L'appassionato umore di Roma quando scoppiò lo scandalo Montesi di Nicola Adelfi

L'appassionato umore di Roma quando scoppiò lo scandalo Montesi VIGILIA DEL PROCESSO ALLE ASSISE DI VENEZIA L'appassionato umore di Roma quando scoppiò lo scandalo Montesi Sulla spiaggia di Tor Vaianica la fanciulla giaceva bella e tranquilla - «L'hanno uccisa», si disse La «verità» dell'ex-questore Polito e molte altre «verità» Si scoprono plaghe di vizio e corruzione, si mette sotto accusa tutta una società - Si parlò anche di una catastrofe del «regime clericale», di una Caporetto delle istituzioni repubblicane - Ma gli scandali possono travolgere le dittature, mai le democrazie - Si riuscirà ora a far luce sul mistero? (Nostro servizio particolare) Roma, 17 gennaio. All'inizio non ci furono dubbi. Tutte le persone che da Ostia e dai casolari di campagna arrivavano davanti a Wilma Montr-.si, nel vederla cesi bella e hanquilla, adagiata sulla spiaggia o\ Tor Vaianica, dicevano subito: « L'hanno uccisa ». Il corpo, 1 lineamenti del viso, l'abbandono stesso delle meimbra che il moto alterno delle onde agitava mollemente quasi a dare un'ultima parvenza di vita alta giovinetta, facevano pensare a una morte improvvisa, forse a tradimento, probabilmente nel sonno. Il tempo era freddo e uggioso in quella mattina di sabato dell'11 aprile 1B5S. TI vento teso e umido dava un colore di cenere al mare. La piccola folla di pescato- 11MI < 11 i 111111111 > M111111111 ninnili! Milli ri, operai, donne col capo avvolto in scuri scialli, guardava come intimorita le belle e intaite forme, in silenzio fissava gli indù-menti qua e là lacerati, di tanto in tanto una vóce sommessa esprimeva il pensiero di tutti: « L'hanno uccisa ». La gente che vive sul mare sa che i corpi degli annegati sono gonfi e tumefatti, l'espressione del volto è piena di terrore, disperata. Quella morta invace era rimasta bella come in vita. < La sua pelle appariva rosea e morbiday, dirà più tardi la moglie di un pescatore di Ostia. Fu un ragazzo di sedici anni, un garzone muratore di nome Fortunato Bettini, che per primo scorse il cadavere nella scarsa luce di quel mattino piovigginoso. Lavorava alla costruzione di una villa sulla strada, litoranea di Tor Vaianica, ed era arrivato al cantiere mezz'ora prima dell'orario; per occupare il tempo e anche per riscaldarsi si era messo a correre sulla spiaggia in direzione di Anzio. Ogni tanto si fermava a raccogliere una manciata di ciottoli, sceglieva un bersaglio e cercava di colpirlo. Si era allontanato un buon chilometro dal cantiere e aveva già deciso di tornare indietro, quando vide davanti a sé, a una ventina di metri, una massa confusa, grigia, laddove le onde si frangevano sulla spiaggia; pensò che fosse un fascio di alghe o un tronco d'albero, e decise di colpirlo. Ma i ciottoli cadevano ora di qua. ora di là dal bersaglio, e a ogni nuovo tiro il ragazzo accorciava la distanza facendo qualche passo avanti. All'improvviso indovinò, e i ciottoli gli caddero dalla mano. Più tardi il garzone muratore disse ai carabinieri: « Quando mi sono chinato per scostare il lembo della giacca che le coprfva la fronte e ho visto quella ragazza cosi bella, il viso bianco che sembrava sorridere, i capelli neri e sciolti, ho cominciato a tremare. Non so com'era vestita. 81, forse aveva una spalla scoperta. No, non ricordo la posizione del. corpo. Tremavo di freddo e di paura, perché volevo scuo¬ terla e non osavo, atterrito dall'idea che non si svegliasse. Difatti, io non l'ho toccata. Sono rimasto molto tempo così, immobile, accovacciato vicino a lei, prima di chiamare gente ». Ora se vi recate nel cimitero del Verano a Roma, qualsiasi custode fa presto a indicarvi il posto dove sta la sventurata ragazza. La tomba è di marmo, di stile moderno; al centro c'è una grande fotografia di Wilma che sorride con sguardo benigno. Vi si legge questa iscrizione: « Wilma Montesi - N. S-S-lOSe - M. 9-1,-1953 Creatura di rara bellezza Il mare di Ostia ti rapì per riportarti - Sulla spiaggia di Tor Vaianica - Sembrava che dormissi nel sonno del Signore - Bella come un angelo >. Dunque la famiglia di Wilma non esita a schierarsi dalla parte dell'ex-questore di Roma, Saverio Polito, il quale sin dal primo momento sostenne la tesi che la ragazza fosse morta per un malore improvviso mentre stava bagnandosi i piedi nel mare di Ostia per curarsi un eczema ai calcagni. Si sa che a questa < verità > di carattere ufficiale, della polizia, sono state contrapposte molte altre e diversissime « verità ». Ora, nel processo che sta per iniziarsi a Venezia, i magistrati dovranno cercare di stabilire l'unica verità, quella reale, la verità che esclude tutte le altre. Vi riusciranno f Da molti si ritiene che dopo tutte le indagini, inchieste, perizie controperizie e superperizie, le autopsie esperite finora, poca luce potrà farsi a Venezia, e il mistero resterà mistero. Se sarà effettivamente così, se in altre parole mancheranno folgoranti colpi di scena, durante e dopo il processo di Venezia innocentisti e colpevolisti continueranno la lunga polemica, e ciascuno resterà accanitamente persuaso di essere dalla parte della ragione. Eppure, se il fatto centrale .e rimasto avvolto nelle tenebre iniziali e dopo quasi quattro anni di minuziose indàgini gli inquisitori non ancora possono dire con certezza se Wilma avesse op- pure no una doppia esistenza, l'immenso scandalo che prese le mosse dal lido di Tor Vaianica e che fu lì 21 per travolgere le istituzioni democratiche nel nostro Paese, non è avvenuto invano: divenne infatti a tal punto incandescente che via via risultarono investite dalla luce molte zone oscure* ritenute fino allora impenetrabili, della società italiana. Sembrava anzi che non dovessero esserci Untiti all'espandersi dello scandalo; le accuse concitate e le denunce circostanziate salivano sempre più in alto e pareva che tutto dovessero sgretolare e sommergere. <E' il S5 luglio del regimeclericale », scrisse Palmiro Togliatti il giorno dopo la lettura nell'aula del Tribunale di Roma del rapporto compilato dal colonnello dei carabinieri Pompei sugli affari, le amicizie, i piaceri du Ugo Montagna, e di Giampiero Piccioni; instarne con queste rivelazioni vennero fuori i nomi di Tommaso Pavone, capo della polizia, di Giuseppe Spataro, ex-ministro det Lavori Pubblici, di Riccardo Gaìeazzi Lisi, archiatra pontificio, del principe Marcantonio Pacelli, nipote del Papa. < E' la Caporetto dalla democrazia », gridavano dall'estrema destra i giornali facendo eco a Togliatti. La lettura del rapporto Pompei avvenne il 10 marzo 1954, e le passioni divamparono alte. Le strade di Roma restarono affollate fin nel cuore della notte, comunisti e cittadini qualsiasi applaudivano i carabinieri, si gridava dappertutto « Viva Pompei» e <A morte il governo ». Il quale, per la verità, era largamente innocente. Infatti proprio in quel 10 marzo Mario Sceiba era diventato presidente del Consiglio in sèguito al voto di fiducia della Camera. Ma la folla non stava a sottilizzare; faceva tutto un fascio della classe dirigente italiana. Un'ansia di verità e di giustizia, i vecchi rancori contro la democrazia e le speranze di un ritorno al passato o di una rivoluzione accomunavano confusamente tn quelle ore di dramma buoni e cattivi, destri e sinistri, onesti e no. In breve, a voler giudicare delle apparenze^ avevano ragione gli uni e gli altri; il clima era in parte quello di Caporetto e in parte quello del £5 luglio 1943. Verso la mezzanotte di quel giorno, chi ora vi scrive salì le scale del Vinciate, andò a discorrere con Sceiba, il nuovo Presidente del Consiglio; e vi assicuro che ricorderà a lungo la fisionomia di quell'uomo. Ogni tanto entrava nello studio del Presidente il capo della politila, bianco in viso e con 10 sguardo assente. Sceiba gli aveva parlato a lungo, a quattr'occhi, ricorrendo a volte a modi di dire siciliani per rinforzare il discorso, aveva infine convinto Pavone a dimettersi. Ancora frastornato dalle grida dei cittadini nelle strade e con negli occhi la fotografia dei titoli a caratteri cubitali dir stesi siUle intere prime pagine dei giornali, ascoltavo 11 Presidente del Consiglio, ne ammiravo i propositi de¬ ■iiiililiiiifiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiliiiiiiiiii cisi e le intenzioni oneste, ma dentro di me pensavo che il fiume stesse ormai per straripare e nessuna forza umana avrebbe forse potuto fermarlo. I giorni critici tornarono nella seconda metà di settembre; a 18 di quel mese Attilio Piccioni si dimise da ministro degli Esteri, il SI entrarono nel carcere di Regina Coeli Giampiero Piccioni e Ugo Montagna. Sembrò l'epilogo di una situazione diventata sempre più tesa nei mesi precedenti. Fra l'altro, quando ancora durava l'eco del rapporto Pompei, i giornali avevano reso pubblico H testamento della terribile, indomabile, loquacissima Anna Maria Caglio: « Sapendo di che natura sono Ugo' Montagna e Piero Piccioni, non voglio scomparire senza lasciare traccia di me... Ho saputo che il capo della banda dei trafficanti di stupefacenti è Ugo Montagna, con l'annessa scomparsa di molte donne. EgU è il cervello di detta organizzazione, Piero Piccioni è l'assassino ». L'arresto ordinato dal giudice Sepe parve la conferma delle tremende accuse. Un moto di rivolta, dove erano insieme sdegno e rabbia, percorse la penisola quant'è lunga. A Roma si diceva che la classe dirigente era tutta una immensa Capocotta, e fuori di Roma, si era convinti che tutta Roma fosse una sola Capocotta. Ora sono trascorsi più di due anni da quella torbida, infocata estate, e le passioni si sono affievolite, gli animi placati.. Si celebra il processo. I cittadini domandano ai magistrati che siano trovati i colpevoli della morte di Wilma Montesi, nel caso che ci siano; e alla classe dirigente chiedono di mostrarsi severa contro le persone che si misero contro la morale pubblica, pur mantenendosi nell'ambito dei codici. Questo, nient'altro che questo vogliono i cittadini. Essi sono oggi più consapevoli di ieri di una verità antica eppure volentieri dimenticata: gli scandali alla lunga finiscono col travolgere sempre le dittature, mai le democrazie. Nicola Adelfi