Piccioni si difende con fermezza per due ore Polito affrante deve sospendere Ia deposizione

Piccioni si difende con fermezza per due ore Polito affrante deve sospendere Ia deposizione II 1Vif»tt itale di W&m&ziu ha deeisa di eampieve un sapràImaya a Tavvaiani&a Piccioni si difende con fermezza per due ore Polito affrante deve sospendere Ia deposizione II musicista sostiene che era malato quando la Montesi moriva - Non ricorda la telefonata di Alida Valli: forse confidò a lei la sua pena per le voci che circolavano - Conobbe Amka Maria Caglio in lite con Montagna e la ospitò nel suo appartamento di scapolo in via Acherusio - L'ex-questore di Roma, stanco e malato, ha parlato con passione e disordine: "Il pediluvio non l'ho inventato io,, - Severo richiamo del P. ili. - L'anziano funzionario di nuovo interrogato oggi (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 22 gennaio. Ancora un preambolo costituito da un discreto numero di eccezioni e richieste presentate da alcuni difensori, e finalmente la porta grande del processo Montesi si è spalancata, i protagonisti sono entrati nel vivo della vicenda a raccontare ognuno la « sua verità » in questa avventura giudiziaria che ruota attorno alla invisibile ma presente figura di una ragazza morta a 21 anno in un deserto tratto di mare. Piero Piccioni prima, Saverio Polito poi, hanno inteesuto la trama a maglie piuttosto larghe, dell'inquietante romanzo che la polizia, la magistratura, il pubblico cercano invano di decifrare da quarantaquattro mesi. L'interrogatorio dei due Imputati ha avuto fasi alterne: calcolate ed esatte le risposte di- Piero Piccioni; patetiche, agitate, anfananti quelle di Saverio Polito. E' stato un gioco di contrasti da cui è balzata la diversa personalità dei due personaggi chiamati a recitare controvoglia una parte non certo lieve e piacevole. La diversità dei loro atteggiamene ti derivava dalla diversa situazione in cui si trovano. Piero Piccioni, se riuscirà a convincere i giudici della sua innocenza, andrà assolto e nessuno gli chiederà più con allusiva malignità notizie di Capocotta. Per Saverio Polito la situazio¬ ne è drammatica sempre, an CHe-,S%^CCÌ°1nÌ f-°lSe assoU,°'|Ved ,1 Tribunale dichiarasse la insussistenza del reato, l'ex-j IldzUtastari è11tianmcpngchsdtnrstvcmladm■dsTndallllsquestore dì Roma potrebbe ugualmente, e così Ugo Mon tagna, essere condannato per favoreggiamento perché intervenendo a coprire Piero Piccioni, 3ia pure innocente, secondo l'accusa egli avrebbe impedito che le indagini eì svolgessero in tutte le direzioni, e quindi avrebbe intralciato il cammino della Giustizia. Appare così logico il diverso atteggiamento dei due imputati di fronte ai giudici, distaccato, raziocinante, calmissimo, sia pure con la sospettosa cautela dettatagli dal luogo in cui si trovava, cioè davanti a un collegio di giudici, abituati alla sottile indagine, anche psicologica, Piero Piccioni ha dato l'impressione di essere sicuro di sé e della sua causa. Preoccupato di cancellare l'ianpressione, ed in taluni anche la convinzione, ch'egli si sia mosso con troppa sollecitudine, dimenticando la sua posizione di questore di Roma, per far piacere.ad un ministro, Saverio Polito ha dato fondo alle sue risorse mimiche, agli atteggiamenti patetici, modulando la voce al pianto ed alla commozione, recitando davvero la sua parte. Ma prima che 1 due protagonisti comparissero davanti ai giudici, i difensori : avevano ancora in serbo una piccola riserva d'incidenti procedurali e li hanno smaltiti ad uno ad uno con grave disappunto del pubblico accorso stamani più numeroso di ieri. Gli agenti che provvedevano al servizio d'ordine hanno filtrato la-folla che si era formata davanti al Palazzo di Giustizia lasciando entrare piccoli gruppi, tre persone alla volta, finché hanno ritenuto di impedire ogni ingresso. Il poco spazio riservato al pubblico si è esaurito presto, ma nessuno si è mosso dalla posizione raggiunta fino al termine dell'udienza, anche se l'aula ha. un'acustica tra le più infelici e poco 3i sente di ciò che si dice nell'emiciclo. Dopo un breve intervento dell'aw. Taddei, difensore di Adriana Bisaccia, che ha chiesto di leggere subito l'interrogatorio della sua cliente, c'è stata un po' di. sorpresa, Si saputo che la estrosa ragazza dei bar esistenzialisti di via del Babuino non ha intenzione di venire a Venezia, il pensiero del trauma psichico provato al tempo del processo Muto non la consiglia a ritentare la prova, teme d'impazzire se fosse costretta a parlare ancora di quegli avvenimenti Poco dopo ha preso la parola un difensore di Piero Piccioni per chiedere al Tribunale un sopraluogo a Capocotta ed a Tor Vaianica giustificando la sua richiesta con la necessità che i giudici ascoltino imputati e testimoni dopo essersi resi conto della natura dei luoghi. Non si può parlare di Capocotta, dopo il romanzo torbido che è stato scritto su quel pre sunto luogo di crapula e di vi zio, senza aver visto che cosa sia lo stanzino corredato di due brande in cui il marchese di" San Bartolomeo ed il suo amico Piero Piccioni avrebbero dato appuntamento alle loro servizievoli amichette. Dopo aver veduto quel buco, i giudici potranno rendersi conto, ha detto il difensore, della fede che si può prestare alle altre dichiarazioni di Anna Maria Caglio. « Bisogna — egli ha detto — che vediate la località in cui Fortunato Bettini scoprì il corpo di Wilma Montesi la mattina dell'll aprile 1953, quella località dove, un'ora prima che Fortunato Bettini facesse la sua macabra scoperta, era passato un altro operaio, mai cercato né identificato, il quale disse al Bettini stesso che il cadavere non c'era anoora >. Altri difensori si sono associati all'oratore chiedendo che mapanrtldcnscnrCsNrqmn1vldCpCp Vaianica, ad una distanza chilometri circa. Lo si j accaduto al suicida Vari Il sopraluogo fosse fatte immediatamente, ancor prima di iniziare gli Interrogatori. L'aw. Ungaro, difensore di Ugo Montagna, ha affermato l'utilità del sopraluogo, ma non immediatamente. C'è tempo per decidere, anche dopo aver ascoltato i testimoni. Contrario alla tesi è stato Invece l'aw. Cassinelli 11 quale, agitando la sua spettinata chioma bianca nei gesti ampi e drammatici che gli sono consueti, in nome della famiglia Montesi ha dichiarato che il sopraluogo sarebbe superfluo. Il P. M. Palminteri ha riconosciuto la necessità di una gita a Capocotta e Tor Vaiaijica, mi non subito. Semmai, egli ha detto, 1 testimoni che possono deporre sulle circostanze di aver veduto una macchina transitare nel fin troppo nominato recinto di caccia il pomeriggio del 10 aprile 1953 possono essere invitati a rlpresentarsi sui luoghi ed essere nuovamente interrogati. Egli ha chiesto inoltre che sia richiamata dalla Procura di Roma la pratica relativa al suicidio di Ettore Vari, gettatosi nel mare di Ostia nel settembre ■del 1947 e ritrovato cadavere sulla spiaggia-di TorVaianica. Tale richiesta si riferisce alla nota tesi della disgrazia accaduta a Wilma Montesi recatasi a bagnarsi i piedi malati nell'acqua di Ostia. Colpita da malore, sostennero i suoi familiari, la poveretta fu trascinata titilla corrente marina Ano a Tor di sedici chilometri circa. Lo stes ma il suo corpo fu trovato in avanzata decomposizione, per percorrere quel tratto deve aver impiegato circa un mese, non una giornata e mezzo co-rne avrebbe fatto Wilma Mon-tesi. Il P M. ha chiesto anche la eiezione di alcuni agenti della Questura di Parma per chiarire la posizione di don Tonino Onnls, parroco di Traversetolo, a cui si presentò la sconcertante e inafferrabile « Gianna la rossa >. Ha chiesto ancora la citazione del giornalista Cesarini. Sforza, il primo che sul periodico comunista Vie Nuove accusò apertamente Piero Piccioni incorrendo In una querela per diffamazione rimessa poi in udienza. . Dopo circa un'ora di permanenza In- Camera di Consiglio, 11 Tribunale ha deciso di riservarsi sulla data per il sopraluogo e sulle citazioni richieste dal P. M. pur ammettendole. Così, in un giorno ancora imprecisato, i giudici andranno, a Capocotta a vedere con i propri occhi il luogo che, per un certo periodo, divenne il centro della riprovazione e il bersaglio delle satire di mezzo mondo, fu il sinonimo della corruzione e del vizio sfacciato, della sadica crudeltà di una società avviata allo sfacelo morale. E il processo si arricchirà di altri quattro testimoni, la compagnia si infoltisce lungo 11 cammino. Sgombrata anche questa parte procedurale, la vicènda giudiziaria si è finalmente messa In moto, ora camminerà verso la logica conclusione della sentenza più o meno speditamente, a seconda degli inevitabili intoppi che si frapporranno. Esaurite richieste e riserve, il Presidente ha chiamato nell'emiciclo Piero Piccioni. Avanzando con passo sicuro, dopo aver fatto un breve inchino al collegio giudicante, Piero Piccioni è rimasto in piedi ad ascoltare la lettura del capo d'imputazione dal quale risulta che egli, allo scopo di far sparire il cadavere, avrebbe abbandonato il corpo di Wilma Montesi, creduta morta ed invece soltanto stordita dalle droghe che le avrpbbe propinato per eccitarla, la sera del 10 aprile 1953 sulla spiaggia di Tor Vaianica. Per dimostrare che egli non è colpevole di quel delitto, Piero Piccioni possiede un alibi, un discusso alibi a cui l'accusa non presta fede e che. non esita a dichiarare falso. A convalidare il suo alibi, Piero Piccioni ha chiamato amici, conoscenti, professionisti di rinomanza e l'accusa sostiene che essi, in buona fede, sbagliano. Tutta la difesa di Piccioni si imposta sull'alibi che egli ha fornito e che oggi ha ripetuto e descritto in ogni det|tBEr]j0 con chiara e sicura espo1 ottone. Quando il Presidente ; glielo ha consentito, egli si è ; seduto nell'emiciclo ed ha Inco- minciato a parlare. Era pallido in volto, la preoccupazione di apparire logico e di non commettere errori era evidente in lui soprattutto per il pallore del volto in cui, febbrili ed irrequieti, spiccavano gli occhi scurì. ■ . 'indossava un abito grigio a righe, modesto e austero, accavallava le gambe in gesti un po' nervosi, muoveva le mani -ad accentuare -le parole che pronunciava à voce bassa, "quasi"Impercettibile' "dòpo la seconda fila degli avvocati. La sua esposizione era chiara, nitida, tutta indirizzata ad una concatenazione logica di date ed avvenimenti. Quando parlava di Alida Valli, diceva: «La -signora Alida Valli»; quando parlava di Anna Maria Caglio, diceva: «La signorina Caglio» con naturalezza, senza forzature per apparire educato con tutti. Quasi tutta la sua deposizione è stata concentrata sulla malattiia che, egli afferma, lo tenne a letto la sera del 9, tutto il 10 ed anche VII aprile, cioè i giorni in cui il misterioso destino di Wilma Montesi si compiva sulla spiaggia di Tor Vaianica. Si è parlato a lungo di ascessi tonsillari, di febbri, di inlezioni di penicillina, di analisi. Presciente — Vuol dirci in che giorno è partito da Roma? Piedoni — Era il sabato precedente la domenica delle Palme e mi recai ad Amalfi, ospite nella villa dei coniugi Ponti. Dopo alcuni giorni mi sono recato a Capri in compagnia' della signora Alida Valli e sono ritornato ad Amalfi il Venerdì Santo, verso le 9 di mattina, ancora ospite a villa Ponti. Qui fui colpito dal primo attacco tonsillare. Venne il medico che mi ordinò di stare a letto alcuni giorni. La mattina del 9 aprile 1953 partii da Amalfi con la signora Valli e la accompagnai in macchina fino a Sorrento dove rimasi fino alla partenza del battello con cui la signora Valli tornava a Capri a riprendere il bagaglio. Presidente — A che ora è ripartito da Sorrento? Piccioni — Potevano essere le 10,30 o poco più. Presidente — Ed a che ora è arrivato a Roma? Piccioni — Verso le 14,30. Avevo fatto 11 pieno di benzina a Sorrento e non mi sono più dovuto fermare. Ho impiegato una cinquantina di minuti da Sorrento a Napoli e poco più di tre ore a coprire i 230 chilometri fra Napoli e Roma. Con una « 1400 » non è un record, anche se ho viaggiato ad andatura sostenuta. Il male alla gola e la febbre mi spingevano ad arrivare a casa il più presto possibile. Piero Piccioni ha tenuto a sottolineare questo dettaglio perché nella sentenza di rinvio a giudizio l'accusatore dice ch'egli era spinto a tornare a Roma al più presto per una diversa ragione, non con il mal di gola va posta in relazione tanta fretta, ma piut tosto « con l'uscita del pari tanto frettolosa di Wilma Montesi proprio nel pomerìggio del 9 aprile». Secondo l'accusa, cioè, Piero Piccioni aveva appuntamento con Wilma a e non voleva mancarlo: Capocotta attendeva la coppia. Presidente — Quando è tornato a casa c'erano presenti i suoi familiari? Piccio-ni — Sì, mio fratello e mia sorella avevano già pranzato col babbo. Io mangiai poco perché U mail di gola m'impediva di deglutire. Andai a riposare un poco, ma il male mi tormentava e fu così che in casa mi consigliarono di farmi visitare da uno specialista. Presidente — Chi ebbe l'idea di rivolgersi al prof. Filipo? Piccioni — Non ricordo se mia sorella, o mio fratello. Telefonarono al dott. Zingale, dìrettore della segreteria di mio padre al Viminale, che provvide a fissare l'appuntamento con il prof. Filipo per lo stesso pomeriggio. Presidente — A che ora si è recato allo studio del prof. Filipo? Piccioni — Verso le 18 del 9 aprile. Con la macchina passai al Viminale per prendere il dottor Zingale ed insieme andammo dal medico. Dovetti fare un po' di anticamera perché il prof. Filipo aveva altri clienti prima di me; quando mi ricevette nel suo studio c'era anche una signorina, credo la sua infermiera, che assistette alla visita. Presidente — E quale fu la diagnosi? Piccioni — Si trattava di un ascesso tonsillare con febbre. Il prof. Filipo mi prescrisse iniezioni di cristallicina ed alcune pastiglie calmanti. Col dott. Zingale tornai al Viminale dove il maresciallo Todaro, fattorino del Ministero, provvide a far comperare i flaconi in farmacia. Lo stesso maresciallo Todaro mi praticò la prima iniezione verso le 21 del 9 aprile. La seconda, me la fece il mattino dopo, a distanza di dodici ore, come aveva prescritto il prof. Filipo. Presidente — Ma non ci furono altri mèdici che le praticarono iniezioni in quei giorni? Piccioni — Sì, il dott. Bernardini e il suo assistente dottor Rizzi. Erano entrambi miei amici, venivano sovente a trovarmi. Poiché la febbre non diminuiva mi praticarono delle iniezioni, non ricordo quante. Presidente'— Era la stessa materia che le aveva prescritto il prof. Filipo? Piccioni — Non ricordo, ma credo di sì. Presidente — Non trova strano che il prof. Filipo le prescrivesse un'iniezione ogni dodici ore ed i suoi amici medici glie ne facessero con maggior frequenza? Piccioni — In quei momenti non ero in grado di controllare ciò che accadeva, il male di gola e la febbre me lo impedivano. Tanta insistenza del Presidente su questi particolari si comprenderà meglio tenendo conto di ciò che asserisce l'Accusa. Accettando questa versione dei fatti appare chiaro che il pomeriggio e la sera del 9 aprile Piero Piccioni non poteva essere con Wilma Montesi, né poteva essere presele a Capocotta la sera del 10, quando la disgraziata fanciulla, secondo là tesi accusatrice, sarebbe morta annegata. Per scalzare l'alibi di Piccioni, l'Accusa dice che è AgacsdtrsbmntsstsapV falso basando la sua convinzione su un fatto: la ricetta firmata dal prof. Filipo ha una data alterata, una ricetta del 9-1-1953 sarebbe stata corretta, l'uno sarebbe stato trasformato in un quattro, la data sarebbe perciò diventata 9 aprile 1953. L'alterazione è risultata da una perizia calligrafica, ma il prof. Filipo ha assicurato di aver visitato Piero Piccioni il 9 aprile, non il 9 gennaio, la presunta alterazione non sarebbe una correzione, ma un modo poco consueto di scrivere il quattro in due tempi, tirando un'asticella verticale e sovrapponendo poi i due lati di un piccolo triangolo. Il professor Filipo, invitato a ripetere l'esperimento, pare che non sia più riuscito a scrivere un quattro identico a quello segnato sulla ricetta da lui firmata. Ma per provare di aver visitato Piero Piccioni quel giorno, egli ha esibito la sua agenda dove il nome del giovane musicista risulta segnato tra quelli di altri clienti passati nel suo studio il 9 aprile 1953. L'accusa sostiene che il nome è stato aggiunto dopo, durante la fabbricazione dell'alibi. Presidente — Il prof. Filipo è venuto a visitarla a casa? Piccioni — Una volta, mentre ero a letto. Il giorno 13 mi alzai, il giorno 14 andai nuovamente nello studio del prof Filipo per la visita di controllo. Presidente — Lei conosceva Corinna Versolatto? . Piccioni — Mai sentita nominare. Presidente — Sull'agenda di quella donna è stato trovato il suo numero di telefono, il 561920, che non è segnato nell'elenco di Roma. Chi può averglielo dato? Piccioni — Non so, non io certo perché questo nome l'ho sentito la prima volta dal giudice istruttore. Con Corinna Versolatto, la strana segretaria di Mario Amelotti, un alessandrino che gestisce alcuni locali notturni a Caracas, la vicenda ha svi* colato nei meandri del mondo sotterraneo degli spacciatori di stupefacenti. Dopo aver tentato di avvelenarsi col sonnifero, Corinna Versolatto fu ricoverata all'ospedale di Alessandria e raccontò di orge a base di stupefacenti che l'Amelotti avrebbe organizzato nella sua villa di Valle S. Bartolomeo, poco distante da Alessandria, con festini a base di stupefacenti e lo accusò di altre faccende poco pulite. Le sue dichiarazioni non furono assunte a verbale e perciò non possono trovar credito. La Versolatto, approfittando d'un momento di distrazione degli agenti che la custodivano, si buttò da una finestra dell'ospedale e questa volta riuscì ad uccidersi; le sue accuse contro l'Amelotti non furono mai provate. Sulla scia di Corinna Ver¬ solatto è apparsa anche Anna Maria Caglio, viva e circostanziata accusatrice di Piero Piccioni e di Ugo 'Montagna. « Ugo Montagna trova le ragazze e fornisce le droghe, Piero Piccioni le uccide. Così ha ucciso Wilma Montesi ». Quest'accusa lanciata da Anna Maria Caglio in uno strano testamento sequestrato alla Posta durante il processo contro Silvano Muto è l'origine dell'attuale processo. Senza la Caglio non ci sarebbero 3tate le Bisaccia, le Ganzaroli, le Borgatti, i Pierotti, le Caramello e la schiera che ha inviato 600 lettere anonime al giudice Sepe narrando rocamboleschi romanzi di spaccio di stupefacenti sempre con Piccioni e Montagna protagonisti. Presidente — Quando ha conosciuto Anna Maria Caglio? Piccioni — Ho veduto la signorina Caglio per la prima volta alla sede della RAI. Non ricordo esattamente la data, era però estate, giugno o luglio. Venne a cercarmi perché, disse, voleva imparare il canto e il pianoforte. Presidente — In quell'occasione le parlò di Ugo Montagna? ■ Piccioni — Non ricordo, ma non credo. Presidente — Durante un suo interrogatorio, la Caglio disse di aver ascoltato una sua telefonata a Ugo Montagna il 10 aprile 1953, poi rettificò dicendo che la telefonata' sarebbe avvenuta il 14 aprile. Ricorda quale è la data esatta e 11 tenore di queste telefonate? Piccioni — Nell'ordine delle cose, poiché conoscevo Montagna, non posso escludere di avergli telefonato, ma lo ritengo improbabile, in quei giorni ero torturato dal mal di gola e dalla febbre. Presidente — Lei possedeva un appartamento privato in via Acherusio, vi andava sovente ? Piccioni — Con una certa frequenza, lì avevo la mia discoteca, il pianoforte e li andavo a studiare e comporre. Presidente — Ha portato Anna Maria Caglio in quell'appartamento ? Piccioni — Una volta sola. Un giorno mi telefonò chiedendomi un appuntamento. Pensavo che volesse tornare sull'argomento delle lezioni- di musica e canto, incarico che non volevo accollarmi perché non mi interesso alla gente che non ama la musica. Lo scopo, però, era un altro. Presidente — E quale? Un po' perplesso, Piero Piccioni ha allargato le braccia intenzionato a chiudersi in una giustificabile riservatezza di fronte ad un argomento alquanto scabroso. Infine, trovata la giusta intonazione, disse: — Mi aveva dato appuntamento in una piazza ed è naturale che vi andassi, per uri po' continuò a parlare di lezioni e di musica, ma infine mutò argomento. Mi raccontò della sua relazione .con Ugo Montagna, di dissapori sorti tra loro, mi pregò di intervenire per fargli fare la pace con il suo nmico. Presidente — E lei che ha fatto? Piccioni — Quando ho sentito che era amica di Montagna ho visto le cose sotto un altro aspetto. Poiché era amica di un mio amico, la portai a casa, ma non da mio padre, badi bene, a casa mia. Presidente — In via Acherusio? Piero Piccioni ha annuito ed ha chiuso in tal modo l'argomento scabroso. Piero Piccioni ha dichiarato di non aver mai conosciuto né visto Wilma Montesi (Tel.) V Un atteggiamento di Polito che si è proclamato vittima di oscure mucchlnazioni (Tel.) Montagna in albergo col suo legale avv. Bellavista (Telef.)