Um parte viva del nostro cinema
Um parte viva del nostro cinema Um parte viva del nostro cinema Il cuore, prima ancora della ragione, si rattrista della scomparsa di Augusto Genina, quasi il cinema perdesse con lui un grosso pezzo di se stesso. La storia del regista concorre Infatti, e in gran parte si confende, con quella dèi nuovo mezzo espressivo, che lo ebbe fra i suoi « pionieri », e in' quanto al « muto », con La gloria (1913), // sopravvissuto (1916) , La signorina Ciclone (1917) , e in quanto al € sonoro» con Pria; de beauté (1930) da un soggetto di René Clair. Tenne insomma a battesimo il cinema, Io assistette nelle malattie dello sviluppo («Le cinema est mort? Vive le cinema! » scrisse in una rivista francese), lo scortò fino al colore e ai grandi formati, e in tanta evoluzione di tecniche e di gusti, dal « fatalismo » al « telefoni bianchi ». al < neorealismo», tenne carattere, fu sempre e soltanto lui, un regista dal timbro certo, fine, inconfondibile. Era nato sessantacinque anni fa a Roma, e ancora stu dente d'ingegneria, senz'aspettare la grande spinta di Cabiria, si votò alla celluloide, venendo fuori da una fitta quanto sprovveduta concorrenza di registi (ma allora non sapevano di chiamarsi così) con film e filmetti di vena elegante e leggera, che già lo dicevano nato a scrivere per immagini.' Venuta la crisi del primo dopoguerra, diresse una « Unione cinematografica italiana » intesa a rialzare il livello medio d'una produzione immise rita. Se i risultati non furono sempre pari alle intenzioni (/ tre ' sentimentali, Cirano di Bergerac, Il corsaro), di quel primo periodo italiano si giovò il mestiere del regista, allargantesi ai « generi » più diversi, dal dramma psicologico (J due crocifissi) alla commedia paradossale {Il principe dell'impossibile), dal grottesco (La maschera e il volto) ad altri ancora. Un'esperienza europea, prima in Germania e poi in Francia, accanto a Clair, Allégret, Carnè, affinò Genina (.Les amants de mvnuit, Paris béguin, Nous ne sommes plus des enfa/nts, La gondole aux cMméres), che in quegli anni j diresse attori allora sconosciuti, quali Jean Gabin, Fernandel e Michel Simon. Ma l'anno d'oro fu il 1936, quando, tornato in Italia, realizzò Squadrone bianco (da un romanzo di Joseph Peyré), un film evo¬ iiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin cante, con piglio saldo e virile, con asciutta commozione, la vita dei nostri meharisti libici, film entrato con buon. diritto nei testi che raccontano il pregresso della cinematografia. Sulla scia vennero L'assedio dell'Alcazar e Bengasi, che pur con qualche cedimento alle pressure del regime, costituirono nell'enfatica o frivola produzione del ventennio, due notevoli eccezioni. E fra mezzo a quei film epici Genina avvento sullo schermo Viviane Romance in quel Naples aux baisers du feu (da noi, Napoli terra d'amore) che in tanto falso partenopismo si ricorda, anch'esso, come un'eccezione. Pei, col secondo dopoguerra, ripresosi il nostro cinema su corde nuove, il nostro regista tacque un poco, così da far pensare che non avesse imboccatura per il nuovo strumento, il neorealismo. E invece la sua facoltà d'adat-lamento (interno, sincero), fu un'altra volta dimostrata con Il ciclo sulla palude, il film della beata Maria Coretti, argomento, più che difficile, temerario, dove, tranne qualche crudezza di troppo, la lezione neorealistica risulto bene appresa e consuonante all'assunto religioso. Questo perché, come disse un critico, neppure il neorealismo è nato sotto i cavoli, e proprio in Genina, come in Visconti e in Blasetti, aveva avuto I suoi progenitori. I film che successero non furono più di quell'importanza: Tre storie proibite, L'edera, Maddalena, sentivano sia pure decorosamente la maniera, il compromesso; accompagnavano il corso declinante della nuova scuola. Mentre le fruscienti immagini di Frou Frou, una cavalcata dagli anni facili al giorni nostri, rimane nel ricordo come un compendioso, e oggi patetico repertorio dei motivi che furono suoi, una tronche autobiografica. Sessantacinque anni di vita, di cui due terzi abbondanti occupati dal cinema. La questione se 11 cinema sia arte, risolta dal primo giorno facendo del cinema l'unico mezzo d'espressione, e con quel mez zo significando- cose che non abbiamo dimenticato. Finezze, commozioni di artista; ma soprattutto un grande, un indefettibile mestiere Lasciamo che gli estati arriccino il naso a questa parola, é rendendole il senso antico, umanistico, di signoria sopra la materia, onoriamo nel « mestiere» di Genina una parte viva della storia del cinematografo; le sue origini, i suoi progressi, le sue svolte, fatte persona.
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