Ragazze italiane in Inghilterra con 4 soldi, per imparare la lingua di Clara Grifoni

Ragazze italiane in Inghilterra con 4 soldi, per imparare la lingua Ragazze italiane in Inghilterra con 4 soldi, per imparare la lingua Storio delle giovani che vanno a Londra "au pair,, - Vita non sempre comoda: anchéla celebrata correttezza inglese ha le sue ombre - Poi ci sono le figlie di papà che spendono molte sterline e non imparano nulla (Nostro servizio particolare) Londra, gennaio. Un giorno, mentre uscivo da Selfridges, il più grande emporio della città, venni fermata da una ragazza bruna piuttosto bellina, col capo avvolto in uno di quei fazzoletti a colori che portano impressi i monumenti di Londra; per cui il suo sorriso un po' incerto mi apparve inquadrato fra l'Abbazia di Westminster in rosa e Palazzo Buckingham in azzurro. Disse che mi seguiva da alcuni minuti, sembrandole di avermi già vista altrove: c Sbaglio, o lei abita a Torino come me?>. Quando seppe che non sbagliava mi chiuse le mani in una stretta esuberante. <Ho avuto fortuna — dichiarò. — Sono contenta. Poco fa mi sentivo a terra >. E messasi al mio fianco, prese a parlar di sé con voce squillante nell'ovattato traffico di Oxford Street, raccontando una storia che è quella di migliaia e migliala d'altre ragazze, venute dall'Italia con spirito vagamente pionieristico a sorbirsi piccole o grosse porzioni d'Inghilterra, per impa¬ rar la lingua e raccogliere esperienze. Questi viaggi a scopo istruttivo, già largamente diffusi tra le scandinave, le tedesche, le svizzere e le olandesi, vennero ai moda fra noi dopo che un rotocalco milanese ebbe pubblicato una fotografia nella quale si vedeva la figlia di Petitpierre, allora Presidente della Confederazione elvetica, occupata a lavar piatti in una casa di Londra, come « ragazza au pair ». La formula, che rendeva accessibili 1 lunghi soggiorni esteri anche alle giovani sprovviste di grandi mezzi e offriva alle altre un nuovo snobismo, fece colpo sulla media e piccola borghesia. Le prime a partire furono alcune lombarde che, attraverso la rete delle conoscenze o gli annunci del Times, avevan trovato la famiglia inglese disposta a nutrirle e alloggiarle, in cambio di lavori domestici; seguirono a breve scadenza le piemontesi, le toscane, le emiliane e, ultime, le emancipate dei Sud. La torinese Miranda C.,' che camminava al mio fianco in Ox- ford Street, ai* era decisa al viaggio dopo aver perso contemporaneamente il fidanzato e l'impiego; era partita per Londra come si parte per la Legione Straniera, con una modesta valigia, un cuore a pezzi e l'ultimo stipendio nella borsetta. All'arrfvo potè sistemarsi in una pensioncina di Victoria con l'aiuto di un'amica, che poi l'accompagnò per le agenzie a cercarsi un posto di « ragazza au pair >. In attesa di trovarlo, la signorina Miranda tentò di occuparsi come universa! auntie, che vuol dire zietta universale ed è lo scherzoso attributo delle giovani donne — studentesse per lo più — che si recano nelle case a sorvegliare i pargoli, mentre i genitori vanno ai cinema o al ballo; ma il muro della lingua si drizzò subito fra lei e i bambini, generalmente troppo piccoli per tradurre in parole i suol gesti e ammicchi, secondo il codice dei sordomuti. Oh, le lotte e le umiliazioni del forestiero, che giunge in Inghilterra convinto di sbrogliarsela con l'inglese, frettolosamente studiato; e un'ora dopo l'arrivo si accorge di non sbrogliarsela affatto (gli ci vorranno mesi per familiarizzarsi col th bleso, per aspirare l'acca < col soffio necessario a spegnere una candela > e, comunque, per Interpretare 1 rapidi scoppiettìi uscenti dalle bocche Inglesi)! Miranda C. sostenne queste lotte, impugnando scope e strofinacci in una casa di Finchley, nella barriera londinese, dove ebbe luogo il suo debutto come < ragazza au pair», che è un ruolo teoricamente ben definito, ma praticamente esposto agli abusi. Au pair, significa alla pari e sottintende che l'ospite, trattata come un membro della famiglia, avrà dei doveri (scelti in precedenza: governo dei bambini, faccende domestiche lievi, insegnamento della propria lingua e via dicendo) controbilanciati da precisi diritti (tempo a disposizione per lo studio dell'inglese, due o, tre libere uscite settimanali, oltre a un giorno di riposo completo, e sette-otto sterline mensili per le piccole spese). Ma poiché nessuno dei sindacati facenti capo all' Home Office tutela le « ragazze au pair », queste devono affidarsi interamente alla correttezza britannica; che è notevole, come si sa, ma non equamente ripartita fra tutti i britanni. E, per esempio, alla famiglia in cui capitò Miranda ne era toccata pochina, benché il marito fosse un rispettabile uomo d'affari in bomburg-hat, lobbia nera, e la moglie parlasse col vellutato accento i soavi balbettii propri della upper class, la classe alta. Balbettando, ma con fermo ciglio, la padrona di casa fece dell'ospite la sua serva in pochi giorni; e se l'ospite, che a casa propria non aveva mai fatto bucati, né strofinato pavimenti, si mostrava inferiore alla bisogna, piove/ano secche rimostranze. In quattro mesi la ragazza cambiò di casa tre volte, in ognuna trovando lo stesso odore di cooking-fat — grasso da cucina che viene usato e riusato sino ad estinzione — gli stessi fumosi caminetti e, su per giù, lo stesso gelido trattamento. Allora trasmigrò in provincia e nei pressi di Oxford la gaia tribù dei Simmons, padre, madre cinque ragazzi, le 'aprì cordialmente le braccia. Non appartenevano certo alla upper class, lui era impiegato alla fabbrica Morris, lei infermiera; e mandavano i figli alla scuola pubblica, cosa che qui la gente ammodo non fa Ma appunto per questo potevano sottrarsi all'uniformità, o meglio alla perenne finzione del vivere inglese e mostrarsi umani, o addirittura intelligenti (le caratteristiche della Vecchia Inghilterra, esuberante, gioviale e grassoccia, sopravvivono nei ceti bassi e o a a e nell'aristocrazia, che non è precisamente puritana). Miranda C. si è sentita in famiglia tra i Simmons, il cui accento lascia forse a desiderare, ma che'non esigono da lei più delle prescritte quattro o-cinque ore quotidiane di lavoro e Una volta al mese le danno piena libertà per la week-end, dal mezzogiorno di venerdì alla domenica sera. < Oggi sono scappata a Londra — dice la ragazza — per stare un po' con la mia amica. Ma la ribalda è andata nel Sussex e io mi son vista persa. Ogni tanto debbo parlare italiano con qualcuno o vado a fondo. Se poco fa non avessi incontrato lei... forse mi sarei messa a piangere per istrada; oppure sarei andata a Soho, dove si trova sempre da far quattro chiacchiere con qualche barista o pizzicagnolo delle nostre parti ». E questa può essere il prototipo delle ragazze che vengono in Inghilterra con pochi soldi a imparar la lingua, raccogliere esperienze, distrarsi. E che di solito imparano la lingua e raccolgono esperienze, osservando dal di dentro un altro modo di vivere; specie se vanno a seppeliirsi in provincia, come la torinese Miranda, fra gente del piccolo ceto non ancora chiusa ai rapporti umani. Dopo un anno, due al massimo, queste ragazze tornano in Italia col loro bravo proficiency, o diploma superiore, che non servirà a. molto forse, ma testimonlerà di una lunga battaglia, vinta coraggiosamente. Bisogna anche dire che non tutte ritornano: o perché si sono lasciate stregare da quest'isola sorprendente, abituandosi a < veder la logica capovolta di tutto », come Alice nel Paese delle Meraviglie; o perché vi hanno trovato una sistemazione conveniente (citerò un'altra torinese, la signora Bice Sola, exragazza au pair, che ha aperto VOversea Language Oentre, una scuola di lingue molto quotata. Ma sono casi sporadici. Esiste poi un'altra categoria di ragazze, che generalmente arrivano qui in compagnia di un'amica. « La Lisetta va a Londra per imparar l'inglese — dissero a papà. — Ci lasci a-ndare anche me?». E papà le ha lasciate venire. Ora le rifornisce mensilmente di sterline, molte sterline, dato che queste brave figliole spendon molto. Pazienza, almeno impareranno l'Inglese. Ma accade che dopo due o tre mesi di soggiorno a Londra, in qualche ottima pensione o in una casa fine Lisetta e compagne conoscano meno l'inglese che se lo avessero studiato a Milano o a Roma; e non sappiano molto più sulla vita inglese-di quanto avrebbero imparato attraverso i libri o il cinematografo. Londra è una città affascinante coi suoi bus rossi, i suoi taxi neri e antiquati, la sua. atmosfera grigia da romanzo di Dickens; ma rimane imperscrutabile. Quanto agli inglesi, ci vengono al mattino per lavorare (poco) e di sera ripartono per i loro sobborghi, a trenta o quaranta chilometri di distanza. Conoscere degl'inglesi a Londra, ecco il problema: non esistono caffè (gli Espresso-bar, sorti qua e là, non riescono ancora a forzare il costume britannico) ; i locali dà ballo eleganti, dal Churchill al Four Hundred sono circoli chiusi; infine, qui non si pratica, il girls-stop, l'abbordaggio stradale delle ragazze. Ne deriva c:.ie le figlie di papà si vederlo obbligate a frequentare quasi esclusivamente italiani; e i loro progressi nella lingua di Shakespeare sono irrisori, malgrado i corsi alla Davies (frequentati saltuariamente, d'altronde). In compenso, girano e si divertono molto, inebbriate dall'estrema libertà di cui ognuno gode — e particolarmente le donne — in questo Paese senza controllori, senza carte d'identità, senza occhi indiscreti. A Lucca o a Sulmona, uscivano con la mamma per andare a Messa. Qui escono con chi vogliono e il suono inconfondibile delle loro voci si alza argentino in Piecadilly e le loro risate echeggiano in Trafalgar Square, dietro qualche vecchia inglese che si fa fotografare in un'apoteosi di colombi (colombi sulle braccia, colombi sulle spalle, colombi sul cappellino), mentre un Nelson di bronzo le guarda dall'alto della sua colonna, sporgendo il naso puntuto. Di sera, spesso, i nightclubs cosmopoliti di Soho attirano queste ragazze. Poi c'è la week-end in campagna, con qualche ragazzo. E i soldi di papà, naturalmente, corrono. Clara Grifoni n r e i

Persone citate: Bice Sola, Churchill, Dickens, Petitpierre, Shakespeare, Simmons, Soho