Trovò la madre in un lago di sangue e sparò al padre che l'aveva uccisa

Trovò la madre in un lago di sangue e sparò al padre che l'aveva uccisa SVELATO IL MISTERO DEL DELITTO NELLA BAITA Trovò la madre in un lago di sangue e sparò al padre che l'aveva uccisa Il figlio dei coniugi rinvenuti assassinati ha reso una drammatica confessione (Nostro servizio particolare) Trento, 31 gennaio. Il mistero che avvolgeva la tragica fine dei coniugi Giovanni e Caterina Polonloli, rispettivamente di 54 e 50 anni, trovati lunedi sborso cadaveri con i corpi crivellati di proiettili d'arma da fuoco in una povera baita alpestre sopra Daone in Val Giudicarie, è stato oggi finalmente svelato. Il figlio degli uccisi, il manovale Bettino, di 21 anno, che disse di essere stato il primo a fare la macabra scoperta dei cadaveri dei genitori, abbattendo la porta d'ingresso della baita, ha confessato dopo lunghi e stringenti interrogatori, al col. Zinza, comandante dei carabinieri di Trento, noto per le indagini sul caso Montesi, come si svolse l'allucinante scena del duplice delitto nell'interno della misera stamberga. In un primo tempo egli, come si ricorderà, aveva detto che quando avvenne il delitto, cioè la sera di martedì della scorsa settimana, si trovava a Cimbergo, in provincia di Brescia, presso uno zio paterno per curarsi di una ferita riportata durante il lavoro al cantiere idroelettrico di Daone, dove prestava la sua opera. Tre giorni fa, cioè lunedì, era ritornato nel Trentino per riprendere servizio al cantiere e, giunto con l'autocorriera di Brescia a Daone, aveva sentito in paese delle voci sulla misteriosa scomparsa dei suol genitori. Salito allora alla baita dove essi abitavano aveva trovato la porta d'ingresso chiusa e il cane da guardia legato alla catena che ringhiava furiosamente. Assieme al parroco del paese e ad altre persone accorse sul luogo, aveva aperto l'uscio. Entrato nella cucina — sempre secondo le sue dichiarazioni — aveva scorto, con raccapriccio, i cadaveri del padre e della madre in una pozza di sangue ed era subito fuggito inorridito. Interrogato poi dai carabinieri della «Giudiziaria», non aveva saputo dare convincenti spiegazioni sostenendo sempre accanitamente il suo alibi. Le notizie raccolte dall'autorità inquirente sui precedenti della famiglia rivelavano però che acuti e profondi dissidi esistevano da qualche tempo tra i coniugi Polonioli, dissidi provocati, a quanto sembra, anche dal comportamento del marito che aveva stretto relazione con un'altra donna del paese e trascurava la famiglia. Inoltre, l'alibi presentato dal Polonioli veniva contraddetto dalle dichiarazioni di una donna di Daone, la quale affer- raava di aver visto alle 22 di martedì dell'altra settimana il giovane operaio appena sceso dalla baita assieme ad un suo cugino, Lino Ricaldini, di 22 anni, suo conterraneo. I due erano poi ripartiti il giorno successivo per il loro paese natale di Cimbergo. Le indagini dei carabinieri si sono concluse stamane allorquando il giovane Polonioli, che veniva ormai da sette ore sottoposto a continui interrogatori, è improvvisamente crollato. Tra convulsi singhiozzi egli ha detto: «La sera di martedi verso le 19 lasciai il paese di Daone, dov'aro ospite della signora Maria Colotti, e assieme al mio amico e cugino Ricaldinl salii verso la baita dove dormivano i miei genitori. Aprii la porta e mi trovai al buio. Trassi dalla tasca una lampada elettrica, l'accesi e un orrendo spettacolo si presentò al miei occhi facendomi gelare li sangue nelle vene. Vidi mia madre riversa al suolo ai piedi di uno sjvabello capovolto in un lago di sangue col cranio sfracellato e ormai cadavere. Nelle mani la poveretta teneva ancora un paio di calze di lana che stava rattoppando, «Intuii immediatamente quello ch'era avvenuto; mio padre, al termine di un violento litigio, aveva uccìso mia madre. Girando la lampadina, scorsi mio padre sed"to sulla cassetta e e o i a n ò e a i n a , . i a della legna, accanto al focolare. Egli teneva ancora tra le braccia il fucile da caccia a doppia canna dal quale aveva fatto partire ì colpi. Appena mi vide, tentò di balzarmi addosso con l'arma spianata. Con la forza della disperazione, sostenni una furibonda lotta finché riuscii n strappargli di mano l'arma omicida. Rivolsi la canna del fucile contro di lui e sparai due colpi a bruciapelo colpendolo mortalmente al petto. Mio cugino assistette esterrefatto al raccapricciante e fulmineo epilogo della tragedia. c Collocai il fucile accanto al corpo caduto riverso sulla cassa, poi chiusi la porta dall'interno, levai la chiave dalla toppa e la misi sul tavolo della cucina. Quindi uscii dalla porta del fienile, e giunto all'aperto seguito da mio cugino scesi precipitosamente la china della montagna verso Daone. Nessuno ci aveva visti. All'indomani mattina partimmo per Cimbergo. Il resto è noto >. Il Polonloli ha sostenuto di aver sparato contro il padre per vendicare '.a re. '.-ima da luì uccisa. Dopo la c ,»mmatìca con fessione, ripetuta più tardi alla Autorità giudiziaria, il parricida è stato nel tardo pomeriggio arrestato e tradotto alle carceri di Trento assieme al Ricaldinl che aveva confermato i parti colar! della scena di cui' era stato testimone. _ g. n Bettino Polonioli (a sinistra) e U cugino Lino Ricaldini varcano la soglia dell'ospedale di Trento (Telefoto)

Persone citate: Bettino Polonioli, Caterina Polonloli, Lino Ricaldini, Maria Colotti, Montesi