Uomini e bestie

Uomini e bestie Uomini e bestie Nell'amore degli .uomini per gli animali è sempre presente, forse senza eccezione, un criterio discriminativo che si fpnda su tre dati fondamentali: la bellezza, l'intelligenza e la commestibilità. La nostra zoofilia non esce da questi limiti, ai quali se ne aggiungono altri complementari; sicché sul criterio della bellezza influiscono numerosi elementi restrittivi, per i quali non basta che un animale venga giudicato bello per diventare amabile: il leone è magnifico ma incomodo, la tigre è stupenda ma crudele, lo sparviero- elegante ma notoriamente spietato. C'è poi il ribrezzo suscitato dal viscido, dal molle, dal velenoso, e soltanto gli esteti più coraggiosi trovano belli il serpente, il ragno o lo scorpione. Così, a furia di escludere, ci si riduce agli animali innocui o addomesticabili, come il cane, il gatto, il cavallo o il canarino. Non vogliamo ora riaprire la millenaria controversia sull'intelligenza, ma ci sarà lecito asserire, sulla scorta dei più recenti contributi della psicologia, per una volta d'accordo col senso comune, che l'intelligenza degli animali raggiunge la propria perfezione nel cerchio di un'esistenza fine a se stessa. L'animale non coordina, non deduce, non ore», ma al contrario di noi che non riusciamo mai a saperlo, sa tutto quel che occorre per sussistere. Ogni specie ha un suo codice naturale e lo segue scrupolosamente, sia per difendersi che per assalire, per utilizzare le forze e per ricuperarle. Nulla di più organizzato e di più sistematico della bestia: l'iniziativa, la novità, non la interessano, anzi la disturbano; e poiché non è mai pessimista, non prevede il peggio, neppure quando la portano ai macello. (Se riesce, come sembra, a presentire i terremoti, probabilmente lo deve a certi organi di captazione magnetica a noi ignoti). La sua condotta è dunque esemplare, almeno nel senso preconizzato dai nostri più zelanti collettivisti: ad ogni necessità vitale corrispondendo un atto preciso e immutabile, diretto da quel dittatore invisibile che abbiamo l'abitudine di chiamare istinto. Ma anche quando , lo chiamiamo intelligenza, non per questo siamo meno parziali; e infatti la concediamo alla scimmia e non alla galena, alla volpe e non alla marmotta; mentre proprio a proposito di quest'ultima bestiola, diventata sinonimo di stupidità, dovremmo chiederci se il suo modo di sfuggire ai rigori dell'inverno chiudendosi nel letargo non sia una prova d'astuzia molto più sottile di quella proverbiale della volpe, costretta ad aggirarsi a suo rischio e pericolo anche nelle notti più rigide, fra le tagliole e i contadini armati. Una buona ibernazione, e quanti problemi, pure per l'uomo, non sarebbero risolti! Noi, portati a confondere la intelligenza col mimetismo, ci incantiamo davanti agli animali che sappiano rifare qualcuno dei nostri gesti; dimenticando che in tal modo l'animale va contro natura, si degrada, forse si immalinconisce, come capiterebbe a noi se fossimo costretti ad abbaiare o a belare. Gran parte della favolistica è fondata su questo « umanizzarsi » delle bestie; ma la favola, in quella sua apparente misantropia a sfondo moralistico, rimane una spudo- qriNlesfsaahbdl'dgsrbbcbstausvmbcdnmafltumsillstccstfmèeicmumtedsnsllrqmsepeiasrata prova d'orgoglio: volendoIditnostrare che il culmine della1 potenza nel creato è il parlare 'il discutere, l'ingannarsi e l'as-1° , , . i servirsi reciprocamente, y,l der.-jdersi e il sopraffarsi, come e nel- Ie nostre inveterate consueti!- : dini. Ma dove la ., . : nostra ingiustizia livcnta paurosa e nel terzo pini "Ireti- [derisene conto è consigliabile la'to, la commestibilità. Per lettura di un libro, « Gli animali nella storia della civiltà », di Morus (pseudonimo di Richard Lcwinson), edito in questi giorni da Einaudi. Non è opera del tutto convincente, specie laddove si abbandona a qualche troppo rosea speranza evoluzionistica, ma la si può accettare senz'altro nella parte che riassume il comportamento umano verso le bestie. Si potrebbe addirittura modificare il titolo: «Gli animali sacrificati alla civiltà »; perché vi si dimostra che l'uomo, « il più avido di tutti gli animali feroci », se da quando è apparso sulla terra si è abbandonato alle stragi più perverse e più gigantesche, ha tuttavia raggiunto nei nostri tempi la suprema raffinatezza con gli sterminati allevamenti di animali « utili », cioè buoni da mangiare, o da tosare, da spennare, da scorticare. Qui la zoofilia si confonde con la più sfacciata menzor gna, se è vero, coinè forse è vero, che neppure le più tenere zitelle britanniche arretrerebbero davanti a una bistecca di man- j. zo o a un collarino di martora, iE qui anche il criterio della bel- lezza e della domesticità vieni messo in crisi: noi non uccidia- j■no il cane e il gatto iicrché ic! i„„ ™-„: „ • i- . loro carni sono indigeste; ma , .? iforse che il vitello e il capretto, con quei loro occhi puerili, con, quclla loro voce di tromba o di riauto, sono meno commoventi? Non spariamo contro i corvi e le gazze, perché le lori) polpe risultano piuttosto legnose, ma forse che le starne e i tordi non sono più gentili, più allegri e amabili? E quale destino più atroce di quello del maiale, che ha la sventura d'essere « tutto buono»? E che dire del galletto di primo canto, della trota, dell'ostrica, che hanno il solo torto di rivelarsi saporiti? Non mangeremmo mai un gufo, una biscia, una medusa. Fortunati i coriacei! (E non soltanto fra le bestie). Il Morus parla di quei cannibali dell'America meridionale che ingrassavano gli esploratori bianchi prima di mangiarli. Costumi altamente riprovevoli, certo; ma siamo proprio sicuri che anche in Europa, se le carni umane si rivelassero davvero squisite... Parliamo d'altro. La verità è che l'affetto per gli animali rimane un sentimento ambiguo, soggetto a un numero così grande di emendamenti e di riserve, che forse una dozzina di specie su un milione e mezzo, quante se ne sono fino ad oggi contate, ne possono usufruire. La vita degli animali sulla terra è dunque esclusivamente nelle nostre mani. Basta che una moda cambi, e tempi calamitosi si annunciano per gli struzzi, i canguri, i coccodrilli, i castori, tutti gli animali da pelliccia e tutti i pennuti; e anche le pecore, se si troverà un buon surrogato della lana, finiranno tutte quante sullo spiedo. Senza contare il piacere gratuito della caccia: dell'uccidere per il gusto di mirar giusto, di far centro, che è uno degli spassi preferiti dagli uomini, come lo dimostrano le guerre, nelle quali è tutta questione di buona mira, e come lo conferma, nei casi più innocenti, la frenesia per il giuoco del calcio. Noi ci danneremmo l'anima pur di colpir bene un bersaglio; e milioni di animali pagano ogni anno con la vita questa nostra smania atavica e forse insopprimibile. Non si potrà dunque parlare di vera zoofilia fin quando sussisteranno queste discriminazioni, non troppo dissimili, del resto, da quelle che escludono dalla nostra società un'autentica filantropia. L'atteggiamento più ragionevole, perciò, ci sembra quello di agire verso gli animali come verso i nostri simili, cioè mediante una scelta, prendendo j sotto la nostra protezione gli j esemplari preferiti, gatto, cane o ! cavallo, e lasciando libero cani- i po al solo sentimento spontaneo ; e sincero, la simpatia. Ma non I palliando di amore illimitato per l'intera creazione: un amore impossibile, almeno per creature imperfette, incoerenti, affamate, freddolose, vanitose, ed esposte a tutte le tentazioni, quali noi siamo. G. B. Angioletti oiiiiiiiniiuniiiiiiniiiiiiiiiniiiiiuiMMuiiiiiiNi

Persone citate: Einaudi

Luoghi citati: Europa