La signora decaduta

La signora decaduta La signora decaduta Quel che resta della \ecchia, solenne imperlale e viziosa Pechino - Cinesi, giapponesi e bianchi - Ciascuno per la sua strada - Rovine - Interviste coi servi dell'albergo (DAL NOSTRO INVIATO) PECHINO, settembre. La padrona del castello in rovina viene incontro al visitatore con immutata grazia e nobiltà, ma vinto il fascino che la visione desta il visitatore presto s'accorge che la nobile dama ha un vestito un po' stinto, non più di moda e con qualche rammendo. Tutto è in rovina, nel castello invendibile: muri cadono, le siepi dei viali abbandonati sono inselvatichite, gli interni odorano di muffa. Dei quadri alle pareti sono rimaste le macchie e alle vecchie poltrone non si toglie più la fodera, perchè se ne vedrebbero le viscere. Come la giovinezza della castellana, il fasto del castello non ritorna. La povera Pechino desta pena. Una città di sogno si trasforma in città museale, in un recinto archeologico. Così ho visto Istanbul dopo la guerra, così m'è apparsa la prima volta Vienna — però in ben diversa cornice —, cosi Pietroburgo. Assieme all'Imperatore cadde il manto. Il boy in veste di principe Nella stanza dell'albergo, parecchie volte al giorno sento i segnali delle compagnie a presidio delle Legazioni straniere e sembrano voci di lontani tempi, echi del passato, anacronismo. Cosa ci stiano a fare queste truppe internazionali a Pechino, dove il Giappone tiene corpi d'armata, non si capisce bene. Però le trombe squillano: sveglia, alzabandiera, cambio della guardia, adunata, rancio, libera uscita, ritirata. C'è questo di strano, che nei locali frequentati dalle truppe internazionali, soldati e ufficiali giapponesi del corpo d'occupazione non vanno: Pechino è tutta una tappa giapponese, ma ufficiali e soldati del Mikado anche con l'aiuto della benedetta differenza di orario che tiene i lo-ro orologi un'ora avanti sui nostri, fanno vita a parte. Nei saloni dei grandi alberghi nei quali prima ballavano' delle ambasciatrici e oggi alti e vigorosi marinai americani nelle cui braccia le cincsine si rigirano come bambole spaventate, giapponesi, perciò, non se ne vedono. Se dopo la rivoluzione Ciang Kaì Scek non avesse trasferito la capitale a Nanchino, sostiene qualcuno, Pechino non sarebbe andata in rovina: bella quella sua idea dì riallacciare la tradizione cinese dei Ming, voltando le spalle alla capitale creata dai Manciù! Nanchino l'ha dovi&a sfrattare lo stesso, se no i giapponesi gliele suonavano, e Pechino pure è persa. Sarà: ma se fosse rimasto a Pechino, Ciang Kai Scek o sarebbe caduto sotto l'influenza nipponica, o per sfuggire ai giapponesi avrebbe dovuto fare tutto d'un fiato un tratto ancora più lungo. E immaginate la noia che questo cagiona alla diplomazia internazionale : nell'incerta situazione, nessuno sa se formandosi uno stabile Governo cinese verranno accreditati degli aìnbasciatori o dei ministri, e dove, e nell'attesa Ambasciate e Legazioni tengono un piede qui, uno a Ciungking — risultando così accreditate presso amici e nemici — e filiali a Sciangai. Il forestiero che capiti a Pechino — cancellata dal programma, a causa dei briganti, la gita alle tombe dei Ming — deve visitare i palazzi imperiali, il tempio del cielo, la torre del tamburo, la fontana di giada e le altre cose notevoli di prescrizione; deve quindi passeggiare per Morrison Street e Hatamen Street, girare per le viuzze cinesi, fare un pranzo alla cinese, annoiarsi in un teatro cinese fingendo di capire le finezze dello spettacolo, e deve inoltre entrare al circolo come socio visitatore. Al tempo stesso deve tentare di stabilire dei rapporti con qualche famiglia cinese, per convincersi subito che nessuna famiglia è disposta a ricevere alla svelta un nuovo venuto, senza con iure che gli uomini politici e i ric-ehi sono fuggiti e che i ricchi non fuggiti sono rovinati. Iti ogni caso.dii non è fuggito tace. Capitò qui una scrittrice che tormentò un«residente* — come si chiamano i membri delle colonie straniere per potere intervistare un princi-pe cinese: il residente non sapen-do a che santo votarsi, ordinò aVsuo boy — li cameriere — di vestirsi da prindpe e di sedere serio e grave nel salotto, rispondendo alle domande che la scrittrice gli avrebbe fatte. Siccome un boy cinese è serio e grave per sua natura, la scena si svolse a meraviglia e la scrittrice ignara ne ricavò un'intervista della quale ancora oggi, tale fu il successo, ri- mane forse grata al residente. UntHra volta un mio collega tedesco ebbe dal suo giornale l'ordine perentorio d'intervistare sulla situazione una personalità cinese altolocata; il collega l'avrebbe fallo da tempo se l'impresa fosse stala realizzabile, tuttavia l'ordine perentorio gli fece temere che il giornale, non ricévendo l'intervista, finisse col rimproverargli incapacità. Rientrato a casa dopo una vana caccia, adottò la seguente soluzione: fece portare una scala nel suo studio e disse al servo di salirvi e di sedere sull'ultimo gradino. L'interrogò poi a fondo sulla situazione politica e terminata l'intervista la spedì alla direzione con l'esordio: « Come apprendo da una personalità cinese altolocata... ». Senza trucco e senza inganno Nel mio lavoro, spettabile pubblico, non c'è trucco e non c'è inganno: gli unici cinesi con i quali finora sono riuscito a parlare io sono i boy degli alberghi, o dei cinesi che avendo a lungo vissuto in America o in Europa spesso confessano di non sapersi nemmeno loro render conto di certi fatti e situazioni. Una sera sono arrivato a sedere a tavola a fianco ad una meticcia che parlava il tedesco, e avendole detto nella conversazione, col mio sorriso più amabile: « Capisco bene che lei come cinese... » mi ha risposto energica: «Lei non ha capito niente: io sono tedesca». Se non ho intervistato dei cinesi autentici, ho però fatto le visite di prammatica alle cose notevoli Passeggiando per la Street — nome inglese — ho visto pochi inglesi e giapponesi a non finire: uomini e donne, in kimono, in uniforme o in maniche di camicia. Altresì ho visto dei tnarinai americani girare sventolando la Morrìsonbandiera stellata degli U.S.A., evi\dentemente per non essere scam biati per marinai di S. M. britan- ntea, e ho notato che per ragioni affini gli stranieri in istrada cercano di dire « yes » meno che possono. Quanti inglesi restino ancora a Pechino non so : i giapponesi alla fine di luglio erano in trentottomila, con un aumento di più di mille in un solo mese e di. trentaquattromila nei confronti del '35, anno della guerra. Hanno invaso gli alberghi, hanno comprato il più importante giornale inglese della Cina settentrionale, hanno aperto cinematografi, uffici turistici e negozi nei quali si vendono imitazioni perfette di qualsiasi prodotto europeo, dall'orologio braccialetto che si ricarica da solo ai calamai col leone di bronzo, dai vestiti da signora alle penne stilografiche. Vicitio a questi negozi la farmacia cinese che mostra in vetrina miracolose erbe, la testuggine e il serpente imbalsamati e alcuni strani attributi è già un'intrusa. Nei cortili dei palazzi impericH, nel tempio del ciclo, % venditori ambulanti e i posti di ristoro offrono cartoline illustrate di Pechino stampate al Giappone, birm Aschi e bevande di Yokohama. Dirò che quando sulla soglia del tempio nel quale l'Imperatore, una volta all'anno, andava a rendere conto al cielo delle sue azioni, ti offrono unii limonata o la Coca-Cola, anche chi non conosca i precetti di Budda e la saggezza di Confucio resta male. Accrescono il suo disagio le piante selvatiche che spuntano fra le tegole in maiolica blu di Pechino dei magnifici tetti e fra le lastre di marmo dei cortili, poi il falso trono che gli mostrano nei palazzi imperiali e i pochi mobili ed oggetti che i saccheggiatori risparmiarono o i Governi in fuga non ebbero tempo di portarsi dietro, per poterli quindi rivendere o dare in pegno a Governi stranieri. Certo la città proibita, che riunisce i palazzi imperiali, era un po' troppo vasta per un uomo solo: ina sì trattava- di un figlio del cielo, e un figlio del cielo ha bene il diritto di abitare oggi in questo e domani in quel padiglione e ha bi \sogno di un numero di cortili sufi fidente a trattenere secondo il loro lgrado i dignitari ai quali era con! eesso di varcare il limite della città \fiabcsca. Debolezze che si scontano Dai suoi laghi incantevoli, sulle cui sponde passeresti le ore contemplando il loto fiorito, gli svelti ponticelli di marmo, i chioschi e le lontane colline, l'Imperatore poteva raggiungere in barca, attraverso una rete di canali, la fontana di giada, che vuol essere la prima fonte sotto il delo: e oggi sulle sponde dei laghi le comitive vanno per la merenda o per la cena, e il canale è ricolmo. Ò'era vicino alla fontana di giada un albergo nel quale le coppie pechinesi, si ritiravano per mormorarsi le bugie che l'umanità d'ogni colore ha vergo gna di dire a voce forte, e oggi] questo albergo non ha più nè porte nè finestre o tetto, e aspetta c/ieiedera c muschio si diano pena dilricoprire l'umiliante suo sfacelo. Dopo sette secoli, sono state aperte brecce nel muro di cinta del zparco delle imperiali cacce e penle brecce sono uscite le bestie e sono entrati i curiosi. Dimenticavo il cìrcolo: è deser- to I vecchi recidenti ■nartono e to, i vecciu resiacnu pai tono e:nuovi non ne vengono più: chi t;o-|lete che lo frequenti? Gl'impiegatiìstranieri delle dogane e delle po- .ite sono quasi tutti andati via, i'diplomatici ridotti ad un gruppet- j to. Anche i soci temporanei, ecs-, sato il turismo, sono diminuiti; ili turismo è talmente irrilevante, che. Th. Cook risentirebbe poco delle; dimissioni collettive del suo perso-' naie cinese. Tre grandi banche, fra ,] cui l'italiana, si sono ritirate. Il circolo ha perso non so più quanti (soci e non si rinsangua. Per i locali]pubblici, che non hanno da oserei esclusivi, rimane — accennavo in principio— la risorsa dei marinai 1internazionali, assurti ad impor- . ,. v tante fattore economico: gli eser- centi di Simili locali debbono solo stare accorti a non tenere sui ta-volini lampade a mano e oggetti mobili, perchè whisky, ballerine tassametro e politica sogliono essere cattive consigliere. La nobile signora decaduta guarda, sospira e tace. Però signora: cosa faceste nei bei tempi? Danzaste, beveste e giocaste d'azzar\do, mi dicono. Debolezze che si scontano, signora! Italo Zingarellì

Persone citate: Ciang Kai Scek, Ciang Kaì Scek, Cook, Italo Zingarellì