wilma Montesi uscire alle 17,20 dal portone di via Tagliamento 47 nel pomeriggio del 9 aprile 1953. Un giro di confidenze Da un amico, avrebbe appreso che Montesi avrebbe ottenuto un credito di 18 milioni garantito da Ugo Montagna. Da un padre gesuita avrebbe saputo òhe l'on. Attilio Piccioni si sarebbe apertamente doluto che un ministro democristiano allora in carica avesse accusato suo fi glio pur sapendolo innocente, al solo scopo di screditarlo agli occhi di Alcide De Casperi. Da un altro conoscente v, avrebbe saputo che il col. Zin.|za si sarebbe lagnato per lei pressioni, lusinghe, minacce a'cui sarebbe stato sottoposto durante le indagini. Molte delle circostanze qui accennate furono esaminate direttamente dal dott. Sepe e dal col. Zinza. Non fu possibile trovare l'uomo che avrebbe veduto Wilma Montesi uscire da casa quel pomeriggio.il dott. Sepe controllò di persona che il credito di 18 milioni a Rodolfo Montesi era inesistente. Rimanevano altre due circostanze, e vedremo più avanti come sono uscite 'dall'andamento processuale. Ma nonostante la chiara inconsistenza dei risultati a cui era giunto con la sua indagine, il dott. Bruzzese ha sentito il bisogno di prendere carta e penna e di scrivere al presidente Tiberi le « sue sensazionali rivelazioni », già scadute durante le indagini istruttorie. Ch'egli sia' passato indenne tra i denti della tenaglia, ha indispettito, forse, i difensori, in modo particolare l'avvocato Carnelutti, ma l'argomento che più ha scosso gli avvocati fu l'apprendere dal col. Zinza che il dott. Sepe ha svolto personalmente indagini sul preteso mutuo di 18 mi lioni e, constatandone la in sussistenza, non ha lasciato alcuna traccia di tale operazione negli atti del processo. Il primo testimone citato per oggi era appunto il dott. Umberto Bruzzese. Dopo un eerto numero di udienze che egli aveva seguito per conto del giornale Napo'li-Notte, reputò opportuno inviare al presidente Tiberi una lunga lettera di cui, giorni or sono, abbiamo dato il testo integrale. Alla lettera erano uniti alcuni appunti da cui risultavano le circostanze a cui abbiamo accennato poco fa. Prima che egli incominciasse la deposizione, il Pubblico Ministero ha dichiarato che non si doveva sconfinare dal ben precisato limite della circostanza che si riferiva alla persona che avrebbe veduto Wilma Montesi uscire da casa nel pomeriggio del 9 aprile 1953. Le altre, il mutuo a Rodolfo Montesi, le lagnanze del col. Zinza sulle presunte minacce e lusinghe, quelle dell'on. Attilio Piccioni non dovevano nemmeno essere sfiorate perché non inerenti al processo. Presidente — Lei ha mandato al Tribunale una lettera in cui dice che un'altra persona, oltre alla portinaia di via Tagliamento 47, ha veduto uscire Wilma Montesi dà casa nel pomeriggio del 9 aprile 1953. Chi era quest'altra persona? Bruzzese — Questo particolare mi è stato riferito dall'avv. Franklin De Grossi al quale lo aveva riferito il suo collepa d'ufficio avv. Albertazzi ii quale assicurava che l'avvocato Bianco, o Bianchi, non ricordo, aveva veduto uscire da casa verso le 17,20 del 9 aprile 1953 Wilma Montesi. Presidente — E dove abita questo avvocato? Bruzzese — L'aw. Bianchi, o Bianco, abitava a quel tempo nella stessa casa di Wilma Montesi, cosi almeno mi disse l'aw. Albertazzi che lo aveva saputo dal suo collega De Grossi. Presidente — L'ei ha parlato di ciò al col Zinza? Bruzzese — Certamente* Poiché volevamo accertare la verità, feci notare al mio direttore di allora, Realino Carbone, che coi nostri soli mezzi non saremmo mai arrivati a nulla, soprattutto perché l'aw. Albertazzi, temendo di mettere nei guai suo fratello impiegato alla Banca di Medio Credito incominciava a tentennare Cosi pensammo di chiedere l'appoggio del col. Zinza il quale, convocato da Carbone, venne in redazione il giorno successivo. Al colonnello riferii in che avevo saputo dagli avvocati De Grossi ed Albertazzi e coi mio direttore lo pregammo di aiutarci nella indagine. Ci accordammo cosi ner collaborare. Avv Carnelutti - Viaggio in tandem. Bruzzese - Il giorno successivo ci recammo con il col. Zinza nello studio degli avvocati De Grossi e Albertazzi 1 quali confermarono ciò che già avevano detto a me, che un'altra persona, l'aw. Bianco, o Bianchi, aveva veduto Wilma Montesi uscire di casa alle 17,20 del 9 aprile 1953. Presidente — Lei ha parlato con l'aw. Bianco? Bruzzese — No, perché quell'episodio non mi interessava. Non so se il col. Zinza abbia seguito per conto suo la pista dell'avv. Bianco. Zingaro — E' stata negativa, non ha concluso nulla. Bruzzese — Questo è ciò che so sull'episodio dell'uscita di Wilma Montesi da casa. Se il signor Presidente vuol farmi altre domande sono a sua disposizione. Presidente — Il resto delle sue rivelazioni non riguardano il processo. Con questa risposta secca, il Presidente ha troncato la deposizione del. testimone che, per un quarto d'ora, aveva parlato... con rapidità travolgente pensando forse che, avanzando tempo, lo avrebbero interrogato anche su altre circostanze. Non fu necessario richiamarlo che la inconsistenza. Dopo 11 dott. Bruzzese è entrato nell'emiciclo il colonnello del carabinieri, come sempre compito, esatto, circostanziato. perché 11 col. Zinza, rimettengò „ iuste prop0rzi0„i qUe „ , *j ne "h riievato an" cesso iniziale e, soprattutto, li aveva privati del vantaggio di continuare a rivolgere domande al colonnello Zinza il quale, certamente, non sarebbe più tornato sulla pedana; ma anche se fosse tornato, la situazione non sarebbe stata più così psicologicamente favorevole. Con sottile diplomazia, quando il Tribunale rientrò in aula mezz'ora dopo, essi tentarono di ritessere la tela, ma il filo gli si era spezzato tra le mani. Ancora «Gianna la rossa» Il colonnello Zinza è tornato sulla pedana, ma per quanti tentativi abbiano fatti prima l'aw. Augenti, poi l'aw. Vassalli, non fu possibile riportarli sul discorso del mutuo di diciotto milioni per tentare di allargare ancor più la breccia nelle lacune dell'istruttoria. Il pretesto per riportare il colonnello Zinza in aula fu trovato dall'avv. Augenti, il quale volle sapere qualcosa ancora su «Gianna la rossa ». Il colonnello del carabinieri, nelle passate deposizioni, ha detto che, in un primo tempo, aveva sospettato che la fantastica figura uscita dalla canonica di don Tonino Onnis fosse Anna Maria Caglio. Avv. Augenti —'■ Perché eb be quel sospetto? Zinza — Troppe circostanze si accostavano allo stile della Caglio; la lettera di «Gianna la rossa » aveva molta somiglianza con il testamento ac cusàtor'o lasciato dalla Caglio alla sua affittacamere. ddeststasvplsrnvpsvdc.Il discorso e cosi tornato an- cora una volta su Anna Maria Caglio, personaggio sempre in primo piano. Uscito il colonnello Zinza, il filo del discorso sulla travolgente figliola è passato nelle mani di Bruno Pescatori, l'elegante « coiffeur pour dames » della capitale, accusato dalla Caglio di aver tentato di corromperla offrendole a nome di Montagna un imprecisato numero di milioni per tacere e, se mai, ritrattare ciò che già ! aveva detto; i milioni avreb- amico del Pescatori •Com'è noto, tanto il parrucchiere quanto l'aw, Romeo hanno negato la circostanza. Il parrucchiere affermò di aver cercato un legale che fosse disposto ad assistere , gratis l'inquieta Marianna a Venezi * fece „ nQme dj Lue avvocati 8 cui disse di ayer telefona,0 a questo ro. poaito: lì primo fu l'àvviGiorbe dovuto portarglieli a Ve-jnezia, la mattina stessa in cui:doveva deporre, l'aw. Romeo, ìe . o , e i a - dano Bruno, il secondo l'aw. Domenico D'Amico. Quest'ultimo, letto il suo nome sui I giornali, scrisse subito al Pre-lsidente smentendo di aver ri- cevuto telefonate dal parruc-jprovoco una imme-,ha chiere e diata citazione Oggi il parrucchiere spiegato l'equivoco. Egli ha dichiarato di aver telefonato all'avv. Giordano Bruno, il quale lo avrebbe consigliato di rivolgersi al D'Amico; sentendo però che la Caglio, intendeva essere patrocinata gratuitamente, allora disse a Bruno Pescatori di lasciar perdere D'Amico il quale, per quanto signore, non intendeva lavorare senza essere pagato. Inoltre, assistendo alla telefonata, la Caglio fece rilevare l'inopportunità d'interessare D'Amico alla faccenda perché, essendosi urtata con lui quando lo aveva scelto come legale, non intendeva più riallacciarn rapporti. In tal modo, il parrucchiere si rivolse all'avv. Romeo il qua- le, per sua fortuna, in quel momento non era a Roma equando fu citato potè esibireun alibi inattaccabile. Uscito l'ondulante t coif-feur», è entrato nell'emiciclo l'avv. Giordano Bruno, un at-|tempato e arguto signore. ;« Una sera — egli ha detto-— mi telefonò Bruno Pesca- jtori, il quale mi disse press'a \poco: "C'è con me la signo-jrina Caglio che, dovendosi re- care a Venezia per deporre, non si sente tranquilla e vor-rebbe essere assistita da un legale; vuoi accompagnarla tu?". Gli risposi che lo avreifatto se avessi avuto 'sci anni di meno». Il pubblico ha riso fragoro-samente e l'anziano legale, voltandosi lentamente, ha det-to: «Non si interpretino malele mie parole, soffrivo per un infarto subito dieci anni or sono, ecco tutto. Dunque, continuiamo. Consigliai al Pescatori di rivolgersi a D'Amico, ma quando sentii che la signorina voleva essere assistita gratis, gli dissi che non era il caso. D'Amico è un signore, è un avvocato bene affermato, non ha bisogno di pubblicità; meglio cercare un avvocato giovane, all'inizio della carriera, desideroso di farsi un nome. Pescatori mi disse che si sarebbe rivolto al suo legale, l'aw. Romeo, ed io gli risposi che proprio non capivo di che avesse paura la signorina Caglio. Lo consigliai di dirle esattamente che, se aveva paura di qualcuno, appena giunta a Venezia si rivolgesse al Presidente che avrebbe provveduto a farla tutelare dalla polizia; e che per il resto si mettesse una mano sulla coscienza: se si sentiva tranquilla e onesta. dicesse senza timore ciò che doveva dire. Tutto qui >. L'aw. Domenico D'Amico, entrato subito dopo, è rimasto un attimo sulla pedana, il tempo per affermare di aver scritto al Presidente una lettera, con la quale smentiva di aver ricevuto da Bruno Pescatori una telefonata relativa alla Caglio. L'accusa al parrucchiere di aver tentato la corruzione della « figlia del secolo >, dopo questa udienza, è di molto impallidita. Esaurita anche questa circostanza, si è passati, all'operazione stupefacenti, protagonista Michele Simola, il giovane detenuto siciliano, comparso in aula con la divisa a strisce del carcerato. Proveniva direttamente dal carcere di Massa per sostenere un confronto con Armando Amari, che egli ha indicato come il capobanda dei trafficanti di droghe, con Anna Pantaleoni, la benefica affittacamere che nei momenti di floridezza economica ospitava luì, Michele Simola, e Maria Luisa Garzella, meglio nota come « Marisa la spagnola», anche lei citata per oggi. I tre testimoni non sono comparsi: • Armando Amari sembra non sia mai esistito, a meno che si tratti d'uno dei due fratelli, sedicenti conti Luigi e Orazio Amari, implicati nello scandalo degli stupefacenti che ha per protagonista Max Mugnani. Anna Pantaleoni e « Marisa la spagnola» sono scomparse senza lasciar traccia, portate chissà .dove dalla loro inquieta prò fessione. Seduto nuovamente davanti al Tribunale, Michele Simola ha tentato la carta patetica, ma senza convinzione. In sostanza, egli afferma che Wilma Montesi era una delle tante ragazze che, per conto di Armando Amari, portavano i pacchetti di cocaina al domicilio dei clienti facoltosi. Il suo racconto, fantasioso e pieno di lacune, è stato smentito da numerose testimonianze in istruttoria, comprese l'affittacamere e Marisa. Per nulla jaconfortat0i piccolo detenu:to ha inventato altre grosso ìlane fandonie, subito scoperte per dar forza di perfusione alle sue affermazioni. Presidente — Senta, Simola io non intendo costringerla a dire cose diverse dalla verità: è ancora in tempo. Badi, però, che se il processo viene stralciato, non potrà più ritrattare. E' ancora in tempo per farlo, c'è sempre tempo per rifarsi una vita. Lei è ancor giovane, uscirà dal carcere nel 1960, ha due figli... Simola — Quattro, e uno lo conosco, è nato I nemmeno ldopo Presidente - Meglio, o pegjgio, non so Ha degli ottimi ,avvocat,, si consigli con loro e ci pensi bene a a L'episodio Ganzatoli A dare una pennellata, piuttosto losca, sulle speculazioni di ogni genere fatte su questa tormentosa vicenda, è venuto dietro Rinaldi, amico di Thea Ganzaroli. Costei, senza aver mai veduto Wilma Montesi, inventò di sana pianta una sua storia, in cui narrava» di aver veduto la sera del 9 aprile '53, mentre passeggiava sul lido di Tor Vajanica, fermarsi un'automobile, discenderne due uomini che reggevano il corpo esanime di Wilma; i due abbandonarono la ragazza sulla spiaggia e fuggirono. Inorridito, Thea Ganzaroli non parlò con nessuno della scena a cui aveva assistito, finché non si decise a scriverla per l [silvano -Muto per Un compeneiso dj 400 mila lire ei Naturalmente nella storia | non c'è una parola di vero, ma -( la Ganzaroli ritrattò in tempo o accollando alla sua afflttaca-|mere, Mercedes Borgatti, l'ac ;cusa di averla indotta a scri-vere le panzane a scopo, di lu j ero. L'aw. Zanetta, difensore \ della Borgatti, ha rivolto al -jteste Rinaldi alcune domande - ì per sapere se egli abbia cono, Isciuto la padrona di casa del-j'a Ganzaroli, se abbia sentito n Ideila spartizione del denaro. Il a testimone ha negato le due i|circostanze, i L'udienza era finita, e il Pre jsidente, senza il consueto tono -jdi sorridente cordialità, l'ha , rinviata a domani. Sarà anco-|ra una giornata densa di ave'venimenti. Anna Maria Caglio n r , a a i e o i i e e a e a i . e chiamata a sostenere due confronti, uno con Padre Dall'Olio e l'altro col dott. Cingolani su una circostanza che ai fini processuali, ha scarso rilievo, ma che può essere indicativa sul grado di attendibilità della figlia del notaio Adelmina Marri, l'affittacamere che custodì l'esplosivo testamento della Caglio, pare sia ammalata e non venga a deporre. Altrettanto, se sono vere le nostre informazioni, farebbe il sen. Cipolla, chiamato a deporre a favore di Ugo Montagna: egli ha chiesto di essere interrogato per rogatoria, non potendosi muovere da Roma. Difendere in pubblico il marchese di San Bartolomeo è considerato davvero un eroismo. A quanto si diceva oggi, il Tribunale avrebbe deciso di compiere la settimana prossima il sopraluogo a Capocotta, Tor Vajanica, Ostia e Roma. Francesco Rosso L'aw. prof. Carnelutti dopo il clamoroso incidente (Tel.)