Gomes

Gomes Gomes mtdndspcsmpatttrstaIl color locale non era alla moda nella musica brasiliana, e neanche in quella operistica ita-i liana, quando Andrea Carlo Gomes arrivò a Milano nel 1863. Certamente non recava nel taccuino appunti di cantilene sincopate, di carnevaleschi ritmi di maxixe o d'altri modi indigeni, che i colti spregiavano, nè divisava di strumentare per cavaquinho o per violao, per caxambù o per puità. La parola carioca significava soltanto « abitante di Rio » e la rumba non aveva diritti di cittadinanza. Niente folclore, dunque. Nel Conservatorio di Rio de Janeiro aveva preso i primi contatti con la musica europea studiando con un lucchese. Nei teatri di San Paulo e di Rio aveva ascoltato le opere di Verdi e i cantanti nostrani, che le folte colonie italiane, arbitre e sostenitrici delle imprese, esaltavano. Per quanto i librettisti verdiani peregrinassero fra popoli lontani, mai s'era sentita una nenia, un accento o un timbro extraeuropei. La nobile musica, essenzialmente italiana, non ammetteva l'esotismo. Giunto a Milano, Gomes apprese da Lauro Rossi le norme della composizione derivate dallo Zingarelli. Alla fine, tanto s'era italianizzato il giovane maestro di Campinas (dov'era nato l'undici luglio del 1836, non del '39, come la sua figlia Itala ha recentemente documentato) da azzeccare una musica proprio meneghina a un'operetta in dialetto. Dell'origine sua serbava tuttavia due caratteristiche. Una, l'aspetto fisico, selvaggetto anzi che no. L'altra, sentimentale, cioè quella saudadc, che imprecisamente si può tradurre nostalgia, rimpianto, esasperazione, anche sensualità dolorosa. Formato dunque alla italiana, e naturalmente fantasioso ed esuberante, Gomes trovò nella musica, nell'opera, nella librettistica, nel pubblico italiano 1860-70, consonanze, affinità, l'ambiente. Le operette o riviste gli valsero come carte da visita nei primi incontri col popolo. La presentazione di Aleardo Aleardi a Clarina Maffei e agli intellettuali frequentatori del salotto di lei gli giovò come un atto di naturalizzazione presso le platee italiane. Avido, insaziato, quel pubblico felicissimo, che aveva posseduto uno dopo l'altro Rossini, Bellini, Donizetti, e Pacini e Mercadante, e che con Verdi risorgeva anche nella musica, incessantemente sollecitava la fecondità pure dei minori, del Cagnoni, del Petrella, del Bottesini, del Marchetti, dell'Auteri Manzocchi, del Ponchielli, nelle cui partiture ritrovava le grosse, turgide, reboan: ti maniere letterarie e teatrali d'un Guerrazzi, d'un Giacometti, d'un Cuciniello, d'un Cossa, e gli argomenti pseudo storici e le avventure romanzesche, e i modi di canto, tamagneschi, non dissimili dalle recitazioni di Tommaso Salvini, della Ristori, di Ernesto Rossi. Gomes s'aggiunse ai minori e s'identificò nel Guarany. Vide il soggetto soprattutto nell'aspetto esteriore. Come psicologo, come contenutista, e tale era per natura, per educazione, non analizzava con sottigliezza i singoli momenti delle persone drammatiche non ne \ narrava coerentemente ic vawv.|vdpavtsnseislasvicende. Ne intuiva, caso per caso, il sentimento, e appena abbozzata l'espressione, la maneggiava per così dire grossolanamente, bastandogli un che di generico, e subito l'atteggiava nelle forme convenzionali; e convenzionali erano non solo quelle architettoniche del recitativo, della romanza, del concertato, ma anche le ritmiche e melodiche, del tempo e dello spazio. Fatta una certa espe^ rienza di quelle consuetudini, si potrebbe indovinare dalla lettura del libretto dove la frase del Gomes e d'altri minori suoi contemporanei scatterà in tempo dispari e recherà una tal cesura che ne faccia sembrare il secondo segmento più impennato del primo, dove il tempo pari consentirà a una melodia patetica dì stendersi compiaciuta sopra accordi ripercossi o arpeggiati, dove la cadenza ripeterà più volte le parole, collegandone in terzine le sillabe. In quanto all'orchestra, Gomes non usò i semplici accompagnamenti verdiani del '50, che furono spregiati come chitarreschi. Ma e anche vero che la sua composizione strumentale, mobile e varia, talvolta opportuna, appropriata, è più smaniosa che intima, più enfatica che lirica, e infogni caso sorregge una vocalità che del dramma è per così dire la rappresentazione mimica. Nel confronto con quel po' po' di fatti scenici, la psicologia musicale si limita a sfiorare la superficie delle passioni. Più è intrisa di verbosità, più s'addice a una coreografia. In sostanza la romantica saudadc del Gomes, non elaborata dall'arte, restava in uno stato primordiale,^ prorompeva, esplodeva, o s'illanguidiva e vaneggiava, senza riflessione, ancora popolaresca, benché diplomata con lode al Conservatorio. Quella' rudezza, quell'impetuosità, quella svenevolezza piacquero assai. Sembra pertanto giusto che anche il grosso pubblico dimenticasse le opere di Gomes, e ne ascoltasse qualhe frammento o qualche potpourri dalle bande nelle piazze, allorché l'Aida, più tardi il seondo Mefistofele, gli ebbero mostrato quanto di meglio poesse conseguirsi pur nella tradizione melodrammatica. Del resto quelli del 1870-80 non si godettero tanta abbondanza di musica senza alcune ottili preoccupazioni. I rimpianti borghesi delle epoche sociali che sembrano assai felici, on per lo più futili, poco documentati, quanto quelli delle età più ricche di genii e di talenti artistici. Nessun tempo è senza ormenti. Il desiderio della quieudine è sempre stato vano. Nel ormento, nell'inquietudine è in realtà la vita, il progresso. Non soltanto Verdi, che fu eminenemente progressivo, destò gli allarmi degli antiwagneriani. Lo stesso Gomes piacque meno nela Fosca, nel Condor, opere posteriori al Guarany, allorché timidamente sostituì alle donizettiane larghezze melodiche, alle usate strutture delle arie, del recitativo,- frasi meno ampie e orecchiabili, declamazioni drammatiche, brevi spunti mutevoli con il momento psicologico, motivi rievocatori. Gli amici più autorevoli dovettero difenderlo dalle accuse di intedeschimento, dalle critiche di impoverimento melodico. 11 pubblico italiano voleva la melodia, qualunque ne fosse la qualità, la dignità, la aderenza al dramma. Più la gradiva se, oltre che facilmente ripetibile, era collegata a una scena suggestiva, a parole ovvie, generiche. La melodia come fine a se stessa. Verdi, che aveva dovizia di melodia, sì, ma anche di arte, e cmapqdmrBslosntftmlcncn coltivava ideali e instancabilmente progrediva, scriveva un anno dopo // Guarany questi pensieri : « Nella musica vi è qualche cosa di più della melodia : qualche cosa di più dell'armonia : vi è la musica! Ti parrà questo un rebus! Mi spiego, Beethoven non era un melodista, Palestrina non era un melodista! Intendiamoci, melodista nel senso che intendiamo noi... ». Così poteva pensare un inventore di melodie che sentiva profondamente il dramma, che intendeva la musica come intimo melos spirituale dell'opera, della sinfonia strumentale, del concerto corale, e che, composta nientemeno che l'Aida, aveva da compiere cose assai più grandi, nuovissime. A. Della Corte.

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