L'uomo della "fronda,, di Arrigo Benedetti

L'uomo della "fronda,, L'uomo della "fronda,, Una volta, tanti anni fa, mentre salivamo gli scalini di Trinità dei Monti a Roma, mi disse: «In questo punto della scalinata io metterei Gabriele D'Annunzio, pìccolo come me, minuto come me, vestito come me: il D'Annunzio di Andrea Sperelli... Perché non proponiamo una sottoscrizione nazionale e si dà l'incarico a Manzù? » Un'altra volta mentre lavoravamo insieme ad Omnibus, si chinò sul mio tavolo, scorse alcune frasi dell'articolo che io stavo leggendo: «Bisogna to gliere un che — disse — bisogna togliere quest'avverbio, bisogna togliere questo aggettivo ». Chino sulla mia spalla, : suoi occhi frugavano il dattiloscritto che io stavo preparando per l'impaginazione: un articolo di uno scrittore napole tano che entrambi apprezzavamo molto. Dette qua e là alcuni colpi dì lapis, come uno che non legge ma guarda, cancellò alcuni avverbi, aggiunse dei punti e virgola, con una pre cisione che faceva venire in mente il Thibaudet e le sue os servazioni sulla punteggiatura di Flaubert. Oppure si buttava sui pacchi delle fotografie, le sfogliava alla svelta. Erano gli anni dell'ombrello di Chamberlain, di Roosevelt che delineava la nuova politica economica, ed erano anche gli anni della guerra di Spagna, della colonizzazione etiopica. Non ho mai conosciuto altro uomo il cui occhio cogliesse con tanta rapidità i particolari sconcertanti della realtà contenuti da una fotografia. Come quando guardava i manoscritti senza leggerli e senza seguire lo svolgimento d'una narrazione o di un discorso critico, cancellando qua un pronome, là un avverbio, cosi egli lavo- rava sulle fotografie che ogni giorno portavano sul nostro tavolo la realtà internazionale di quegli anni. Dell'Italia ufficiale di allora egli, con l'ingrandimento di un particolare dava immediatamente una figurazione satirica. Gli accadeva quasi inavvertitamente, come se non se ne rendesse conto. La collezione di Omnibus sta là a provarlo. Della Francia, dell'Inghilterra e dell'America coglieva gli aspetti che più sottolineavano il distacco che ormai esisteva tra la democrazia occiu.'ntale e l'Italia fascista. .Della Francia coglieva soprattutto gli aspetti giacobini e certi suoi « tagli » facevano si rhe uno squallido e generico dLM.:umento fotografico acquistasse la gaiezza leggera dell'incanto che hanno certi fotogrammi di René Clair; dell'America colse allora senza esserci mai stato la modernità acre e crudele, la mescolanza dei sangui nordici, delle tradizioni europee. Questo era il Longanesi del 1938. Aveva fondato da poco Omnibus, che in un primo momento, nei propositi abbastanza generici dei volonterosi genitori milanesi, avrebbe dovuto essere una specie di Candide. Non aveva nemmeno pensato a mettere insieme una redazione. Ci trovammo raccolti intorno a lui quasi per caso. Ci insegnò una professione senza volerlo. Fino ad allora in Italia non era mai esistita una stampa settimanale cosi come oggi la intendia- mo. Le risorse del rotocalco erano sfruttate da settimanali di varietà. Longanesi sfruttò queste risorse applicandole all'attualità e ciò che è più degno di rilievo fece ciò in un Paese in cui non vigeva la libertà d'i stampa. Ne venne fuori un giornale che era letterario solo perché compilato in gran parte da scrittori e che improvvisamente innestò sul tronco del giornalismo italiano nuovi motivi provenienti dal giornalismo anglosassone. Fu un'esperienza morale, fu un'esperienza tecnica. Ritagliavamo caratteri da vecchie riviste, ne facevamo disegnare. La sua arte tipografica non so che posto possa avere domani nella valutazione della sua opera. Io credo che questo posto debba essere importante. Intanto si può essere certi che la sua intransigenza artigiana rappresentò per molti il migliore insegnamento che possa avere avuto un giornalista nei tempi precedenti all'ultima guerra mondiale. Le difficoltà si fecero presto sentire. Omnibus come idea, rivelatrice di un D'Annunzio modellato da Manzù, piccolo e vestito in borghese, contraddiceva i tempi in cui vivevamo, sottintendeva una satira, una protesta. Così nell'inverno del 1939, alla vigilia della nuova guerra, il settimanale venne soppresso. Ma un altro ricordo ancor meglio precisa il Longanesi di allora. Durante la guerra, quando ormai la conclusione del conflitto appariva inevitabile, morì in una clinica a Roma Adriano Tilgher, che di Omnibus era stato un' assiduo collaboratore e che per Longanesi, cosi istintivo, cosi abbandonato continuamente al capriccio generoso dell'ispirazione artistica, aveva rappresen| tato un legame con la cultura meridionale. Ci riunimmo in Piazza Cavour, quasi una unanime e silenziosa manifestazione politica. C'erano Luigi Albertini, Invanoe Bonomi, il ge- , neraie Bencivenga, Ernesto | Bonaiuti e tanti altri volti che ' poi rivedemmo a Montecitorio dopo la liberazione di Roma. Fu Bonaiuti che disse le poche parole d icompianto, alle quali seguì un grande silenzio, interrotto appena dallo stridore dei tram che continuavano ad arrivare da via Lucrezio Caro. Ma 11 silenzio improvvisamente venne interrotto da un singhiozzo. Era Longanesi. Lo pigliammo in mezzo a noi, lo guidammo verso il ponte In seguito le circostanze vollero che ci vedessimo sempre più di rado. Durante l'occupazione tedesca di Roma, passò le linee, andò nel Sud. Sembra, a stare alle testimonianze di alcuni amici, che la Napoli di allora Io amareggiasse. Aveva sognato un'Italia diversa. Tornato a Roma, le volte che ci incontrammo, più che ironico lo trovammo amaro. In seguito andò ad abitare a Milano, fondò une casa editrice che in questi ultimi tempi gli ha amareggiato la vita, tanto che ormai di suo aveva soltanto il nome. Cominciò poi a pubblicare anche una rivista politica II Borghese... La posizione politica degli ultimi anni è nota. Almeno a stare alle apparenze, era una posizione fortemente critica nei confronti della democrazia al punto che egli sembrava quasi vagheggiare il passato e vedere ora senza sarcasmo il mondo fascista contro cui la sua ironia era stata implacabile. Arrigo Benedetti