Variazioni su un vecchio tema

Variazioni su un vecchio tema Variazioni su un vecchio tema Il filosofo L,ao-Tze, che precedette Confucio e visse (se mai visse) nel sesto secolo avanti Cristo, protestava con patetica eloquenza contro le novità del suo tempo. Le vie e i ponti e le barche lo facevano fremere d'orrore perchè non erano naturali. Trovava che l'esistenza era avvelenata dalla fretta. Biasimava l'addomesticamento dei cavalli e i mestieri di vasaio e falegname. Quando non potè sopportare più a lungo tutto ciò, abbandonò la Cina e scomparve tra i barbari occidentali. Trovo queste notizie in un bizzarro libretto sulla tecnica e la vita moderna di Bertrand Russell (Panorama scientifico, trad. it. Bari 1934). il quale per suo conto osserva che quella modernità che tanta ira destava nel sapiente cinese, sarebbe apparsa idillica a Gian Giacomo Rousseau. Anche Gian Giacomo pretendeva che si dovesse vivere secondo natura, ma non trovava più a ridire sulle vie e sui ponti e sulle barche, e, in quanto al mestiere di falegname, lo raccomanda come «naturale». Quanto di nuovo, dunque, c'è nella protesta, oggi così diffusa, contro la cosiddetta civiltà meccanica? Viene il sospetto che essa non sia che una variante dell'eterno elogio del buon tempo antico. Ascoltiamo anzitutto Bertrand Russell, tanto più che il suo caso è tipico. Nipote del celebre Lord John Russell, avrebbe dovuto, come da secoli hanno fatto i suoi avi, dedicarsi alla vita pubblica. Lo prese invece il demone della scienza e per esso ri; nunciò agli onori. Solo la scienza gli sembrava utile all'umanità. Cominciò dalla matematica, proseguì con le scienze naturali e concluse con la più ardua delle discipline, la logica delle matematiche. Il suo « Saggio sui fondamenti della geometria » è un'opera classica. Stava studiando la struttura logica degli iperspazi quando scoppiò la guerra. Si è messo allora a cercare le cause delle afflizioni della società moderna e ha finito con lo scoprire che origine d'ogni male era proprio il demone che aveva sedotto lui, il demone scientifico penetrato nella società. Fino al secolo XVIII la scienza è stata ricerca disinteressata e pura teoria, quasi senza rapporti con la tecnica. E la tecnica era quella tradizionale, immutata da venti e più secoli. Fu il genio pratico degli inglesi a porre la scienza al servizio della produzione, a ridurla a fattore economico. L'idea che la scienza possa, con i suoi ritrovati, render felici gli uomini è una vecchia idea inglese ed è di origine inglese la figura moderna dell'ingegnere. Oggi è uno scienziato inglese che dichiara che l'applicazione della scienza mortifica la vita ; che il ritmo dei cambiamenti nei metodi di lavoro è stato così rapido dal 1750 ad oggi, che l'anima dell'uomo, la sua struttura morale e sentimentale, non ha potuto tenergli dietro; che gli uomini più importanti dell'età che si è chiusa or ora, un Edison, un Rockefeller, un Lenin, erano individui privi di cultura, spietati, che s'interessarono alle macchine e alla organizzazione e ignoravano la poesia, l'amore, la contemplazione, il diletto ; che infine il pericolo sta in un'ulteriore, più sistematica applicazione della tecnica anche là dove più delicato è il giuoco degli affetti e dei sentimenti. Tre secoli or sono,, agli inizi della scienza moderna, Francesco Bacone descriveva nella « Nova Atlantis » un'isola beata dove la scienza regnava sovrana : oggi Bertrand Russell immagina un regime scientifico del mondo, in cui tutti i momenti dell'esistenza sarebbero regolati con criteri strettamente razionali. Il paradiso di Bacone è diventato un inferno. In realtà, attribuire la crisi della nostra società a un abuso di tecnica scientifica è un diminuirla. L'invadenza della tecnica è più un effetto che una causa. E' connessa con l'aumento della popolazione, con l'ascesa delle masse, col prevalere, nelle coscienze, del concetto del profitto economico. E' insomma uno degli aspetti d'un rivolgimento, che forse non ha l'uguale nella storia. Non solamente la forma dell'esistenza è cambiata, rna anche l'ambiente, il mondo intorno a noi. E' stato, se non erro, Paul Valéry a dire che l'èra del mondo finito è cominciata. Gli esploratori dei secoli scorsi sono stati senza dubbio benemeriti. Ma è certo che nell'istante in cui anche l'ultimo angolo della terra è stato perlustratoqualcosa di decisivo per il destino dell'umanità si è compiuto. E' caduta la reverenza che gli antichi dovevano provare verso la maestà della terra, e al posto dell'idea dell'infinita possibilità è subentrato il senso del limite. La natura stessa è cambiata. Sì, le specie animali e vegetali sono destinate ad evolversi o a sparire, quasi che nessuna di esse avesse soddisfatto l'aspettativa della Natura. E l'uomo ha sempre distrutto anche senza necessità, per quello stesso bisogno che lo spinge a creare. Ma nei nostri tempi la strage della fauna e della flora ha assunto le proporzioni della fine di un'era geologica. Un dotto tedesco ha compilato un elenco impressionante di animali e piante d'Europa scomparsi in meno d'un secolo e ha constatato malinconicamente che molti di questi nomi sono già privi di significato. Quanti infatti di coloro che oggi leggono Dante, i « Fioretti », Leopardi, d'Annunzio, hanno udito il grido della gru o il canto dell'allodola, del passero solitario, dell'usignolo? Il mondo arcaico dell'orso e del lupo, della volpe e della cicogna, bisognerà andarlo a cercare nelle vecchie fiabe, a meno che anche la fiaba, che ha sem¬ o o è a ù o e o e a i a e i i n , o a à r a i è a a pre amato le bestie, non si estingua con loro. Rimangono gli animali che facciamo esistere, animali da stalla e da cortile, allevati, selezionati, prodotti artificialmente, organi dell'esistenza umana. Il regno animale si sta riducendo al suo sovrano, l'uomo, e ai suoi satelliti. All'altro estremo la città. Vecchio motivo romantico l'odio verso la città. Rousseau, settario, la chiamava tomba del genere umano, ma Goethe la cantava come creatrice di quanto vi è di bello e di degno nell'esistenza umana. Oggi la metropoli ha ucciso la città, organismo vivente c centro di cultura. La vecchia città con le sue vie e le sue piazze, le sue chiese e i suoi palazzi, il suo linguaggio, la sua arte, il suo spirito. La vecchia città ordinata, dove tutti si conoscevano e ognuno aveva la sua casa, dove vivere significava partecipare a una determinata tradizione, assumere una data linea, # * * Ruskin ha insegnato a tutti gli esteti di questo mondo a detestare la civiltà meccanica come distruttrice dell'antica bellezza. Troppo facile condanna e troppo superficiale rimpianto. Il mondo, che Ruskin amava, aveva perduto la sua grazia molto prima che la civiltà meccanica trionfasse. Quello che essa ha colpito a morte è invece una forma di esistenza, che non aveva solamente un fascino romantico, ma un intimo valore. Ci siamo sottratti alla vicenda delle stagioni, ignoriamo l'alba e il silenzio notturno, la tenebra e la vampa del focolare, e abbiamo perduto tutto ciò che queste realtà significavano per la vita dell'uomo. Nessuno ha descritto così finemente questo trapasso quanto Romano Guardini nelle sue « Lettere dal lago di Como ». Nelle pingui valli della Brianza, lungo la costa del lago, tutta paesi, giardini e ville, il professore dell'università di Berlino dal bel nome italico aveva capito che cos'è la civiltà: miracolo pieno di luce, semplice come il sole e l'aria e tuttavia pervaso dallo spirito, di-; venuto atmosfera, ritmo, maniera di esistere. E tra questa « urbanità » e la natura non c'era nulla d'antitetico, perchè l'ima armoniosamente si saldava e continuava nell'altra. Per quanto si sollevasse dalla natura, la vecchia civiltà restava sempre legala ad essa c nutrita dalle sue linfe. Con la tecnica è avvenuto una rottura. Il marinaio ha ceduto il posto al motorista e dietro il classico aratro non cammina più l'aratore, come è scomparso, col carro, il carrettiere, come scompaiono il fabbro, il carpentiere, l'artigiano, tutte figure tipiche, che lavorando sulle cose e sulle forze della natura, lottavano con esse, ma le conoscevano e amavano. Ora questo amore e questa conoscenza sono andati perduti. Tra l'uomo e la cosa si è frapposto l'apparecchio, e si è passati così in un ordine astratto dove impera la formula anonima, che serve per tutte le cose perchè non ne afferra nessuna nella sua concretezza. Nell'uniformità che si sta stendendo sulle foggie e sui costumi, tingendoli di grigio, è già nell'interno delle intelligenze e l'uomo che ha dimenticato il gusto della cosa, non opera più che recandole violenza. Tuttavia, volere o no, si tratta di una nuova esistenza che si deve accettare. La nostalgia è dolce, ma vale poco. Lo stesso accorato Guardini riconosce che bisogna dir di sì al proprio tempo. E si può dirgli di sì poiché già si avverte, in questo regno della tecnica, l'esigenza di uno stile e di una nuova bellezza, come se la fase dell'avanzata incomposta fosse chiusa, e si fosse già iniziata quella del raccoglimento e della forma. Carlo Antoni. zfvsn

Luoghi citati: Berlino, Cina, Como, Europa