Giovanni Florio

Giovanni Florio Italiani in Inghilterra Giovanni Florio Anche la Cultura, come la Chiesa, ha i suoi apostoli, importanti, se non sempre venerabili e santi. E non si può negare a Giovanni Florio, contemporaneo di Shakespeare, divulgatore massimo della lingua e della civiltà italiana in Inghilterra tra generazioni che molto ebbero ad imparare da noi, la qualifica d'« insertante ». Da un pezzo se ne sono accorti gli studiosi, e a più riprese si è tentato di delineare la figura di questo insegnante cortigiano : la contessa de Longworth Chambrun se ne occupò nel 1921 in un volume che ebbe molta eco pure tra noi, lo Spampanato contribuì notevolmente alla conoscenza del Florio in una serie d'articoli nella Critica degli anni 1923 e 1924, Arundell del Re aveva raccolto materiale coll'intento di scrivere la vita del Florio, e ne dette un piccolo saggio in un libro, The Secret of the Renaissance, che per essere edito in Giappone, dove l'autore insegna, è poco o punto noto in Europa ; ora finalmente Frances A. Yates ha pubblicato pei tipi della Cambridge University Press quella che è certo la biografia definitiva (John Florio, The Life of an Italian in Shakespeare's England, luglio 1934). Personaggio importante, dunque, il Florio, se non proprio simpatico. Suo padre, Michelangelo Florio, si diceva « fiorentino », ma codesta pare sia stata un'amplificazione per guadagnar credito all'estero (altri avventurieri della penna migrati oltralpe solevano ostentare la loro origine dall'Atene d'Italia, per esempio Gabriel Symeoni « fiorentino ») ; o forse il suo nome « Florio » gli faceva effettivamente credere che la famiglia fosse oriunda di quella città. Proveniva, di fatto, da Siena, e non negava che i suoi « passati fossero avanti il battesimo stati ebrei ». Con un po' di buona volontà si possono scoprire caratteristiche semitiche anche nel ritratto di Giovanni Florio inciso da William Hole, e descrivere come qualità semitiche la vivacità, la duttilità comuni al padre e al figlio. La carriera di Michelangelo, frate sfratato per le sue opinioni protestanti, e, dopo varie tribolazioni e peregrinazioni stabilitosi predicatore nella chiesa riformata italiana di Londra, meriterebbe un certo rispetto se un malaugurato incidente non gittasse poco simpatica luce su questo quasi-martire e flagellatore dei corrotti costumi dei « papisti » : si rese colpevole d'un « atto di fornicazione » per cui dovette implorare il perdono del suo patrono, sir William Cecil. Che a questo fallo Michelangelo riparasse sposando la donna (compagna d'esilio o inglese che fosse), che dall'unione nascesse Giovanni nel 1553, sono congetture assai probabili. Il « Fiorentino » non s'era distinto solo come teologo antitrinitario e pastore (non immacolato) di anime; s'era dato anche all'insegnamento dell'italiano e aveva avuto a scolari «il signore Arrigo Harbart», cioè il Conte di Pembroke, e la « signora Giovanna Graia », cioè nientemeno che l'infelice Lady Jane Grey, che la fazione capeggiata dal « si- fnore Giovanni Dudele degnissimo )uca di Nortamberlande » riuscì a fare incoronare regina d'Inghilterra alla morte di Edoardo VI. Se codesta fazione avesse trionfato, la carriera di Michelangelo Florio, familiare dei Grey, sarebbe stata assicurata. Trionfò invece Maria, bloody Mary, e la reazione cattolica; e il « Fiorentino » fu costretto ad abbandonar l'Inghilterra con la sua famigliola, e invece di una carriera brillante, quale riuscì al figlio, dovette contentarsi di predicare pel resto della vita « ai pii e cristiani fratelli della Riformata Chiesa di Soy. Su questa via non lo seguì Giovanni, e la circostanza sembra offrire un curioso parallelismo colla storia dei Rossetti. Anche in questa, un padre agitatore politico e letterato, il cui figlio, nato all'estero, si disinteressa completamente del lato polemico dell'attività paterna, per seguirne solo l'esempio nel campo delle lettere. Giovanni, educato a Tiibingen dal Vergerio e imbevuto di cultura italiana nell'atmosfera italianeggiante della corte del Wurttemberg (che non pare che visitasse mai l'Italia, offrendo anche in questo un'analogia con Dante Gabriele Rossetti), decise di tentare la sua fortuna in Inghilterra, in quell'Inghilterra che dovette sentir decantare parecchie volte dal padre nell'uggia della valle alpina, come un vero Bengodi per un intraprendente latino. Giovanni cercò d'avvantaggiarsi degli antichi protettori del padre : il suo primo volume di conversazioni, proverbi, sentenze italiane, i First Fruits, è dedicato a un membro della famiglia Dudley, Robert Conte di Leicester. Come insegnante d'italiano, a Londra e a Oxford, il Florio divenne presto popolare: il suo metodo .reso ameno dal modellarsi sui trattati di buone usanze italiani che i non ancor dirozzati inglesi dell'epoca cercavano d'assimilarsi, il suo punto di vista deliberatamente puritano, destinato ad ovviare alle obiezioni di coloro che attribuivano un influsso corruttore alla cultura italiana, non potevan mancare di procurargli larga clientela. In uno dei suoi dialoghi in cui discorre della musica e dell'amore, precorre quasi il Manzoni che stimava « opera imprudente » andar fomentando l'amore cogli scritti, poiché « dell'amore ve n'ha, facendo un calcolo moderato, seicento volte più di quello che sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie ». Dice Florio : « Non occorre parlar tanto dell'amore, tutti i libri ne son pieni, e tanti autori ne parlano, che sarebbe pena perduta parlar d'amore». It mere labour lost to speake of Love : parldnrurpaqadcccpedapdpmaqspsczmddqsptuuengcsfsptmcbnlicsdncll e e a e e l ò e e a , l i a n e e o o e e o , e t : smparole che han fatto pensare molti al titolo d'una commedia skakespeariana : Love's Labour's Lost. Moralissimo nel contenuto, l'insegnamento del Florio era, se si vuole, immorale nello stile, tutto affettazioni, allitterazioni, complimenti, sdilinquimenti, uno stile impomatato come un parrucchiere, bilanciato sulle punte dei pie come un maestro di danza, abile a dir nulla in moltissime parole: quello stile che dal cursus medievale attraverso il Boccaccio e il Guevara doveva culminare nel fuoco d'artificio dell'eufulsmo. A renderlo oltre che dolce, istruttivo, il Florio lo farciva di proverbi, che per lui eran suprema saggezza e filosofìa. Questo esempio, tratto da una lettera scritta dal Florio nel 1619, in un'occasione assai pietosa (per sollecitare una pensione) può dare un'idea : La botte dà quello che ha. Il vaso della mia povera condizione (in questa per me sterile stagione) non mi permette di presentare a S. S. (conforme al mio desio) più prezioso liquore, di quello, che altre volte (mentre Troia stette) ho vendemmiato dal genio della piccola vigna del mio arido ingegno, e spremuto dalla anzi che no lambrusca, che uva, nel torcolo delle mie lucubrazioni. E' lo stile che diventerà deliziosamente comico nelle barocche favole di Giambattista Basile. Ed è quanto di meglio sappia dare il Florio, pel quale la frase non è che accordo di suoni, e l'importante è veramente la parola, caramella che egli succia beato, per classificarla o per estrarne' una freddura. Il suo capolavoro è una frase che traduce un semplice est ensevelì del Montaigne: lieth now low-buried in oblivion. Da1 1583 in poi il Florio fu impiegato dall'ambasciatore francese Michel de Castelnau, Signor di Mauvissière, in qualità di maestro di sua figlia, d'interprete e di factotum ; così egli potè venire a contatto d'importanti personaggi, tra cui Sir Wal ter Raleigh, che doveva divenir fa moso per la sua « scuola d'ateismo », cioè di libero pensatore, a cui è probabile desse incentivo Giordano Bruno. Fu appunto il Florio, insieme con l'amico Matthew Gwinne, a invitare il Nolano al banchetto dialettico in casa di Fulke Greville che è così saporitamente raccontato nella Cena delle Ceneri. La Yates ha molto di nuovo da dire sui rapporti del Florio col Bruno, e sulle tracce reciproche lasciate nelle opere dell'uno e dell'altro; dimostra, per esempio, che l'interlocutore del primo dialogo in De la causa, principio et tino chiamato Elitropio, non e altri che il Florio, che aveva il girasole per sua impresa. A immaginarci il Florio in com pagnia di Bruno mentre si reca alla famosa cena a tentoni per le fangose vie di Londra, e poi scambia a ta vola il posto più umile pel più cospi cuo, la sua figura quasi ci diventa simpatica. Ma quest'onesto pedago go, sotto specie di segretario dell'ambasciatore francese, non era per caso una spia di Walsingham, non servì forse a fare intercettare le lettere di Maria Stuarda, a condurre alla scoperta del complotto di Babington e all'esecuzione capitale della sfortunata regina? Più tardi lo troviamo precettore del minorenne Conte di Southampton, e vien fatto di sospettare che a tal posto lo nominasse il tutore del conte, il potente William Cecil lord Burleigh, che già era stato patrono di Michelangelo Florio : il precettore avrebbe dovuto riferire al Burleigh intorno al giovane destinato a contare nel governo del Regno. Southampton era seguace del Conte di Essex: un'altra testa che cadrà sul patibolo, per sventatezza propria e per macchinazioni altrui : fu Florio istrumento, sia pure secondario, di queste macchinazioni? E' probabile, argomenta la Yates; e allora si comprenderebbe l'antipatia di Shakespeare per Florio, che egli avrebbe in parte satireggiato in Love's Labou/s Lost. Ma la storia del sinistro retroscena elisabettiano, delle beghe tra drammaturghi e poligrafi, degli spionaggi, delle conventicole, è argomento da specialisti : la Yates si muove nell'intricato labirinto con la sicurezza che le è data dalla sua solida erudizione I rAll'aiuto di amici potenti, forse di IsSir Robert Cecil, il Florio dovette la snomina a lettore d'italiano e grooml S»otcccmcalrcutmdsGpzgtdmmocormtdeczedgmtcdmof the privy chamber della regina | Anna; e, anche sotto questo regno mentre da un lato lo vediamo intento ai suoi studi linguistici, dall'altro lo troviamo addentro negl'intrighi delle varie corti straniere per combinar matrimoni coi figli di re Giacomo. Sentiamo l'ambasciatore toscano dichiarare : « Mi guadagnai Florio con dargli desinare, et presentargli una pippa di tabacco... ». Come segretario della regina, il Florio godeva d! una posizione assai influente, era\consultato dagli autori per gli spet- \tacoli di corte, aiutò Ben Jonson che1lo degnò del nome di «padre», era!insomma il gran Florio la cui effigie:ci è stata tramandata dall'incisorelHole noie, ioannes rionus .ìugusiae sui ,nae Angl: Scot: Frane: et Hib: Ke-\ginae Praelector Ling: Italicae, col |petto decorato delle quattro collane, 'e il motto «Chi si contenta gode». Ma tanta prosperità non doveva du-'rare. Morta la regina, al Florio fu\concessa una bellissima patente di nensione ma l'erario era esausto e « tutte lo nensinni c;nsne«e nerrViè la '« tuue le pensioni sospese pcrcnc id-,necessita non conosce legge», inva- |no _ il Florio invoco idratamente l'« imperiale sigillo d'Inghilterra, che io credevo inviolabile». Quando la! peste se lo portò via nel 1626, gli re-:Stavan sole ricchezze i suoi libri e! manoscritti e la « pietra corvina » il gioiello col quale l'ambasciatore di\i oscana aveva invano tentato di cattivarsi il favore della regina Anna. Mario Praz. ì[