Non si deve mai dire che il gatto è morto di Enrico Emanuelli

Non si deve mai dire che il gatto è morto SENTIMENTALI GLI INGLESI? Non si deve mai dire che il gatto è morto (Dal nostro inviato speciale) Londra, luglio. Pochi giorni fa mi sono trovato a Seascale, nel Cumbcrland, in un piccolo albergo di provincia. Il treno dopo quattro ore di viaggio e con un buon ritardo sull'orario arriva verso le dieci di sera; esco dalla stazione ed entrando in quell'unico alberghetto trovo difficile procurarmi da mangiare. Mi si dice che la cucina è chiusa, il cuoco già partito. Richiesta e rifiuto avvengono nell'atrio e mi pare che la malavoglia abbia origine non soltanto da certe usanze locali, ma da una particolare situazione. I padroni dell'albergo,- una coppia già anziana, stavano elogiando la bellezza d'un cagnolino, che apparteneva ad una cliente. Non erano lodi occasionali. Nelle parole di quei due vibrava l'accento del vero affetto; e l'uomo si era persino inginocchiato per accarezzare la bestiola e per parlarle. Gli ricordava un altro cane, da lui posseduto parecchi anni prima e dal quale aveva avuto straordinarie <t soddisfazioni ». Io, e l'amico che si trovava con me, capimmo subito d'essere dei disturbatori e per farci perdonare partecipammo al discorso sui cani. Che poco dopo si allargò ad altri animali, coinvolgendo e mescolando rapidi entusiasmi per gatti e cavalli. L'amico ed io non perdevamo la speranza di ottenere almeno due tazze di té ed intanto il nostro entusiasmo per le « soddisfazioni » che si possono avere dai cani, dai gatti e dai cavalli, essendo simulato, riusciva più convincente d'un sentimento vero. Via via eravamo guardati con minor fastidio, dirci con crescente simpatia; e tanto questa aumentò, che ad un tratto la padrona mi disse: « E le galline, a lei piacciono le galline? ». Afferrai' a mala pena la domanda. L'amico mi venne in aiuto ripetendola e facendomi capire che non vi era nessuna ombra di ironia. Ora devo dire che tre giorni prima ero stato a Redditch, nel Worcestershire, per trovare i signori Quinney, conosciuti in un mio precedente viaggio. Gente simpatica, che abita un'antica fattoria, quasi monumento storico; e rivisitandola avevo visto molto ampliato l'allevamento delle galline. Di una razza, o tipo, il vecchio IQuinney si mostrava orgoglioso. 11 nome mi era rimasto impresso per una ragione inutile a dirsi, tanto è personale; e questo nome era Bianca Wyandotte. Risposi dunque, dopo un silenzio meditativo, alla padrona: « Come no? Alcune sono bellissime. Sono maestose. Prediligo le Bianche Wyandotte ». La padrona preferiva, se non riferisco male, le Rhode Island Red. Ma che cosa importa? Quella sera, anche fuori orario, anche con la cucina senza cuoco, mangiammo nel piccolo albergo di Seascale; e come conseguenza fui invogliato a meditare come gli animali mi circondassero in questo viaggio inglese. Quasi ogni giorno essi reclamavano una parte di tempo, di chiacchiere, di buone o di cattive situazioni. Sulla scia delle galline Bianche Wyandotte che conosco e che so belle, gonfie di piume candide, alte, impettite e delle Rhode Island Red, che non conosco, mi rividi nell'appartamento di mister G., in Brompton Road, a Londra. Al momento dell'invito, e poi mentre ero ospite, mi era stato detto che il pranzo lo aveva preparato la pa. drona di casa e che sarebbe stato servito dalla figlia. Niente di eccezionale. Ma queste notizie, per valutarle, bisogna che le dica con il commento semiserio di mister G. : « Così vedrete come ci difendiamo. Come ce la caviamo noialtri borghesi ». La faccenda della servitù, cioè di una spesa che non può essere detratta dalla denuncia annuale sul reddito, sta diventando in parte retorica ed in parte snobistica. Grandi famiglie, che ancora posseggono castelli o vasti appartamenti, e che sono di vita molto agiata e magari pronte in altri settori a grossi sacrifici, dicono di non poter più sostenere questo della servitù. Il tema lo conoscevo e senza troppa meraviglia lo ritrovavo in casa di G. Mi guardavo intorno, tutto era come sette anni fa, i mobili, i tappeti, i quadri; e la tavola la vedevo imbandita meglio di un tempo. Trascinato però dal desiderio di rendermi solidale nell'avvertire che qualche cosa era cambiato, mi ricordai d'un gatto siamese, che i G. possedevano. Senza riflettere sugli anni trascorsi, ne domandai notizie. In quel momento padre, madre e figlia erano presenti nella stanza. Ci fu un attimo di pesante imbarazzo, che mi raggelò. Pensai d'aver commesso un errore contravvenendo a qualche uso inglese, che non conoscevo. Tra me e me mi diedi dello sciocco, dal momento che di quel gatto, anche se stupen do, anche se un tempo lo avevo visto in quella casa dominatore di tappeti e di poltrone, non me ne importava nulla. La moglie di mister G., guardandomi di sfuggita, disse : « Lo abbiamo messo a dormire ». Si parlò d'altro e con pazienza aspettai di ritrovarmi da solo con G. per chiedergli una spiegazione. « Oh mi rispose — da noi nessuno dirà mai che il proprio gaito è morto ». Dovevo così imparare che un inglese, se è di una determinata educazione o classe sociale, se è legato a certe tradizioni (tutte cose che non abbandonerà mai per quante riforme si facciano), quando vede che il proprio gatto si avvicina alla morte, trascinato dal peso degli anni o da qualche subitaneo malanno, chiama il veterinario che provvede ad una buona puntura. Eutanasia. Gli si dà una dolce smemoratezza che lo sospinge a) trapasso; in altre parole lo si mette a dormire, come appunto mi era stato detto. I ricordi mi tornavano rapidi, suscitando ancora un'ombra di quella meraviglia provata al momento in cui erano realtà. Mi ricordavo dell'occasione in cui mi era stata elogiata una cocorita, "o pappagallina, di razza a me sconosciuta. Per chi sa quale sua fantasia era fuggita dall'appartamento in cui viveva, poi raccolta e consegnata ad una istituzione che ha per slogan imbonitorio: «Ali animals treated, ali treatment free ». Un funzionario appunto addetto a « curare ogni animale ed a curarlo gratuitamente » s'accorse che la cocorita ripeteva un recapito telefonico; e così venne riportata a casa sua. Mi ricordavo dell'elogio fatto ad una signora, di cui ho dimenticato il nome, ma di cui si parlò a lungo una sera, perché aveva trovato il modo di comunicare con le mucche. Adagiava la punta del proprio naso alle umide narici dell'animale, parlandogli con piccoli soffi ed ottenendo, a quanto pare, risposta. Un mattino attraversavo Hyde Park in macchina con un conoscente. Si andava adagio, circondati da un meraviglioso scenario verde, d'un verde sempre come lucido di pioggia, quando all'improvviso il guidatore fermò l'auto-pregandomi di aver pazienza. Cavò di tasca un cartoccio di briciole di biscotti ed allungando il braccio fuori del1 nVcstrino sparpagliò quel mangime sul còfano. Gli uccellini, come ad un richiamo molto noto, accorsero ed i più baldan zosi ci guardavano con indifferenza. « E' una mia abitudine » mi disse il conoscente guidatore e raccontò che l'anno scorso uno di questi uccellini era solito en trare nella macchina, passeggiare sul breve spazio del cruscot to con grande confidenza. 11 mio conoscente sorrideva felice e ripetè, quasi per farsi perdonare la perdita di tempo : « Questo spettacolo mi rallegra. E' un modo piacevole per cominciare la giornata. Non vi pare? ». Ed eccomi ieri al Foreign Office, a colloquio con un giovane funzionario, che i mici amici Gorresio e Monelli hanno conosciuto a Roma, dove egli fu per qualche anno a quell'ambasciata inglese. Non so come gli ricordavo queste ed altre storie di gatti, cani, galline, pappagalli, uccellini e degli uomini o delle donne che fanno loro com- prdtnsspvceegaèmincvifrnnguacU pagnia. Il funzionario ministeriale non era per nulla convinto di ciò che a me sembrava tanto facile capire. <t Sentimentali noialtri? — chiedeva quasi a sé stesso, per trovare una più giusta risposta. — Ma se abbiamo ancora la pena di morte; ma se teniamo vive le punizioni corporali in certe scuole; ma se la nostra educazione familiare conosce ed esercita vigorosamente il castigo dello schiaffo. Non sono disposto a mandare all'aria tutti i miei episodi. Anzi è inutile perché il funzionario ministeriale che mi parlava ed io, tutti e due, abbiamo ragione e proprio dobbiamo metter ci insieme per convalidarcele a vicenda. Infatti, ed in realtà, gli inglesi cercano un equilibrio affettivo o sentimentale a modo loro e per motivi che non sono i nostri. Da simile diversità nascono le piccole reciproche meravi glie, che servono a farci sempre un poco stranieri l'uno all'altro anche nel grande cerchio d'una comune civiltà. Enrico Emanuelli

Persone citate: Gorresio, Monelli

Luoghi citati: Londra, Rhode Island, Roma