Soltanto a chiedere notizie di Neghib in Egitto si rischia di finire in carcere di Francesco Rosso

Soltanto a chiedere notizie di Neghib in Egitto si rischia di finire in carcere UFFICIALMENTE E' PRIGIONIERO, MA MOLTI LO CREDONO MORTO Soltanto a chiedere notizie di Neghib in Egitto si rischia di finire in carcere Fino al giungere dei franco inglesi lo sijapeva guardato a vista con la famiglia in una villetta alla periferia del Cairo - Poi un autoblindo lo trasferì in fretta in un luogo sconosciuto, verso il Sudan -Nasser non gli perdona i rapporti amichevoli con Londra - Trentàcinquemila i carcerati politici del dittatore (Dui nostro inviato speciale) Il Cairo, gennaio. A turbare la già troppo agitata dittatura di Nasser grava come un minaccioso fantasma l'ombra di Neghib, l'altro colonnello, sbalzato dal comando nel 1954 dopo. due anni di governo coronati dal frenetico, ma isterico ed incostante favore delle folle egiziane. Neghib è prigioniero e ciò, secondo Nasser, dovrebbe garantire una sufficiente sicurezza all'attuale regime. Con lo stesso calcolo egli ha créduto di liberarsi di ogni opposizione popolando carceri e campi di concentramento; si potrebbe dire che la larga messo di prigionieri politici sia il solo aspetto concreto della sua attività come presidente della giovane repubblica egiziana. Le cifre ufficiali assicurano che i « confinati > non arrivano a cinquemila, tutti elementi irrecuperabili, appartenenti al disciolto partito ■ •otnunis.a ed alla setta fanatica dei < Fratelli Musulmani », i più spietati nemici dell'Occidente cristiano. Altre fonti, meno ufficiali ma attendibili, danno cifre molto superiori. Nei campi di concentrarnento di Dakhla e Selima nel deserto occidentale, in quello di Qena sull'Alto Nilo, verso Luxor, si afferma siano rinchiusi 35 mila prigionieri. Oltre ai comunisti ed ai fanatici musulmani sono imprigionati esponenti del Wafd, il socialismo democràtico egiziano, monarchici ancora nostalgici di Faruk, ebrei sospettati di filosionismo, partigiani dettò spodestato Neghib. Questo mezzo esercito di prigionieri irregolari, incarcerati senza una parvenza di processo, rappresentano uno degli aspetti più singolari della dittatura di Nasser. Egli crede di essere insediato al potere cosi saldamente da consentirsi ogni arbitrio, pia non ha il co-, raggio di arrivare alle estrer , me conseguenze delle sue azioni illegali. L'idea di un processo colossale ai suoi avversari lo spaven ta, ' se ■fatto con tutti i crismi della legalità potrebbe concludersi con assoluzioni clamoros: ed inopportune, se « manovrato » finirebbe certo con sentenze di morte che avrebbero conseguenze nefaste per il suo ancor gracile regime. Avendo paura di, entrambe le conclusioni,' Nasser gioca a fare il magnanimo persino con Neghib, il suo più diretto e temibile avversario. Che cosa sia accaduto all'ex-colonnello, che nel luglio del 1952 era tanto forte da far crollare la monarchia di Faruk con un soffio, lo sanno pochi ini.-.iati ai misteri della politica egiziana e lo stuolo di poliziotti che lo hanno, o lo avevano, in custodia. Non si può escludere che Neghib abbia giù concluso, con molto anticipo, la sua esistenza terrena con uno dei tanti sistemi cari all'Oriente misterioso: veleno, pugnale, rivoltella, o le diec'i, ferree dita di un sicario intorno al collo, ma noti si esce dal campo delle supposizioni perché i più interessati alla faccènda si chiudono in sospettoso mutismo soltanto a sentir pronunciare il nome del pericoloso prigioniero. Non è consigliabile chiede- re notizie di Neghib agli uomini rappresentativi del regime di Nasser, il meno che possa capitare è l'invito secco e perentorio hi lasciare immediatamente l'Egitto, come è accaduto a due giornalisti inglesi i quali, ancor prima della crisi di Suez, e quindi in periodo relativamente tranquillo, avendo tentato di scoprire la residenza coatta dell'ex-colonnello, furono condótti all'aeroporto del Cairo da una buona scorta dì poliziotti che non si mossero fino à quando l'aereo non disparve all'orizzonte. Durante una conversazione con un funzionario col quale pensavo di avere confidenza sufficiente per consentirmi qualche domanda iìidiscreta, parlando di Neghib feci candidamente questa proposta: <Voi nasseriani — gli dissi — vi sentite Neghib ime una spina nel fiancot vorreste che non se ne parlasse, ma non siete ancora in condizione di chiudere tutte lé bocche. La voce che lo abbiate fatto giustiziare senza processo circola orinai con insistenza, se proprio ci tenete a dimostrare che è vivo sarebbe interesse vostro che un estraneo, uti neutrale, io ad esempio, potesse testimoniare in maniera irrefutabile ohe le notizie sulla sua morte sono false. Mi faccia parlare con Neghib ». « Lei mi chiede l'impossibile — rispose. —; Posso però assicurarle che è vivo ». < E dov'è? >, insistetti. < Non lo so, e se lo sapessi non lo direi, ' per il bene suo. Se non vuole avere noie eviti di chiedere ad altri inf orinazioni su Neghib ». Non ho ascoltato il suggerimento e, senza correre rischi, ho potuto raccogliere molte informazioni sulla movimentata prigionia dell'excolonnello. Anche le carceri dei dittatoti non sono così impenetrabili da impedire la fuga di notizie. Finn al 29 ottobre scorso, Neghib era al Cairo, prigioniero in una villetta alla periferia della città con la moglie e due figli. 1 soli segni di vita che si notavano nella villa erano il movimento dei poliziotti che si'davano il cambio, l'ingresso e l'uscita dei maestri che andavano a fare leeion" a domicilia ai bimbi d^i prigioniero, nessuno vide mai Neghib, o sua moglie, passeggiare in giardino, nemmeno durante le afose giornate estive. Fino a quel giorno, l'ex-colonnello appariva tranquillo ed abbastanza sicuro di sé, aveva la certezza che Nasser non avrebbe mai osato farlo uccidere. Non escludeva, anzi, la possibilità di una .tua clamorosa rentrée sulla scena politica, convinto che Nasser avrebbe finito per soccombere nella lotta ingaggiata con troppa leggerezza contro l'Occidente. Che cosa sia accaduto tra il 29 ed il 31 ottobre nella periferica villetta <t<el Cairo non si sa con esattezza. Nei due giorni intercorsi fra l'attacco israeliano nel Sinai ,e l'azione franco-inglese contro Porto Said, convinto che il momenti' gli fosse favorevole, Neghib deve aver tentato la fuga dal suo domestico carcere. Non si considerava, però, un evaso qualsiasi, appena libero non avrebbe incontrato difficoltà a mettersi in contatto con chi aveva interesse a remsedìarlo al potere, cioè gli inglesi. Simbra aliasi certo che durante"la prigionia, specie dopo la crisi di Suez conseguente alla nazionalizzazione del Canale, egli abbia avuto rapporti con agenti inglesi; non esistono, specie in Oriente, carcerieri insensibili alle mance cospicue. Ma lo spionaggio di Nasser ha avuto la meglio sulla cospirazione. Il 31 ottobre, mentre gli aerei franco-inglesi riempivano il cielo egiziano di rombi ed esplosioni, Neghib fu ('offerito in località più sicura, nell'Alto Egitto, verso le frontiere con il Sudan. Incominciò quel giorno la grandi paura di Neghib. Quando lo fecero salire sull'automobile blindata ebbe la certezza che Nasser fosse deciso a farlo sopprimere, l'atteggiamento dei suoi <accompaynatori» non era dei più rassicuranti. Sulla sua testa, in vorticosi caroselli, volavano gli aerei franco-inglesi che avrebbero dovuto provocare la caduta di Nasser, riaprirgli la strada del potere. Viaggiava invece, non quattro compagni or-' ■nati fino ai denti, certo verno la morte. Il viaggio durò un giorno, ad ogni sosta per il rifornimento di benzina, Neghib pensava fosse quella definitiva. Mentre la macchina correva verso il temuto, ultimo traguardo, egli ebbe tempo di meditare culla sua disperata situazione. Ogni metro di territorio egiziano occupato dalle truppe anglofrancesi, significava per lui un passo verso la tomba. Aveva la certezza chi, Nasser non avrebbe mai consentito d-i lasciarlo vivo agli inglesi, certamente i suoi < accompagnulori » avevano la consegna di sopprimerlo se fossi caduta II Cairn ed ogni resistenza fosse divenuta impossibile. L'automobile si arrestò a Qena, grosso borgo situato in una vasta ansa dell'Alto Nilo che ospita un popoloso campo di concentra/mento per detenuti politici. Neghib era ormai tagliato fuori dagli avvenimenti, ignorava ciò che stava accadendo tra Porto Said r. Il Cairo. Chi l'ha veduto in quei giorni dice che appariva prostrato, lo sguardo assente e come spento. Trascorsi alcuni giorni, poiché era sempre vivo, Neghib riprese a sperare. Sapendo che la sua salvezza era legata "Ha sconfitta degli invasori, è umano ch'egli ubbia urdentemente pregato che l'esercito egiziano facesse il miracolo. Non riuscendo in questa impresa l'esercito di Nasser, provvidero le Naztont Unite con il loro intervento decisivo, e Neghib, per il momento, ebbe salva la vita. Ma non lo sapeva, ed il pensiero della morte imminente continuò a torturarlo. A dargli nuovamente la sensazione che il momento ineluttabile fosse soltanto differito provvide ancora Nasser ordinando di trasferirlo m zona di maggior sicurezza. Da questo punto le tracce di Neghib si perdono; nessuno sa, o osa dire, dov'egli sia finito. Secondo voci piuttosto interessate, egli sarebbe confinato, in ottima salute, a Idfu, una località prossima ad Asuan, ma non c'è modo di controllare la fondatezza dell'informazione. Non sono pochi, invece, i convinti che Nasser abbia trovato il coraggio ai far sopprimere il suo più fidato unico nella rivoluzione antimonarchica. Nella villetta alla periferia del Cairo i già scarsi segni di vita si sono spenti totalmente, anche la moglie ed « figli di Neghib sp-no scomparsi ed è inutile tentare di l'ex-colonnello ciarliero, simpatico, ancor troppo popolare tra le folle egiziane, rimane cosi-intatto. 8'eglt è ancora vivo può accadere che tra qualche tempo, sen- rintracciarli. Il mistero del- tendasi più saldo al potere, Nasser lo faccia comparire in tribunale sotto l'accusa dì complotto con il nemico e lo taccia giustiziare con una parvenza di legalità. Se, invece, l'hanno già ucciso continueranno a dire che è vivo e che sta bene, fino al giorno in cui più nessuno chiederà notizie. Ma, vwo o morto, Neghib sarà sempre un'ombra fastidiosa per il modesto apprendista dittatore Nasser, continuerà 'ad amareggiargli l'inebriante piacere del domiilio restituendogli a piccole dosi la grande paura che gli ha inflitto nei giorni dei suoi trasferimenti, perché i desti>ii dei dittatori, grandi e piccoli, si somigliano tutti. Francesco Rosso