Convenevoli e botte nell'oasi di Fatma di Renzo Martinelli

Convenevoli e botte nell'oasi di Fatma L'HEGGIAZ IÈ3 FATTO COSÌ Convenevoli e botte nell'oasi di Fatma (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) Gedda, (Heggìas), luglio. Ci son troppi alberi accanto a noi; nel mondo di casa nostra. E' impossibile far loro, ogni volta che li vediamo, tutta la festa che si meritano. Per ritrovare interamente, davanti a una pianta, il dovere e il bisogno di renderle omaggio — perchè sono le piante, sema dubbio, il capolavoro del Creatore; e non venite a parlarmi dell'uomo per carità! — bisogna svegliarsi, un bel mattino, in Arabia, in quest'Arabia tutta di Maometto, nella più autentica Arabia Petréa, e mettersi in cammino, di pieno luglio, col sole già alto, fra Gedda e La Mecca. Allora, s'ha un bell'essere partiti dalla città con in tasca il sicuro indirizzo d'un'oasi! Nessuna certezza ci potrà tener quieto il cuore. Quando la sparuta pattuglia dì palme, tutta sola in mezzo al deserto — forse, chissà, erano tante e tante; e il ghibli le ha separate, disperse, a piccoli gruppi, così, come fa coi cammelli e coi cammellieri — appare là in fonio, o, a un tratto, dietro il rosso dorso d'una collina, non so chi potrebbe limitarsi a dire a se stesso : « Ah, ecco, ci siamo ». Lo stesso autista, che è un arabo di qui, lo stesso nostro custodepilota, che è nato in questi paraggi, allorché la prima oasi è spuntata, hanno fatto occhi da miracolo. Di me, poi, non vi parlo nemmeno. Ci sono alcuni nobilissimi sentimenti che non possono essere sjiaesati senza far ridere. In verità, in verità vi dico che questo povero accampamento di piante perdute in un mare di sabbia e di pietra, m'è parso cento volte più vivo, e m'ha parlato con voce mille volte più umana, di tutti i piccoli campi di tende beduine che, se non era il miraggio, abbiamo incontrato, o intravisto qua e là. L'ombra delle prime ombre Tocco il comm. Persico e gli dico: — Alberi in vista! — Siamo già all'Uadi Fatma? — No. Ci avviciniamo alla prima oasi. — Oh! — sospira contrariato il Ministro. Ma apre gli occhi ugualmente, si sporge, guarda passare le palme con occhi ridenti, e fa loro così con la mano. Poi ripiglia a sonnecchiare, e a sorridere alla fresca visione del cedro di sua conoscenza. Le oasi che s'incontrano fra Gedda e La Mecca, almeno su questa strada da parenti poveri, sono, come dissi, tre. La prima è davvero modestissima. Una voglia d'oasi. Un progetto d'oasi. Qualcuno, forse, un giorno, al tempo dei Ginn — gli spiriti che, prima d'Allah, potevano fare in Arabia tutto quel che volevano, o delegare altri a farlo — passò da queste parti e disse : « Quasi quasi, qui, ci si potrebbe fare un'oasi... ». E cominciò a scavare e a tirar su qualche pianta. Ma, o che gli venisse a noia, o che stimasse troppo malsicura la vena d'acqua a cui doveva affidarsi per il futuro, piantò quasi subito in asso ogni cosa, e andò a ripetere il tentativo un po' più su. Ora, ai Ginn propriamente detti i be duini non ci credono più. Ma sono tuttavia sempre convinti della esistenza d'una certa quantità di esseri soprannaturali a cui spetta d'andare in giro per il mondo, la notte, e in modo speciale quando è tempo di pioggia, a tirar su gli alberi dalla terra. Gli alberi, l'erba, i fiori: tutto quello, insomma, che sottoterra è nascosto. In Arabia, e nei deserti in genere, non piove quasi mai; e ciò spiega perchè vi sieno così poche piante e così punti fiori. Per liberarli dalla loro prigionìa bisognerebbe spezzare il terreno petroso, o scavarlo, dove c'è sabbia, fino a profondità incalcolabili. E gli spiriti non hanno arnesi adeguati. Così racconta il soldato di Bahra; e Bata, che ora è passato nella nostra macchina, traduce — ridendo. Per quel che mi riguarda, debbo dire che non vedo proprio cosa ci sia da ridere. Nemmeno a scuola intesi mai una spiegazione più razionale di questaEcco l'oasi terza. Eureka! La pianta di cedro, o limone che sia — io, veramente, non ci so riconoscere nè l'uria né l'altra — è ancora vìva e verde. Non è esatto, come si dice a Gedda, che la misura del tappeto d'ombra che essa stende sotto di sè sia di un metro e cinquanta per due. E' di tre per quattroHo contato anche le palme: sono sessantacinque. Tutt' intorno, corre un filo d'acqua limacciosa, da cui si dipartono, qua e là, canaletti d'irrigazione che vanno a dar da bere a certi .striminziti filari di erbaggi, probabilmente commestibili — riconosco un po' dberbere, e nient'altro — che fanno piangere solo a guardarli. Non vi sono, intorno a quest'oasi, nè capanne nè tende. Gli ultimi accampamenti beduini li abbiamo lasciati almeno cinque chilometri più addietro. L'unico segno che si vede di un'umana presenza è una specie di ridottino, tutto sbocconcellato, ma d'un biancore cosvivo che, lì per lì, l'avevo creduto un lenzuolo steso al sole. Per quanto è lun a a n a a . e e i o è o ì n ¬ go il suo giro, l'oasi è protetta da una zeriba di pruni secchi; come si fa per gli armenti in paesi di belve. Qui, però, belve non ce ne sono: e armenti degni di tanta cautela non ne ho vedutiContro chi è rivolta, dunque, quellabarriera ? — Ehi, di casa! Venticinque curbasciate Nessuno risponde. Bata, i due autisti, il pilota, aprono un varco nello sbarramento tutt'unghie; e si entra. Le macchine restano fuori. E pochi minuti dopo, per la specialissima arte di Bata, possiamo riposare sopra uno dei più soffici giacigli che mai la mia schiena abbia conosciuto; e centellinare, con voluttà senza paragoni, una limonata in ghiaccio da far resuscitare un Faraone. Avevamo visto, sì, che la macchina-bagagliaio era carice, di cc-.se da spedizione scientifica più eh a da passeggiata e colazione in un'oasi; ma chavrebbe potuto spingersi a supporre che Bata (al quale il Ministro si era limitato a dire: «Domattina andiamo all'Uadi Fatma. Provvedi...) si sarebbe portato dietro un così compito conforto? E non vi dico nulla del pranzo« Bata, ah! se tu ti fossi ricordato anche degli stecchini... ». «Eccoli! ». E' inutile. Sotto quest'aspetto, gli eritrei, specie se han fatto l'ascaro come Bata, sono inuguagliabili. Nel mentre stiamo complimentandoci con Bata per il modo con cui ha saputo metterci a tavola in un luogo così poco propizio atte imbandigioni, un vocìo confuso, sempre più vicino, richiama i nostri sguardi, e la nostra attenzione leggermente allarmata, verso i limiti dell'oasi. — Cosa succede, Bata? — Scherzare. Il beduino indovina la nostra curiosità, e ci fa spiegare da Bata che stratta d'una cosa da nulla. Stanno cercando di denudare come si conviene uno schiavo che deve ricevere venticinque curbasciate. — Oh, e perchè? Molto sorridente, l'arabo, ce lo diceE' quel che spetta al colpevole d'abbandono di pesto. Noi abbiamo potuto entrar qui, e camminare dove c'è parsoperchè lui, il guardiano, era chissà dove— Poveretto... Ma digli, Bata, che lo perdoni! Bata, che ha tanto buon cuore anche per conto suo, passa subito al padrone la nostra preghiera; ma l'altro con uguale sollecitudine ci fa dire che, queste cose, proprio non ci riguardano. Sobrio, ma sorridente. Vede che accarezzo il suo pàrgolo, e me lo spinge, orgoglioso, sulle ginocchia. La lotta fra lo schiavo da fustigare e gli schiavi che debbono fustigarlo continua, intanto, come nulla fosse. Pare sia un diritto dei colpevoli di difendersi, anche fisicamente, finché possonoZuffa aspra, ma silenziosa. Giacché non è proprio possibile fare altro per la vittima della nostra indiscrezione, m'alzo e vado a farle una fotografia. L'Uadi Fatma è esattamente a ventchilometri da La Mecca. Siamo sopra una linea di record. Se qualche cristiano vi dice (salvo Delicata) d'essere arrivato un palmo più in là, dategli debugiardo e non salutatelo più. La Città Santa è là, dietro quel poggio fatto a schiena di dromedario. Dalla selletta passa il cammino MeccaTaif, e pare si possa identificare proprio con quella insenatura, in mezzo a cui si vede correre una striscia biancail punto preciso nel quale Delicata diede lo storico calcio al mulo della suguida dormiente. Venti chilometri soli dalla Sacra Kaaba! Se fossimo nel tempo del grandpellegrinaggio, e il vento sjrìrasse dest ad ovest, potremmo sentire benissimo, di qui, l'angoscioso ululato della folla disperatamente ansiosa di accostarsi un po' di più, sempre un po' dpiù, al cubicolo centrale della GrandMoschea dov'è conservata la Pietra Nera. I soldati frustano schiene e testsenza misericordia; ma questo non fche esasperare più che mai la sadicgioia dei fanatici. Ibn Saud non vuolche il popolo adori direttamente alcusimulacro; perchè questo è contrario ale prescrizioni del Profeta. Ma nel clma di La Mecca, quando due o trecentomila «pazzi di Dio» arrivano, scatenati, intorno alla Kaaba, « sogno dei sogni », anche la voce del Sovrano riformatore si fa fioca e si spenge. Non restano che le fruste dei custodi, sibilanti ina inutili. Cos'è, precisamente, la Pietra Nera E chi lo sa! E' una pietra, nera. Unpietra spugnosa, che arieggia un pocdice chi l'ha veduta, il carbon fossilL'opinione più diffusa è che si tratti dun aerolite, caduto lì chissà mai quanfi mila anni or sono. Già se ne parlavai tempi d'Àbramo. Quando Maomettpartì in volata per la missione comandatagli dal Dio Unico — allora, come sa, tutta l'Arabia era preda del più eieco pagaia simo, — l'enigmatico segnintorno a cui le folle si prosternavancome davanti a uno dei tanti Numi v | e l sibili e palpabili del tempo, fu dal Pro feta stesso, con sottile accortezza, mantenuto nella sua funzione di « calamita » ; e ne fu fatto, anzi, il centro propulsore della fede. La Sacra Kaaba, dov'è racchiusa quella pietra non uguale a nessun'altra pietra del mondo, è per l'Islam la Casa stessa del Signore. Almeno una volta, nella sua esistenza mortale, ogni buon musulmano ha il dovere di andarvi. Calamita formidabile. Se non mi sbaglio, oggi, quattordici secoli dopo,-gli uomini che vivono netta sfera della sua attrazione sono, in cifra tonda, duecento milioni. Già, — dicevo — se fosse stato ancora tempo di pellegrinaggio avremmo potuto sentire di qui il ruggito detta folla. Cosa volete che siano venti chilometri quando centomila persone e più si mettono a gridare tutte insieme"! Ma è luglio. A La Mecca tutto è finito, da più di tre mesi. Peccato! Ci conforteremo pensando che se, invece, il pellegrinaggio durasse ancora, noti ci sarebbe stata barba d'Emiro capace di assumersi la responsabilità di firmare un « salvacondotto ». Il volo di Maometto Venti chilometri. Se la.memoria storica e il senso dell'orientamento mi assistono, dovremmo trovarci, press1 a poco, netta località in cui Maometto ebbe la sua più grande visione: quella detta dell'Ascensione Notturna. Di qui, egli dovette involarsi, in groppa alla bianca alata giumenta fornitagli da Gabriele, verso il Settimo Cielo, dove, tra l'altro, vide « un angelo che era molte volte più grande della nostra Terra, e che non stava mai zitto ». Aveva, quest'angelo sconfinato, settantamila teste, per ognuna delle quali disponeva di settantamila bocche, e ogni bocca era fornita di settantamila lingue, capaci, ciascuna, di parlare settantamila idiomi diversi. Da più di due milioni d'anni egli parlava, notte e giorno, giorno e notte, senza riprender mai fiato, eppure non era ancora riuscito a celebrare tutta la gloria dell'Altissimo. Mentre stava per spiccare il volo di ritorno, Maometto ebbe un'audacissima tentazione. Sorrise, e disse all'arcangelo: «.Non potrei dare un'occhiata al Paradiso"! Descrivendolo dal vero, sono certo che riuscirò meglio a convincere gli uomini... ». Gabriele aderì, e condusse il Profeta, zitto zitto, sull'aurea soglia. Di lì Maometto vide montagne d'ambra, scalee di perle, palazzi d'oro e di pietre preziose, ampie strade d'argento, tutto un popolo di magnifiche creature senza veli, con denti e occhi che mandavan faville; — e non voleva più venir via. Ma: — Albeggia... — gli disse a un tratto Gabriele. — Bisogna andare. Il Profeta si scosse, si disincantò, riprese il suo posto tra le ali della giumenta impalpabile, e in due balletti rifu sulla terra. Il sole era ancora ravvoltolato nelle sue garze di rosea bruma quando Maometto, riaperti gli occhi mortali — non quelli che Allah gli aveva prestato per l'eccezionale circostanza — si rivide cpc■ t! I 'i[ etto la sua vecchia lacera tenda, tra fusti d'un povero ciuffo di palme. Qui. Come potrete onestamente giudicae da tutto quanto sopra, io non son di quelli che vanno in giro per il mondo ol cervello nudo e bruco. Anche sul'Islam, prima di partire per l'Heggiaz, avevo imparato un sacro di cose molo importanti. Ma, ahimè!, non vale. Il mondo è inico, e se ne infischia della coscieniosità d'un povero cronista errabondo. Credete ch'io sia stato capace di racontare ai miei compagni di viaggio una sola, dico una, delle sorprendenti ose che ora ho narrato. Neanche per ogno. Appena mi sono provato a dire: « Vedete"! in questa località. Maometo... », Barattini s'è tirato il « casco » ul viso, come una saracinesca, e non 'ho veduto più. Il comm. Persico ha aperto un occhio, e m'ha detto un « Per carità...», che bisognava proprio essere dei cannibali a insistere. Meno male che ho potuto sfogarmi un po' oggi, con voi. Grazie. Renzo Martinelli dmacIcfizfanIzITldetnSpt LABORIOSI PREPARATIVI PER UNA FUST IGAZIONE