Il sereno tramonto vegliato da fedeli amici

Il sereno tramonto vegliato da fedeli amici Il sereno tramonto vegliato da fedeli amici Aveva perduto nel terremoto di Messina la moglie e cinque tigli; altri lutti avevano distrutto la sua famiglia - Dopo il ritorno dall'esilio viveva quasi sempre a Sorrento, continuava a lavorare 18 ore al giorno ■ Messaggi di cordoglio dall'Italia e dall'estero (Dal nostro inviato spedate) Sorrento, 6 settembre. Alle 11,45 Gaetano Salvemini è morto. Gli erano vicini la co-, gnata Lidia Minervini e alcuni carissimi amici: Ernesto Rossi, Giuliana Benzeni, Armando Borghi, Gino Luzzatto, Enzo Tagliacozzo, Ebe Flamini, Roberto e Maritza Bolafflo, giunti da Nuova York. Ieri erano stati a t La Rufola >: Ferruccio Parri, Nello Traquandi, Raffaele Ciasca, Max Salvadori, Umberto Zanotti Bianco, Paola Montuori. Ma soprattutto dopo che si è sparsa la notizia della fine, vi è stato un tempestare di telefonate da molte parti d'Italia e dall'estero: da Londra i familiari di Marion Cave, la defunta vedova di Carlo Rosselli, da Harvard nel Massachusetts il prof. Giorgio La Piana; dalla Francia, dal Belgio una folla di persone si associava al lutto che ha colpito la cultura e la democrazia italiana. Il testamento spirituale verrà aperto domani da Ernesto Rossi. Ma già si sa che domenica i funerali — secondo la volontà precisa dello scomparso — avverranno in prima mattina e nel modo più semplice. La salma — sempre per attuare il desiderio di Salvemini — sarà inumata definitivamente nel cimitero di Sorrento. Ciò perché Salvemini, dopo la Puglia, amò come una seconda sua terra questa còsta bella e gentile che con il profumo dei giardini, il dolce sole e l'azzurro di cielo e mare, gli dette, al ritorno dal lungo esilio, anni di serenità. Gaetano Salvemini, che avrebbe compiuto fra quattro giorni, il 10 settembre, 84 anni, soffriva da tempo di gravi disturbi; due medici, l'urologo prof. Pasquale Bruni e Silvio Trapani, gli hanno prodigato tutte le cure che la scienza poteva dare. Ma infine il male, favorito dall'età e da una costituzione accentuatamente uricemica, ha prevalso; la fortissima azotemia sopraggiunta lo avrebbe stroncato assai più rapidamente, se la robusta fibra non avesse opposta . la strenua resistenza. Negli ultimi tempi l'infermo era stato nutrito con succo di arance. Da venti g:orni aveva bevuto solo un po' di < minerale >. E pure mentre a mano a mano I clinici scrutavano l'avvicinarsi del momento supremo, Salvemini, pure con l'occhio ormai quasi spento e la voce divenuta un appena percettibile sussurro, ha conservato in pie¬ no un'estrema lucidità. Egli — come dirà un medico — è morto avvertendo con chiara consapevolezza che quelle erano le ultime sue ore. La sola persona presente dei parenti era la cognata Lidia Minervini. Dalla Francia hanno inviato telegrammi i familiari della seconda moglie di Salvemini, Fernande Luchaire — anch'essa ormai scomparsa da alcuni anni — zia di Corinne, la giovane attrice defunta, interprete di Prigione senza sbarre. Hanno pure telegrafato altri parenti da Roma e da Molfetta e la cognata Olga Minervini maritata Dequal e, da Trieste, la professoressa Rina Minervini. Più volte nella sua lunga agonia Salvemini ha voluto vedere una fotografia ingiallita, raffigurante la prima moglie, Maria, e i figlioli Filippetto, Leonida, Giancarlo, Elena e Ugo, tutti periti il 23 dicembre 1908, con la sorella Camilla, nel terremoto di Messina. Intorno a quella e ad altre vicende finora ignorate dalle biografie già apparse su Salvemini, Lidia, « la cognatina adorata » com'egli la chiamava dedicandole un libro in anni lontani, pubblicherà un volume. Salvemini, nella terribile notte del disastro, era affacciato al balcone e per quanto precipitasse dal quinto piano, rimase miracolosamente incolume. I corpi della moglie, della sorella e di uno dei cinque figlioli periti, Ugo, non furono mai più ritrovati nell'enorme cumulo di macerie. E per tutta la vita, ci dice la cognata, Salvemini, pur senza particolari elementi che giustificassero questa sua idea, aveva sempre nell'istinto il convincimento che il figlio Ugo di pochi anni, fosse rimasto vivo, e, imbarcato come molti altri superstiti su una delle navi estere accorse, si fosse perduto fuori d'Italia. In quella occasione, credendolo morto, Mussolini — allora militante nell'estrema sinistra — inviò alla famiglia di Salvemini, già noto come studioso e come uomo politico, un telegramma rimasto famoso per quelli che dovevano essere gli sviluppi successivi della vita dei due: <Con Gaetano Salvemini — diceva il testo del futuro dittatore — scompare una delle più belle figure del socialismo italiane >. < La Rufola >, in cui lo storico trascorse la maggior parte del suo tempo dal ritorno in patria stabilendovisi definitivamente dall'autunno del '54. è un'antica villa di proprietà della marchesa Titina Martini (figliola di Ferdinando Martini) che sposò in prime nozze Gaetano Benzoni, e in seconde Carlo Ruffino. Poiché la marchesa ha ormai 81 anno, ohi dirige la casa è una delle figliole, Giuliana Benzoni, sorella di Giorgio, nostro ministro all'Aia. Entrando a « La Ru fola >, che è circondata da un ampio parco con aiole e frutteti, l'edificio sembra un palazzotto con pianterreno, primo piano e, simile a un bianco dado, una sopraelevazione. Ma girandovi intorno, l'edificio appare di quattro piani, essendo stato fabbricato su terreno di differente quota. Nella parte più salubre e lieta della villa, quella che guarda a pieno mezzogiorno, v'è la camera che Salvemini aveva trasformato in studio, colma di libri, carte, giornali, in apparente disordine. Su di un tavolo aveva un suo ritratto a tempera, fattogli nel '54 da Luciano Guarnieri. In un angolo vi aveva stilato questa dedica: c A Carlo e a donna Titina, sempre presenti insieme, nel mio affetto. In questo studio, spesso, riceveva i < vecchi > amici (fra i tanti, Bernardo Berenson, Lionello Venturi, Fieio Calamandrei, Augusto Monti). Ma aveva accanto anche molti giovani, e nella loro conversazione gioiva trasformandosi, perché vedeva in essi « le uniche sperane dell'Italia civile e democra . a di domani ». Egli li seguiva con il suo consiglio affettuoso, con il contributo di spunti e idee. Negli ultimi tempi Salvemini, che riceveva sempre molta posta, non usciva quasi. E nel suo rifugio nella cameretta, che guardava su di un ampio vallone tutto vigne, aranci e limoni, di fronte a Capri, nel. silenzio solo interrotto dal cinguettìo degli uc celli svolazzanti su di un pergolato d'uva < rosa *, egli leggeva, scriveva, dormendo pochissimo, mangiando senza accorgersi del cibo, lavorando fino a 18 ore al giorno. Fu in questa pace che elaborò i numerosi scritti per II Ponte, Il Mondo, la Prefazione alla questione meridionale e i numerosi volumi che hanno chiuso nobilmente la sua appassionata fatica pubblicistica e ecìentlflca al servizio degli ideali cui dedicò l'intera vita. Crescenzo Guarino