Il passo più difficile è pilo della porta

Il passo più difficile è pilo della porta VERSO LA TERRA DI MAOMETTO Il passo più difficile è pilo della porta -<I>e»l nostro inviato)-SUZ SUEZ, giugno. Non pare che andrò a Gedda. O, almeno, non pare che vi andrò facilmente e subito. A Port Saìd ìio avuto ben scoraggianti ragguagli sull'entusiasmo con cui il Regno saudita è solito accogliere le domande di « «isti » su passaporti europei. Chi voglia andare a Gedda o a Yambo, che sono le due sole località dell'Heggiaz dove, in teoria, gli europei possono mettere piede, e magari anche vivere, deve poter dimostrare d'essere un mercante già noto nel paese; mercante di che, e a quanto, e se in proprio o per conto di chi. Fuori di questo titolo, e senea questi limpidi requisiti, « «isti » non se ne danno. Fatta eccezione, beninteso, per le rappresentanze diplomatiche accreditate presso la Corte dell'Ibn Saud. La ragione di questa scarsa ospitalità c'è, ed è lampantissima. Fuori di Gedda, come fuori di Yambo, non è lecito a nessun cane infedele di fare nemmeno un passo. Al di là delle ultime case incomincia, subito, quella fanatica, intollerante, ermetica Arabia di Maometto che costituisce ancora, per nove decimi buoni, uno dei più seni scacchi della geografia. Quel che se ne sa, ci viene da fonte araba; ma gli arabi, dotti e non dotti, sono felicissimi quando possono tirare dei veli sulle cose fisiche e spirituali del loro Paese. Così, tutta la vasta penisola compresa fra il Mar Rosso, V Oceano Indiano, il Golfo Persico, aspetta ancora, com'è ben noto, chi le dia un posto serio in un atlante serio. (Attesa, peraltro, che è di tutti fuorché degU arabi. Per. essi è già di troppo quel ohe si sa). Un viaggetto risparmiato Stando, dunque, in questo modo le cose, che ci andrebbe mai a fare un europeo a Gedda o a Yambo? Dicerto, egli porterà con sè, se non porti merce da vendere o non cerchi merce da comprare, qualche desiderio indiscreto; o forse, ancora, qualche audace progetto di forzamento della gelosa barriera che protegge la vicinissima Mecca. Nella migliore, delle ipotesi, andrebbe là con il proposito di poter raccontare un'altra fàvola, dopo quelle che sono state dette pel mondo, in grazia di un francobollo con timbro di Gedda, da scrittori di giornali e di romanzi. Tutte cose innocenti, magari, ma che urtano moltissimo i mussulmani m genere, e il Governo dell'Heggiaz in particolare. La letteratura giornalistica possiede pifc d'una di tali pagine avventurose, nelle quali si narra il contrabbando fatto, sotto veli arabi, o in virtù di finte conversioni all'Islam, da viaggiatori e da viaggiatrici di tutti i tempi. Pagine che, però, i custodi dei luoghi santi maomettani smentiscono. Storie, dicono. Storie, soprattutto per quello che riguarda i veli. In quanto alle conversioni, tutto può darsi. Ma s'ha da tener, conto che una legge mussulmana, da molto tempo in qua, non consente il pellegrinaggio a La Mecca se non a chi sia o maomettano per nascita, o convertito da almeno dieci anni. Ora, vorrei vederlo quel giornalista ohe possa concedersi il lusso di dedicare dieci anni a un solo « servizio »/ e, sia pure, sensazionale. Perciò, niente Mecca. Niente Mecca e, a quanto pare, probabilmente, niente Gedda. Sono io mercante? No. Sono addetto di Legazione? No. E, allora, cosa diavolo mai voglia andare a fare in casa d'altri? Nello spirito, se non proprio nella lettera, queste sono le notizie che a Port Said m'hanno dato intorno alla probabilità ch'io possa andare a mettere il naso, come vorrei, sulla vietata soglia. — Ma un tentativo presso fi Ministro dell'Ibn Saud si potrà fare? — Certo. — Che tipo è? — Beduino puro. ■— Fiera razza genuina. La preferisco a certi incaricati di seconda mano. Nutro fiducia. — Auguri. Il rappresentante diplomatico del Re dell'Heggiaz presso la Corte egizia risiede, naturalmente, in Cairo; ma da Port Said a Cairo non ci sono che quattr'ore di treno sulla sabbia. Val la pena di spendere queste po' di piastre e questa po' di fatica. Avevo deciso così, ed ero già quasi in cammino per la stazione, quando la premurosa cortesia del nostro Console in Port Said m'è venuta incontro col suggerimento di spedire a Cairo soltanto il mio passaporto. Non è molto probabile che il Ministro dell'Heggiaz, il quale parla soltanto il dialetto della regione dov'è nato, si la sci conquistare dai miei ragionamenti personali. Molto meglio sarà fare il tentativo attraverso la Regia Legazio ne d'Italia, e andare ad aspettar la ri sposta a Suez. — Ma perderemo molto tempo... — Non più di quanto ne perderebbe lei con le sue pratiche dirette. " Speranza Facciamo qualche conto sugli orarti marittimi. Mercoledì, cioè dopodomani, salpa da Suez per Yambo e Ged da il vapore « Taìf ». Poi, per otto gioliti, non ci sarà alcun altro mezzo per raggiungere la costa araba. Fra otto giorni appunto, il nostro « postalino » del Mar Rosso, che fa settimanalmente la spola fra Massaua e Suez, nel suo viaggio di ritorno dall'Egitto all'Eritrea, compirà una fugace apparizione davanti a Gedda; e, se perdo il « Taif », dovrò per forza, servirmi di quello. Dovrò, cioè, rimanere a Suez per più d'una settimana. A far che? La decisione è presa in questo senso: manderò il passaporto al Cairo con la preghiera di far di tutto per rimandermelo a Suez entro ventiquattr'ore. Suez. Martedì. Qui, il nostro rappresentante si chiama Speranza. Bel nome. Appena, anzi, mi sono andato a presentare a lui, prima di tutto per ossequiarlo, poi per metterlo al corrente delle mie pene, e gli ho sentito dire a fior di labbra quella cara parola: «Speranza...-», ho creduto volesse farmi un augurio, e gli ho risposto: « Grazie! ». Poi la cosa s'è chiarita, e s'è riso. Ma il buon augurio restava. Era lui in persona. — Signor Consóle, ho preso alloggio proprio all'albergo qui vicino. Appena ci saranno notizie dal Cairo, la prego... — Non dubiti. Le darò immediatamente un colpo di telefono per tranquillizzarla. JJn'ora dopo, mentre sto fervorosa¬ mente immerso nel buon odor d'incenso che vien su da un fóndaco gremito di gente cenciosa e beata, ecco il mio nome, allegramente tradotto in arabo, passare di bocca, in bocca, negli immediati paraggi dell'albergo. Mi si ricorca con ansia. Il signor Console mi chiama al telefono. Di già? Segno brutto o segno buono? — Pronto. Sono io. Che c'è? — Una cosa poco lieta. Il Ministro dell'Heggiaz al Cairo dice di noti sapersi rendere conto del perchè lei voglia andare proprio a Gedda... Cosa gli rispondiamo? — La verità. Cioè che non lo so bene nemmeio io. A Gedda come in un altro posto qualunque. Per vedere e per scrivere. Ma senza dar dispiaceri a nessuno. Dopo la guerra con l'Yemen, e dopo la pace che pare sia stata fatta, l'Ibn Saud è diventato del resto, e lo saprà anche lui, un personaggio molto importante. Vorrei poter raccontare con quelche esattezza com'è fatto il paese dove sta di casa. Questo è tutto. Bisognerebbe, però, rassicurarlo sulla mia discrezione... Un cameriere sbalordito — Ho capito. A più tardi. Mezz'ora dopo, altra ilarità nell' albergo. Mi si cerca di nuovo. (Chissà mai perchè questa povera parola, Martinelli, diventi così divertente su labbra faraoniche). — Pronto. Sì. Sono io, signor Console... — Rispondono da Cairo che il Ministro saudita non vuole assumersi responsabilità. Metterà il « visto » soltanto se gli arriverà il beneplacito da La Mecca... — Di dovef >-» Da La Mecca. Ha già telegrafato. — Al Re? — Forse. — Chissà che bella sorpresa per l'Ibn Saud, quando apprenderà che lo voglio andare a trovare! — E' una quistione di forma, credo. — Per dirmi di no? — Può darsi. Tutto può darsi, è vero. Come può darsi benissimo, ad esempio, che io, in quest'aspettativa, con nove probabilità su dieci destinata a fallire, finisca per perdere non solo il « Taif » che parte domani, ma anche il « Cagliari » che leva le àncore domani l'altro all'alba diretto a Massaua, e che potrebbe darmi il modo di rinnovare un tentativo sulle autorità saudite attraverso il Governo dell'Eritrea. Evidentemente, c'è una cosa sola da fare: chiedere alla nostra Legazione in Cairo di volermi rimettere in possc:so, col primo corriere, del mio passaporto cosi come sta; vale a dire senza il « visto » beduino. Se, poi, entro domani, La Mecca dirà di sì, il Ministro dell'Ibn Saud delegherà a mettere il timbro il suo dipendente di Suez. Sennò, pazienza. Giovedì filerò per Massaua. Mercoledì. Col corriere mattutino di Cairo è arrivato il mio passaporto. H Console Speranza me lo ha fatto recapitare di sorpresa; ed io l'ho aperto con un cuore che non so dirvi. E' inutile: ormai non vivo che per andare a Gedda. Esattamente come ì Tacrùrì, ì pezzenti d'Allah, che vivono e muoiono per andare a La Mecca. Ho rotto la busta con mani da innamorato. Ho succhiellato la seconda pagina come si succhiella la carta a sett'e mezzo quando si è osato tirare sul sette. Figura! Eccolo lì il sospiratisslmo « visto ». L'Ibn Saud è il più caro degli uomini e il più grazioso dei Re. E che sollecita squisita burocrazia! Non mi par vero d'essere a Gedda, per poter stringere la mano a qualcuno. Ma è davvero un « nulla osta » questo?... Pare un disegno, una miniatura, un ricamo. Che ci sia sotto uno scherzo? Che un qualche arabo, di quelli che sanno miniare i codici più e meglio dei certosini, si sia divertito a dar prova del suo virtuosismo su quella povera mia paginetta, nel mentre si aspettava il sì o il no di La Mecca? Ci sarebbe da crederlo. Non vedo nè firme nè francobolli. Ho fra le mani una piccola opera d'arte. Più tardi, acchiappo un cameriere, che mastica alla meglio l'italiano, e gli metto il documento sotto gli occhi. — Cosa stare scritto qui? — Qui?... Aspettare. Qui stare scritto che tu — e quasi m'infilza un dito nello stomaco — potere andare a Giddah quando vuoi, perchè Ibn Saud avere dato permesso... Il traduttore mi guarda a lungo in silenzio. Poi dà in un'esclamazione che mi lascia sperare d'avere imparato l'arabo tutt'a un tratto. Non c'è dubbio possibile. Ho capito perfettamente. Ha detto: « Corbézzoli ». RENZO MARTINELLI LrctdfBdpcCqtbcbssvgCnfcrcdAatsccentpagssnnrlsCdmclMttIounaprivpdlldccnEttsppdgncd