Il veggente Natalino Del Duca di fronte all'agente Servello

Il veggente Natalino Del Duca di fronte all'agente Servello Nuovo intermezzo giallo-fantastico oggi al processo di Venezia Il veggente Natalino Del Duca di fronte all'agente Servello Lo scrittore di fantascienza ha promesso di rivelare nuovi particolari su Piccioni, che non sapendo dove bruciare gli indumenti appartenuti a Wilma Moritesi, li avrebbe portati in Questura La guardia di P.S. nega di aver confidalo ad alcuno tali incredibili circostanze (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 19 febbraio. Domani mattina, alla ripresa delle udienze, continuerà l'Intermezzo giallo - fantastico di Natalino Del Duca e Francesco Servello, 1 due sconcertanti testimoni giunti fin davanti al Tribunale di Venezia per uno dei molti imponderabili motivi che regolano l'andamento di questo processo. I due saranno nuovamente posti a confronto, può darsi che il loro dialogo raggiunga l'intensità già toccata in sede istruttoria, ma può anche accadere che tutto si svolga quietamente, senza drammaticità. Qualunque possa essere il tono della loro deposizione, tutto si ridurrà alla valutazione della testimonianza, un gioco abbastanza facile sotto certi aspetti, più complesso e sottile se tale testimonianza è osservata da un angolo psicologico e inserita nel tempo ih cui lo scandalo soffiò così violento da minacciare persino le istituzioni del Paese. v- Come è noto, Natalino Del Duca afferma che Francesco Servello gli confidò verso la fine del maggio 1953, poco più di un mese dopo la morte di Wilma Moritesi, di aver veduto Piero Piccioni -recarsi in Questura con un pacchetto dentro cui erano avvolti gii indumenti non trovati sul cadavere, cioè calze, gonna, scarpe, borsetta e reggicalze. Nell'ufficio del comandante la Squadra Mobile, tali indumenti sarebbero stati bruciati per distruggere ogni prova. . , Chiamato direttamente in causa, Francesco Servello, risultato semplice magazziniere di una periferica caserma della polizia e non brigadière della Squadra Mobile, negò disperatamente di aver fatto tali confidenze a Del Duca, nell'impeto del diniego si scagliò contro il suo antagonista e, alla fine, si accasciò quasi in deliquio. Ora si {ratta di stabilire se Natalino Del Duca ha inventato la circostanza oppure s'egli si, è limitato a trasfigurare in forme di arte, come ama esprimersi, una confidenza che Servello gli ha realmente fatto. Ai fini della causa contro Piccioni, Montagna e Polito ciò noti ha molta importanza; che dica il vero Servello e Del Duca il falso conta poco, importante è stabilire se la circostanza degli indumenti portati in Questura e distrutti è attendibile. Noi* è necessàrio l'acume di un detective di classe per fprnjarsl un'opinione su questo fatto. Per quanto inesperto di omicidi, sia purè colposi, Piero Piccioni non sarebbe stato tanto. inesperto da girare per Roma con quel compromettente pacchetto, per bruciare quei poveri Indumenti dispóneva certo di'stufe e caminetti proprii per non dover ricorrere a quelli ' della Questura. • Per spiegare questa singolare versione, certo meno attendibile di quella del < pediluvio >, occorre rifarsi al particolare momento in cui si verificò :jl morte di WHrha Montesi ed al vertiginoso giro di Voci che investi Roma. Dapprima si fecero i -homi dei figli di Tupini e Rebecchini, poi quello d/ Piccioni. Il cadavere della figlia del falegname doveva, ad ogni costo, esser posato sulle spalle di uh personaggio che avesse rilievo politicò. La voce che Piero-Piccioni abbia portato' in Questura, dove furono distrùtti, gli indumenti della morta di Tor Vaianica, incominciò a circolare dopo il 5 maggio, quando su un settimanale satirico apparve un articolo in cui si parlava di un c piccione viaggiatore che portava col becco il reggicalze di Wilma in Questura >. Nella mente dell'autore deil'articclo, il riferimento ai caso Montesi avveniva soprattutto con l'introduzione del « piccione viaggiatore >, una trasparente allusione all'attuale imputato. Mettergli nel becco il reggicalze e indirizzario in Questura significava legare il sospettato alla morte della ragazza e insinuare che la polizia era intervenuta a coprire il figlio del ministro. L'immagine satirica fu immediatamente concretata in azione, la voce che Piero Piccioni avesse porìaio in Questura il reggicalze divenne una certezza Chi scrive ricorda che proprio in quell'epoca, a Roma, erano già In molti a parlare della serale visita di Piero Piccioni a Saverio Polito. Nulla di strano che anche Natalino Del Duca e Francesco Servello abbiano sentito soffiare la voce, certo interessata, del piccolo falò fatto in Questura con quei poveri indumenti e ne abbiano parlato insieme il giorno in cui furono presentati da amici comuni. L'identica professione di fede neofascista, la smaniosa fantasia di Del Duca posseduto dal demone dello scrivere immaginoso, come aveva dimostrato con il suo fascicolo Promemoria del futuro, li accomunò in una discussione appassionata sul reggicalze. Per essere agente di P. S. Francesco Servello può aver calcato la mano e dato per verità sacrosante ciò che era soltanto frutto di supposizioni. Lo dimostrerebbe la dichiarazione della presunta lettura dei referti medici, riferita con grossolane alterazioni, secondo cui Wilma non sarebbe morta annegata, ma per collasso cardiaco conseguente alla somministrazione di stupefacenti. Ed anche questo dettaglio fa parte della scenografia capo cottala, dei discorsi sui bar. chetti e le orge a base di cocaina consumate nei misterio¬ sdttmasfptpngppvtldtpqsftnczsvrncttfdcvcp si recessi silvani della tenuta di caccia di cui anche la sentenza istruttoria ha constatato l'inesistenza. Tutto questo materiale era però necessario a Natalino Del Duca per costruire il suo romanzo, e che fosse un agente di polizia a parlargliene gli dava la certezza della verità, come vera poteva apparirgli la processione degli agenti 1 quali, sdegnati per l'intromissione del potere politico in faccende di polizia, passarono silenziosi davanti al questore Polito gettando la loro tessera sul tavolo e rassegnando in massa le dimissioni. Natalino Del Duca non poteva arrestarsi dinanzi al lato paradossale di una situazione quasi da vaudeville come questa, la "sua carica di < onesta fantasia » era tale da fargli intravedere gli sviluppi sensazionali che avrebbe avuto la faccenda. Tuttavia rimase silenzioso per un anno intero; lo scrittore di fantascienza vedeva 1 pericoli, e da buon autore poliziesco, si imbozzolava nel silenzio per non essere ucciso, ha detto, da chi aveva interesse ad eliminarlo per far tacere la sua bocca troppo informata. E continuò a nascondersi, a cambiar d'indirizzo, a celarsi sotto pseudonimi e travestimenti. Assaporava il piacere di vivere il suo romanzo prima di scriverlo. Dopo averlo'vìssuto e scritto (è stato pubblicato col titolo: Documento' Zeta), Natalino Del Duca non si è appagato e già sabato scorso, durante la prima parte della sua deposizione, l'ha offerto ai giudici come un contributo essenziale alla scoperta, della verità e questo ci sembra una contaminazione, un mescolare il sacro col profanò. Fino a questo momento, la fantascienza non può essere considerata una valida collaboratrice della giustizia. Dopo Natalino Del Duca e Francesco Servello, le udienze di questa settimana saranno in parte dedicate ad un gruppo di giornalisti romani i quali dovranno riferire sull't ufficio voci » che ebbe un peso decisivo nella costruzione di questo macchinoso affaire. Portati dalla loro professione a frequentare i più disparati ambienti della capitale, 1 giornalisti captarono queste «voci> e cooperarono alla diffusione, sia pure riferendole con .cauti « si dice », « sembrerebbe », < sarebbe ». &à'S\i}on fu : sufficiente usare i verbi al condizionale, nella pigra aria estiva di Roma si agitava un senso di insofferenza, di dubbio, di sospetto", che a poco a poco invase tutta la Penisola. Sotto certi aspetti non si può addossare ai giornalisti, e nemmeno a Natalino Del Duca, la responsabilità, jse vi è" una responsabilità, di una montatura, essi esprimevano lo stato d'animo del Paese, sbigottito dinanzi alla corruzione, al malcostume, an insipienza delle classi dirìgenti di cui si vociferava in quel periodo. Sotto certi aspetti, il < caso Montesi » rappresentò la prova del fuoco per il agirne democratico italiano, le inchieste fatte senza timori reverenziali per nessuno, il coraggio di mettere in piazza chi aveva responsabilità, dimostrarono ampiamente il desidèrio di denudare le magagne, curare 11 male fino alle radici ove questo fosse esistito. In questo desiderio di chiarezza, di fare tutto' alla luce del sole, ci furono forse eccessi di zelo; per colpire un trafficante di modeste proporzioni, condannabile fin che si vuole sotto l'aspetto morale, si arrivò e conclusioni di estrema gravità nei confronti di altre persone che, a«a fine, risultarono estrànee a tutta la faccenda. La loro estraneità fu largamente dichiarata, ma non è facile correggere una impressione di colpevolezza nell'opinione pubblica. Delle inchieste, rapporti, in dtqnZdevbgrundrasfiaqmmtupcgsrcBUcti i r i t < m i r1111 ! n 11 ( 111111 [im111111111 i i u i m ri! i ] i [ 1 dagini eseguiti durante le faticose istruttorie, parleranno questa settimana ai" giudici veneziani il colonnello Cosimo Zinza ed il generale Pompei, i due ufficiali dei carabinieri che ebbero gran parte in questa vicenda. Il col. Zinza fu il braccio destro del dott. Sepe, girò tutta l'Italia a interrogare I più singolari personaggi, un campionario di varia umanità che è entrato a far parte delle carte processuali con un rilievo romanzesco. Intercettazioni telefoniche, appostamenti, pedinamenti misteriosi, ricerche minuziose di figure che si legavano l'una all'altra nel giro di commerci quasi sempre poco chiari, formarono lo sfondo di questo macchinoso « affare » che si trascina faticosamente come un affannoso ' romanzo d'appendice. Il gen. Pompei, invece, fu l'autore di quelle indagini, ordinate dall'allora ministro degli Interni on. ' Amintore Fanfani, che si conclusero con II famoso « rapporto Pom¬ pei •■ giunto inopinatamente sul tavolo dei giudici romani al tempo del processo contro Silvano Muto. Fu proprio quel rapporto a far esplodere lo sbigottito risentimento popolare. Alla fine non è risultato nulla. Funzionari, professionisti, politicanti andavano talvolta a caccia, o a compiere qualche sgroppata con i loro cavalli a Capocotta, ma nella tenuta non c'era nulla che lasciasse sospettare traffici illeciti, o riunioni poco pulite. Il romanzo della cocaina tramontò malinconicamente, continuò a<j avere validità soltanto per Natalino Del Duca. Che la sentenza istruttoria Io abbia distrutto, che a Venezia non se ne parli affatto, può sembrare a taluni una frode che toglie interesse a questo processo. Ma non si può sostenere pervicacemente il falso per soddisfare l'immaginazione dei « fans » di romanzi gialli, o i desideri degli speculatori politici, Francesco -Rosso