La prima vittima: l'operaio

La prima vittima: l'operaio li '*tMumpinff„ giapponese La prima vittima: l'operaio La « guerra leggera » continua ad essere con= dotta usando il matenale=ucmo senza misericordia (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) e i e i i e e i KOB E, maggio. Se non volete aggravare troppo gli innati sospetti che ogni buon giapponese nutre contro il prossimo bianco, evitate con tutta cura di usare nei vostri discorsi la parola \ « dumping ». Si inferociscono, vanno '• a raccontarlo a chi si interessa di; voi, e allora le attenzioni delle autorità si convertono in noie. Noie, non gravi, ma perditempo gravissimi: la macchina della propaganda nipponica vi farà invitare a una serie di pranzi durante i quali il piat-\ to del giorno sarà, dalle cipolline al-\ la cantata delle ghescie, «.dumping»: vi farà trovare un'automobile con guidatore in livrea per portarvi a vedere le meraviglie di Nilcko accompagnato invece che da un artista o da una guida eclettica, da un economista illustre o non illustre incaricato di spiegarvi che il «dumping», come fatto, non è mai esistito. Una parola diabolica E' soltanto una parola, una diabolica parola inventata dagli inglesi al ! solò scopo di scusare la numerosa ^servitù, le ville in Riviera, i cavalli, ! le parrucche bianche e le robe rosse .dei Lord che si fanno pagare l'affitto \del terreno sul quale gli altri hanno \costruito; per giustificare le tube neire dei banchieri della City; per spie\gare il 25 per cento di «income tax»; \per trovare una scusa alle poche e ì poco redditizie ore di lavoro degli stipendiati, alle pensioni, al « dole » al Derby, alle scommesse, ai cinque e quotidiani pasti... A questo punto vi conviene senz'altro dare discussione vinta, e conI tinuare voi stessi l'elenco di tutte le ' mollezze e di tutti gli sperperi albiojnici... Il vostro mèntore probabilmen\te si convincerà di avervi convinto e voi avrete imparato r. non parlare più di « dumping » senza prima esservi guardato ben bene intorno. Vista e sperimentata questa fobìa, ho cercato di scoprire fino a qual punto siano giustificati lo scundalo e la rabbia dei giapponesi quando sono accusati di svendere. E' debito di lealtà dire subito che nel corso della difficile ina completa inchiesta fatta in proposito, ho avuto la dimostrazione che, in un caso almeno, l'accusa di « dumping » nipponico è una calunnia. Si è letto sui giornali di tutto il mondo che in Australia e SudAfrica stavano per essere lanciate sul mercato delle automobili giapponesi a sessanta sterline l'ima: que\sto non è vero, ed a me è capitato ■ di apprendere come la storia sia staI ta messa in circolazione e come le | sia stato dato credito: ma questi «come» sono abbastanza miserabili .per meritare di essere raccontati; imj porta invece stabilire che il fatto non è, e non è mai stato, vero. D'altro canto, si deve aggiungere [subito che questo caso e l'unico a fa: vore della tesi nipponica. Tutti gli altri sui quali ho indagato con eguale accuratezza le sono sfavorevoli: le scarpe di tela con suole di gomma J vendute all'estero per sette lire alla dozzina, si vendono, all'ingrosso, in Giappone, a dodici lire (quaranta per cento in più ) : lo stesso accade per le lampadine elettriche, per i tessuti di lana e di cotone, per le vetrerie, eccetera. Il caso del « rayon » Tipico è il cuso del rayon, che merita di essere illusi rato e discusso a fondo per poter smascherare i! modo veramente abile con cui la vendita i viene camuffata. E' necessario coìminciare «ab oro», o litiasi: una \cassa di filato, di finezza media, coìsta al fabbricante 56 yen: il ptezzo ' cori-ente sul mercato è di 9S yen. Bi\sogna notare che il prodotto destinalo all'esportazione non viene mai venduto direttamente dal filatore al tessitore, ma sempre attraverso de.gli agenti ai quali il fn'bricantr. con [cede il venti per cento di sconto. In 'più l'agente esportatore si prende il ìcinque per cento di provvigione sul[Vaffare: in totale la fabbrica vende [il filato destinato ai mercati esteri a un prezzo che è del 25 per cento inferiore a quello destinato al mercato nazionale. E questo non è tutto: l'analisi del costo di produzione del rayon giapponese mostra che soltanto 7 yen e lf5 sen, cioè il 12 per cento circa, è assorbito dai salari, mentre per gli altri paesi produttori, le spese di mano d'opera incidono tra il 30 e il .'/O per cento sul costo di produzione. Quindi non solo il Giappone fa pagare ai cittadini consumatori di un certo prodotto un prezzo che è più caro di quello che ogni industriale di qualunque paese fa pagare sul proprio mercato (il filato di rayon è un « semilavorato » destinato a subire una nuova lavorazione prima di passare al consumo, ed un utile del Ifi per cento, a questo stadio della produzione, è semplicemente enorme), ma questa manovra è intesa a non altro scopo che quello dì mettersi in condizioni di poter svendere all'estero. Ma, a questo punto, il difensor-' della tesi giapponese potrebbe obiettare: una simile pratica non significa ancora « dumping » perchè il costo di produzione, 56 yen, è ancora inferiore al prezzo di vendita, 74 yen circa. Questa obiezione, se aritmeticamente è esatta, industrialmente è capziosa: infatti, sono giusti i calcoli giapponesi sul costo di produzione o non ci sono delle volute omissioni? E' certo, per esempio, che gli ammortamenti di macchinari ed impianti sono calcolati secondo un criterio che, per dire poco, è eccessivamente ottimista. Una attenta disamina di essi convince che se fossero eseguiti con criteri simili a quelli che governano l'industria similare in tutto il resto del mondo, si vedrebbe che quei 56 yen salirebbero a 62 almeno. A questi vanno rtggiun'i gli interessi verso banche e perdite sui cambi, che l'industriale giapponese non ha bisogno di conteggiare perchè le banche sono obbligate a concedere crediti e fidi su fondi che non sempre vengono dal risparmio privato. Quanto ai cambi, mi hanno lasciato capire che gli industriali sono sempre avvertiti a tempo di qualunque movimento fatto fare a'io yen in modo che possano comprare a tempo valuta dei paesi che forniscono loro materie prime. E il costo di produzione, vero, di una cassa di rayon filato, sale così a 65 yen. I due prezzi Ancora: l'industriale giapponese non ha sulla lista degli stipendi i nomi dei chimici e degli ingegneri di un ufficio studi ed esperienze incaricati delle ricerche di nuovi macchinari e di nuovi sistemi di lavorazio ne, perchè tale servizio è reso dal Dipartimcnto del Commercio con la sua organizzazione minutamente descritta in un precedente articolo. E infine le compagnie di navigazione hanno o non hanno un premio su ogni tonnellata di materia greggia importata.' e non è forse vero che questo significa, niente più nienic meno, che una riduzione di nolo? Ed è vero, o non è vero, per restare nel caso del rayon, che la polpa di legno viene totalmente dall'estero? Addizionando tutti questi elementi si vede che il prezzo a cui la fabbrica vende il rayon destinato all'esportazione è inferiore a tinello che la sua produzione costa alla Nazione. E la riprova di questo può essere enunciata in una domanda semplicissima: perchè, se non per ripagare le perdite di quello spedito all'estero, si vende il filato di rayon alle tessiture giapponesi e quindi al consumo interno, a 98 yen per cassa.' Che una parte delle spese di produzione sia fatta direttamente e indirettamente dal Governo invece che dal fabbricante è una questione che "ambia poco, anzi non modifica per nulla, il fatto che il prodotto è venditto all'estero — e soltanto all'estero — ad un prezzo inferiore di quello che realmente costa. Quando si scrive clic il «dumping» — quello dimostrato per il rayon è OSAKA: Disoccupati in attesa alle porte delle fabbriche.

Luoghi citati: Australia, Giappone