Una storia da fare

Una storia da fare Una storia da fare Fra qualche decennio, quando tutti i protagonisti e i testimoni cdegli eventi che si sono succe- duti in Italia dal ioio al 1944 saranno scomparsi, un velo di oblio sarà sceso per sempre su di essi e lo storico futuro non avrà che pochi elementi per narrare quella storia che non è stata scritta e che potrebbe avere per titolo: la vita italiana sotto la dittatura. Gli avvenimenti politici non mancano di documenti; le guerre, le paci, i mutamenti istituzionali, sono noti e sono stati raccontati nelle numerose storie, memorie, diari, per cui la verità è ormai acquisita; ma la cronaca, quella che costituisce veramente la vita di un popolo, il suo costume, i suoi piccoli e grandi tormenti quotidiani, le ansie, le gioie, le risate sommesse, tutto ciò insomma che la dittatura deforma della vita quotidiana dei- cittadini, non ha lasciato traccia, se non nella memoria dei contemporanei. Invano lo storico futuro potrà ricostruire questa vita attraverso la stampa del tempo, regolata dagli ordini perentori del dittatore ed obbligata a narrare o a tacere ciò che egli solo volesse. Né la stampa estera, per la maggior parte disinteressata del le cose italiane, ispirata da preconcetti politici, era molto più libera nei criteri di scelta dei fatti nostri da raccontare o da trascurare. Così, se uno storico paziente od anche un romanziere che am bientasse il suo racconto, che dovrebbe essere vasto nel tem po e nello spazio, non si avventurerà entro breve tempo a questa ricerca, la storia della vita italiana di un quarto di secolo rimarrà sepolta nella dimenti canza e i nostri posteri non avranno modo di conoscere con profondità ed esattezza, gli atteggiamenti e le reazioni di un popolo condannato all'cntusiasmo quotidiano, e mantenuto al l'oscuro di tutto quanto potesse comunque spiacere al dittatore. Sulla stampa del periodo fascista già si è scritto; un succoso libretto di Francesco Flora ricorda le « istruzioni » quotidiane alle quali, pena la destituzione, dovevano uniformarsi i di rettori di giornali e riviste. Che un discorso del Papa dovesse essere « minimizzato » o un di scorso di un gerarchetto di provincia dovesse essere riprodotto con maggiore o minore ampiez za, non ingannava nessuno; il pubblico avveduto non credeva alla stampa e l'illusione del dittatore che l'Italia fosse quella che i suoi giornali descrivevano, è stata non ultima ragione della sua catastrofe. Ma non sono queste le cose note che mancheranno allo sto rico futuro: sono le infinite altre, tragiche o grottesche, umilianti che hanno inciso sul costume italiano, allontanando il popolo da ogni interesse nella cosa pubblica, da ogni fiducia e possiamo dire da ogni speranza. Delitti misteriosi rimasti im puniti perché gli ordini dall'alto vietavano ai Magistrati di occu parsene: e vi è da sorridere ora del rumore che si fa intorno ad una presunta illecita interferenza politica sulla istruttoria di un reato colposo, quando si pensa che nessun processo fu mai instaurato su uccisioni, ferimenti, aggressioni, devastazioni di case avvenuti non nel periodo infuocato che precedette l'avvento del fascismo, ma quando da anni il regime si era per cosi dire legalizzato, e lo Stato avrebbe dovuto regolarmente funzionare. Ricordo una sera a Milano: da una finestra affacciatesi sulla Galleria Vittorio Emanuele, si vide precipitare un uomo che si abbatteva morto fra la folla spaurita. Si disse che nella sedè di un circolo fascista era scoppiata una lite e che l'uomo era stato defenestrato da un « camerata » infuriato. Di un fatto cosi clamoroso nessuno seppe mai nulla, ne rimase il ricordo in quelli che ne erano stati testimoni oculari. Delle risse fra fascisti, spesso sanguinose, non si doveva sapere nulla: le famiglie stesse dei morti dovevano tacere. Un gerarca in odio ad altro, sempre a Milano, fu un giorno assalito da una banda in pieno centro della città, bastonato sanguinosamente così da perdere un occhio, ed appena dimesso dall'ospedale mandato al confino per cinque anni perché non parlasse dell'incidenti; ricordo il suo nome: Clerici. Nessun processo fu fatto e nessun giornale ne parlò. E accanto ai fatti tragici, il ridicolo enorme, di cui non si rendevano conto i protagonisti. Chi narrerà la comica preoc cupazione dei gerarchi allorché nel programma di una visita del re a Milano, vi si introdusse la visita al « Covo ». Questo nome attribuito da un giornale socialista nel 1919 alla sede degli arditi di via Cerva a Milano, venne d'autorità attribuito nel 1924 alla vecchia sede della redazione del Popolo d'Italia in via Paolo da Gannobbio. Ma la sede era stata abbandonata assai prima e nulla vi era rimasto: anzi i Ioali erano stati occupati da una casa editrice diretta da fascisti assai poco ortodossi. Così quando si introdusse fra i riti del regime, anche il culto delle reliquie, si inventò il « Covo », cioè la vecchia redazione del giornale diretto da Mussolini, mèta dei pellegrinaggi dei fedeli. La ricostruzione per la visita reale fu organizzata, prendendo dai magazzini della Cassa di Risparmio dei mobili fuori uso e disponendoli nei locali, adornati di pugnali, di gagliardetti, di teschi consueti nella simbologia del j11111111 ■ 11111111 m 1 i11m 11111111111111 s r1111j 1111 j 1111111 tempo : e il re d'Italia fu accompagnato alla visita e si fermò in commosso raccoglimento davanti allo scrittoio fuori uso di qualche oscuro contabile della banca. Di queste falsificazioni il popolo italiano fu nutrito durante vent'anni, giorno per giorno con un minuzioso lavoro fatto di silenzi e di bugie. Il ricordare tutto questo potrebbe essere più educativo di qualsiasi, polemica, di qualunque resurrezione di ormai superati motivi di rancore o di odio. Dire ai giovani quale quotidiana umiliazione sia stato il vivere nell'inganno sistematico ordito dall'alto, perché i cittadini non sapessero mai il vero, fino al momento che nell'abisso spalancato un popolo veniva precipitato dalla realtà dei fatti maturatisi a sua insaputa, credo che sia il migliore argomento per l'educazione alla libertà. Forse il migliore libro di lettura per le scuole. Eucardio Momigliano 11111 i11r11111111111f 111 j 111111c 11 e 1111 >1r 1 c 1 ; 11 li 111( 1111111

Persone citate: Clerici, Francesco Flora, Momigliano, Mussolini

Luoghi citati: Italia, Milano