"Vittoria amara,, di Ray condanna d'ogni violenza di Mario Gromo

"Vittoria amara,, di Ray condanna d'ogni violenza UN FILM QUASI... APOLIDE SULLO SCHERMO DEL LIDO "Vittoria amara,, di Ray condanna d'ogni violenza //. regista di "Gioventù bruciata,, ai è impegnato in un racconto intelligente, duro e spietato che denuncia gli orrori e i dolori della guerra - Curiosa storia di una cittadinanza • Ottimo esito (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 28 agosto. Amère victoire è un film di parecchi, notevolissimi pregi. Ma, prima di considerarlo, non sarà forse inutile accennare a qualcuna delle sue origini e delle sue peripezie. Lo ha prodotto Paul Graetz, un produttore che non pone in cantiere un film se non ne è più «he convinto. Non soltanto come « affare > cinematografico, ma come espressione, significati. Si devono infatti a lui Le diable au corps di Autant-Lara, Dieu a besoin dea hommes di Delannoy, Jfonsieur Ripois di Clément. Basterebbe, e largamente, un terzetto del genere a dare una non trascurabile fisionomia a una sigla. Il Graetz è domiciliato a Parigi, a tutti gli effetti legali la sua « casa » è francese. L'anno scorso senti di poter cavare un buon film da Amère victoire, un romanzo di René Hardy. Ma poiché tutto il mondo è paese, non appena' nei vari ambienti, anche ufficiosi, si seppe che voleva produrre il film con una compartecipazione americana," cominciarono i suggerimenti e le proposte, gli si indicava questo o quel regista, questa o quella attrice, questo o quell'attore. E li Graetz, duro. Il film lo avrebbe fatto come voleva lui, con chi voleva lui. Un atteggiamento del genere non poteva conciliargli troppe simpatie in anticipo. (Gli hanno chiesto ieri se voleva fare una delle cosiddette conferenze-stampa. Si è rifiutato. Non toccava a lui, spiegare ciò che il suo' film voleva dire; toccava al film, di dirlo. Dopo, dopo la visione, si sarebbe prestato a qualsiasi domanda).. Quando 11 film fu compiuto, e si trattò di proporlo a Venezia, insorsero non poche difficoltà. La vicenda è ambientata nel deserto libico durante l'ultima guerra, sono di fronte inglesi e tedeschi, e gli inglesi parlano l'inglese, e i tedeschi il tedesco. Come si poteva autorizzare, e ufficialmente, un film di comproduzione, franco-americana, se, di francese, non vi si udiva nemmeno una sillaba? Si doppiasse, almeno, ogni cosa. E 11 Graetz, duro. A Venezia doveva o non doveva apparire l'edizione «originale»? Per lui era quella, dove gli inglesi erano inglesi, dove i tedeschi erano tedeschi. Discussioni e contrasti non furono pochi, altrettante le irritazioni. Insomma, il film è apparso al Lido come un film, apolide. Invano se ne chiedeva, nel giorni scorsi, la nazionalità più probabile, se semplice, o doppia. I competenti si stringevano nelle spalle. Si è ancora atteso fino a stamane, di vedere 1 manifesti. E il solito angolino, che ìndica la nazione di appartenenza anche del più modesto documentario, era questa volta in bianco. L'innocenza e il candore aveva finito per trionfare. Ma ppi, all'ultimo momento, un comunicato ha deciso una cittadinanza francese. E', questo, un intelligente, duro, spietato film, che ancora una volta vuole condannare la violenza, la guerra, il militarismo. Ma di tali condanne non ce ne saranno mal abbastanza. Troppo il mondo è vissuto e ancora vive nel ti more di un altro conflitto, ben venga ogni parola che voglia condannarlo e scongiurarlo, ben vengano anche 1 film che hanno lo stesso intento. Non sono certo piacevoli, « divertenti »; ma si impegnano, ci impegnano; e ci fanno quasi dimenticare di essere di fronte a uno schermo. Come già In Attack, di Aldrich, il con trasto umano più evidente di Vittoria amara è fra una nascosta viltà e una virile fermezza. Un « carrierista », un maggiore Brand, è posto di fronte a un ufflcialetto di complemento, un capitano Leith. Il maggioro tende a risparmiarsi in tutti i modi, per le promozioni, le decorazioni mentre il capitano si rassegna a fare ciò che deve, a esegui re degli ordini, a obbedire a quell'assurdo umano che è la logica della guerra. Fra i due, poi, è latente un diverso dis sidio. La donna che era la moglie del maggiore, fu fidanzata del capitano, e non l'ha dimenticato, anche perché ha purtroppo appreso a giudicare il marito; e l'uno sa dell'altro. Infine, una fondamentale differenza di mentalità, di cultura. Il maggiore aspira soltanto a diventare un tenente colonnello; e l'altro, da '"?r<;hese, era un archeologo valente, aspira soltanto a tornare ai suoi studi, ai suoi scavi. I due guidano un'azione di commandos contro il quartiere generale tedesco di Bengasi. Il loro gruppo è stato pa¬ rtcganGdsmnc a à i racadutato, l'azione è riuscita, ci si è impadroniti di documenti importanti, di un prigioniero; ora si dovrà tornare alla base, con una lunga, estenuante marcia nel deserto. Gran parte del film è in codesta marcia; e in alcuni dei suoi episodi raggiunge una potenza quasi ossessiva, sflora una crudeltà apparentemente gelida, spaventosa, che non è però la crudeltà del film, ma è la crudeltà della guerra. Il film la addita, la precisa, la stabilisce; appena con un frèmito, che suscita, nello spettatore un frèmito più ampio, di raccapriccio e di condanna. E' questo il più vero significato di codeste sequenze, nelle quali, con tòcchi rapidi e sicuri, talvolta quasi impercettibili, sempre più si delìneano anche i caratteri dei due protagonisti, e la viltà del maggiore si fa nota anche ai suol ultimi gregari, è come un'atmosfera di disprezzo che attorno a lui si leva con il flato caldo del deserto. E la marcia continua, rotta da poche soste. Durante una di queste il maggiore scorge uno scorpione salire lungo una gamba del capitano. Avrebbe l'Impulso di avvertii lo, ma se ne trattiene. In pochi attimi ha rivisto quegli sguardi che lo avevano fin troppo giudicato, . ha ripensato a quanto può essere accaduto fra quel giovane e sua moglie; e poco dopo il capitano ha un urlo, ha subito il piccolo morso mortale. E non ci sono medicinali, e la base è ancora lontana. Durante una tormenta di ghibli il capitano morrà; e quando I superstiti saranno tornati al Cairo, e il maggiore sarà decorato, allora sentirà una invincibile e cupa vergogna di sé, farà suo il disprezzo che lo aveva fino allora accompagnato. Il film ha un prologo di una esattezza rara, scorciato, stringato, e tutto sostenuto da un suo segreto respiro. Poi le molte pagine potenti si alternano alle poche un po' incrinate; ma queste non menomano la saldezza complessiva del film, che man mano si arricchisce dell'affluire e del convergere di temi, o delle loro riprese e variazioni. Una tessitura veramente amara, e virile, sostenuta dalla robusta e oculata regìa di Nicholas Ray (il regista di Gioventù bruciata), che fa intelligente uso di un cinemascope in bianco e nero, e ha un intelligentissimo commento musicale di Maurice Le Roux. Tra gli attori, un Richard Burton davvero ammirevole, un Curd Jurgens torbido e sfuggente come doveva, un Raymond Pellegrin incisivo, una Ruth Roman molto sensibile. Caldi applausi. Mario Gromo Rosanna Schiaffino, Dall'allegro cordiale sorriso, è una delle più popolari ospiti del Lido

Luoghi citati: Bengasi, Cairo, Parigi, Venezia