Il suicidio nell'ospedale di Alessandria di Francesco Rosso

Il suicidio nell'ospedale di Alessandria Il suicidio nell'ospedale di Alessandria . e r , r a l a r i a a n e a a o , a e o : o i. i o o e o o o il i, a nal e e. onne aa eemiri a o ino ilo ti a II sla Il romanzo della cocaina era appena all'Inizio, Michele Simola precedeva Corinna Versolatto e « Gianna la rossa ». Il 2 ottobre del 1954, gettandosi dal secondo plano dell'ospedale di Alessandria dov'era ricoverata per un precedente tentato suicidio con barbiturici, Corinna Versolatto riusciva finalmente ad uccidersi. Costei era segretaria di Mario Amelotti, un alessandrino emigrato nel Venezuela, sospettato, dice la sentenza di rinvio a giudizio, « dì esercitare la tratta delle bianche e il commercio degli stupefacenti ». Tra le carte della Versolatto, fu trovata un'agenda che conteneva ì numeri telefonici di Montagna e, più compromettente, quello di Piccioni non compreso nell'elenco ufficiale. Il colonnello Zinza si precipitò ad Alessandria, non tanto per stabilire eventuali rapporti esistiti tra la suicida e 1 due imputati, quanto per vedere se poteva identificare nella Versolatto la fantastica « Gianna la rossa », uscita avvampante dalla canonica di Traversetolo, dove aveva lasciato uno strano testamento al parroco, don Tonino Onnls. Tra confessione di peccati lontani e recenti, atti di contrizione e « mea culpa » recitati in ogni tonalità, eGianna la rossa» diceva con estrema semplicità ciò che già aveva detto Anna Maria Caglio: « Il marchese Montagna procura le donne, Piero Piccioni le uccide ». La lettera lasciata a Don Onnis aveva la data del 16 maggio 1953 e fu resa nota, sempre da « Gianna la rossa », con un'altra lettera al dr. Sepe il 2 ottobre 1954. Anche in questa, si parlava di cocaina, nefandezze erotiche, traffici Innominabili e assassini! a catena. Il colonnello Zinza fece vedere a don Onnis la fotografia di Carolina-Versolatto: non era « Gianna la rossa », e nemmeno lo erano le centinaia dì altre donne, tutte bellissime, che il parroco di Traversetolo vide nelle fotografie mostrate gli dal colonnello Zinza. Aw. Oarnelutti — A Parma ha interrogato qualche persona per identificare < Gianna la rossa»? Teste — Interrogatori veri e propri no. Una sera mi fu presentata una donna, una dal mata, di Pola mi sembra, che frequentava la chiesa di Parma in cui don Tonino Onnis era parroco prima di essere trasferito a Traversetolo. Era una cosuccia piuttosto meschina, non certo da identificare con l'immagine di < Gianna la rossa » fatta da don Onnls. Aw. Carnelutti — Se non erro, questa signorina si chiama Ostrolovich. Chi le ha parlato di lei? Teste — Il vescovo di Parma. Aw. Carnelutti — E che le disse monsignor vescovo? Teste — Cht la Ostrolovich era una fiera nemica di don Onnls. Aw. Dentala — Perché sentì la necessità di parlare con la Ostrolovich? Teste — Perché non prendevo per oro colato ciò che diceva don Onnis. Aw. Delitala — Ma il vescovo le parlò di amicizia, o di inimicizia tra don Onnls e la Ostrolovich, o di una inimicizia nata da un'amicizia? Teste — C'erano .«'.atl dei rapporti tra di loro. Aw. Carnelutti — Lei ha af fermato che non credeva a don Onnis, per quale ragione? ritedetrvetedagaQmvacesoMvevinapchLZpdtrstvchfilililadpdcnbvmcatansdladnsLsegpPscssBadstaqsuvttnsNrtaaLa figura di Don Onnis Teste — Non ho detto che non gli credevo, ma che non ero disposto a prendere per oro colato le sue affermazioni. Aw. Carnelutti — Ha indagato sulle ragioni del trasferimento di don Onnis? Era parroco a Parma e lo hanno mandato a Traversetolo, un paesino sugli Appennini, non doveva trattarsi d'una ragione di poco conto. Teste — Non desidero pronunciarmi su questo troppo delicato argomento. Pubblico Ministero — Lo domanderemo al vescovo di Parma. Teste — Ecco, è meglio domandarlo al vescovo. Uscito dall'aula un fantasma, è tornato ad insinuarsi il faccione biondo-roseo, l'occhiceruleo, il mascella-volitiva Natali no Del Duca. Ancora freschi della sua vivida narrazione terminata appena avant'ierl, non ci era difficile seguire il colonnello Zinza nella descrizione del delirante colloquio tra il predicatore di cataclismi e il finto pacioso agente Servello Quel reggicalze che Piccioni portava in Questura per il rogo, il corteo interminabile di fantastici sicari, spie, sbirri che attentavano alla vita del troppo prezioso testimone hanno fatto un'ultima danza. Poi il colonnello Zinza l'ha arrestata di colpo. Avv. Carnelutti — Natalino Del Duca ha affermato che lei ha dovuto proteggerlo da infiniti pericoli per almeno venti giorni, è vero? Teste — E' una fandonia. E' venuto più d'una volta a dirmi che temeva per la sua vita, crje vedeva uomini e donne mlste- o e h n in- riosl, ma io non sono mal tervenuto. Aw. Augenti — Nell'agosto del 1954, quando riuscì a rintracciare Del Duca, qualcuno venne ad informarla sulla attendibilità del testimone? Teste — No, ho provveduto da me ad informarmi, interrogando un cugino del Del Duca. Quest'ultimo rimase piuttosto male, non gli piaceva che io valutassi la sua attendibilità, cercassi di scoprire la sua personalità psichica e mentale. Ma era mio dovere farlo, le rivelazioni più clamorose mi spaventano sempre e mi mettono in sospetto. Tutto passava liscio, quasi in atmosfera idillica, e fu proprio nel momento più placido che esplose l'Incidente. L'avv. Lupis domandò al colonnello Zinza se ha fatto indagini presso l'Ordine degli avvocati di Roma per Identificare l'autrice di lettere anonime. Il testimone ha risposto di si, doveva identificare una donna che aveva inviato tre lettere firmate « Un'amica », « La solita amica», «La solita infelice amica». Nelle tre lettere, la donna dichiarava che uno del difensori di Piccioni preparava falsi testimoni e falsi documenti, che se si fosse decisa a parlare lei le rivelazioni della Caglio sarebbero sembrate zuccherini, che tale avvocato aveva consegnato 200 mila lire a un custode del carcere per portare un biglietto al Montagna detenuto e riportarne uno relativo al guardiano che aveva trasportato sulle spalle qualcosa (certo il corpo di Wilma). L'incidente nell'aula La donna fu Identificata, era la moglie di un noto penalista dal quale viveva separata, ma negò con ostinazione di avere scritto le tre lettere anonime. L'avv, Lupis ha chiesto al presidente di citare il presidente e il segretario dell'Ordine degli avvocati di Roma per deporre sulla circostanza, ma 11 Pubblico Ministero si è opposto, ila alla domanda che alla citazione del nuovi testimoni. Aw, Lupis — In base a che si oppone? Pubblico Ministero — Non sono conferenti In causa. Alzandosi di scatto, l'avv. Bellavista ha gridato: «Siamo alle solite, volete liberarvi dei difensori ». Il Pubblico Ministero, che fino a quel momento non aveva reagito e aveva, anzi, fatto segni eloquenti coi quali voleva significare che la sua intenzione era di evitare una situazione penosa per l'avvocato in questione, si è alzato a sua volta urlando: «Non tollero che gli avvocati continuino a trattare con questi sistemi 11 Pubblico Ministero». Ne è seguito un confuso vociare, uno svolazzar frenetico di tonache librate come immense ali nere, mentre il pubblico applaudiva e gridava « Bene, bravo » al Pubblico Ministero Il Presidente si è alzato e ha sospeso l'udienza per mezz'ora. Alla ripresa del dibattimento, l'avv. Carnelutti ha detto: « La domanda del collega Lupis trae origine da quegli ignobili anonimi a cui, per fortuna, è precluso l'Ingresso nelle aule della Giustizia. A nome della Difesa dichiaro al Pubblico Ministero che abbiamo il maggiore rispetto per lui. Senza dubbio esplodono scintille, ma non è possibile che la verità esca dal cozzo di due selci senza sprigionare lampi, Nulla però tocca il rispetto dovuto al Pubblico Ministero e al Tribunale ». E' fornace nell'emiciclo il colonnello Zinza e l'udienza è continuata sul tono discorsivo di prima. Il testimone ha riferito sulle indagini svolte per accertare se « zio Giuseppe » poteva aver combinato il guaio dì far morire la nipote. Fonte d'informazioni fu, ancora una volta, la portinaia dei Montesi, Adalgisa Roscinl. — Una sera, ha detto.il colonnello Zinza, ho appreso dai giornali che < zio Giuseppe » era fuggito da casa. Corsi in via Alessandria, ma Giuseppe Montesi non si era mosso. Due agenti piantonavano però la casa. Mi recai in via Tagliamento e domandai ad Adalgisa Roscini se < zio Giuseppe » poteva, secondo lei, avere combinato il pasticcio. La donna mi rispose: c Lo escluderei ». Avv. AugenU — Riferendole della telefonata fatta dalla madre di Wilma ai suoceri, non le dij.^ di una tiucienda espressione usata dalla signora Montesi? Teste — Disse che la donna era molto allarmata, ma non ricordo se riferì una precisa espressione. Gli avvocati hanno girato parecchio attorno a questa circostanza, rimettere in ballo czlo Giuseppe » è il loro scopo, ma non sono riusciti a fare pronunciare quella parola al colonnello Zinza. SI dice che telefonando ai suoceri, la signora Montesi abbia gridato < assassino », ma la portinaia non l'ha affermato, né è possìbile attribuire un riferimento preciso a quella parola. Il colonnello Zinza aveva terminato la sua deposizione. Fece un mezzo, correttissimo inchino al Tribunale, un altro al Pubblico Ministero, ed uscì per cedere il posto a Sergio Del Bufalo, cronista di II Tempo di Roma. Lo scorcio dell'udienza di oggi, tutta quella di domattina sarà dedicata ai giornalisti di Roma, che diedero II più valido contributo a trasformare, il processo Montesi in un « affaire » di risonanza mondiale, v Sergio Del Bufalo ha raccontato che durante il congresso dei cronisti a Modena, nell'aprile del 1953, fu discusso il tema: «Autodisciplina del cronista ». Per dare un esempio pratico, uno di loro disse: « Se fossimo dei leggeri, sulla vicenda di Tor Vaianica ricameremmo chissà quali supposizioni, invece attendiamo per controllare le notìzie». L'autodisciplina funzionò ancora meglio alcuni giorni dopo, quando Guido Guidi, redattore giudiziario di II Tempo, riferì che in Sala Stampa si faceva apertamente il nome di Piccioni. Il Del Bufalo incominciò le indagini e un giorno riferì ciò che sapeva al collega Mario Pastore di Il Popolo, il quotidiano democristiano. Pubblico Ministero — Che cosa le risulta sulla telefonata di Renato Angiolillo, direttore di /I Tempo a Sandro Perrone, direttore di II Messaggero t Teste — Penso che abbia telefonato per sapere se II Messaggero aveva più notizie •di noi sulla circostanza. Evidentemente, il cronista non possedeva la pazienza di svolgere le indagini con più calma. Per accertare meglio il significato di quella telefonata è stato chiamato il dottor Sandro Perrone, direttore di Il Messaggero. Egli ha ripetuto che il senatore Angiolillo gli telefonò In una lmpreciaata sera tra la fine di aprile ed i primi del maggio del 1953 per domandargli se i suoi cronisti sapevano che si faceva il nome di Piero Piccioni, mettendolo in relazione alla morte della Montesi." Il dottor Perrone non lo sapeva, ma incaricò due suoi cronisti, Cerone e Menghini, di interessarsene. L'affaire incominciava, a muoversi, tra poco si sarebbe trasformato in valanga. Anna Maria Caglio, a quel tempo, filava ancora in perfetto amore a mezzo milione, al mese con Ugo Montagna, ma c'era tempo anche per lei. Secondo una voce circolata oggi al Tribunale, Anna Maria Caglio si presenterà a depporre giovedì della settimana ventura. Francesco Rosso