Binda stroncato dalla sofferenza si ritira e Guerra vince anche a Napoli

Binda stroncato dalla sofferenza si ritira e Guerra vince anche a Napoli Un colpo di scena nella vicenda del Giro ciclistico d'Italia Binda stroncato dalla sofferenza si ritira e Guerra vince anche a Napoli Olmo è stato ancora il più pericoloso avversario del campione d'Italia al quale ha ceduto solo in una volata irregolare (Dai nostri inviati) Napoli, 26 notte. Questa Roma-Napoli potrebbe avere per titolo: Il dramma di Binda e il duello Guerra-Olmo. Quello ha aperto la tappa, questo l'ha chiusa. E sono due episodi che appartengono alla cronaca nera del Giro. Tulio il resto non meriterebbe neppure di essere raccontato e tanto meno commentato. La rinuncia dolorosa Binda ha abbandonato il Giro. La notizia, che addolorerà profondamente gli ammiratori ed i simpatizzanti del grande atleta di Cittìglìo non può far piacere neppure a chi di altrettanta ammirazione e simpatia circonda il. campione di Mantova. Anzitutto perchè lo sport sarebbe meschina e volgare cosa se facesse gioire o anche solo lasciasse indifferenti gli uni delle disgrazie degli altri, e poi. perchè con Binda il Giro perde indubb'uinicnle buona parte del suo interesse, anche se non erano più molti a ritenere che il tre volte campione del mondo potesse ancora rifulgere nell'aureola della vittoria. A me personalmente, che per aver criticato quando mi sembrava giusto alcuni atteggiamenti di Binda, pure avendolo valutato fra i primi e inalzato sempre nel giudizio tecnico all'apice della classe, passavo, non dico per un antibindiano (che l'apprezzamento sarebbe, oltre che non giusto, sciocco) ma per un tiepido suo zelatore, il ritiro di Binda ha dato dolore e commozione. Poche volte come questa, avevo visto Binda così sinceramente e, direi quasi, umilmente impegnato nella battaglia. L'atleta che si è cinto per cinque volte della maglia tricolore e per tre di quella coi colori dell'iride, che vanta il più nutrito serto di vittorie di cui sisia potuto cingere un corridore su strada, che si è sentito dominatore, per anni, di tutte le strade d'Europa, che non aveva mai trovato chi lo mortificasse in salita, che solo la sfortuna ha privato del più bel « record » ciclistico, quello dell'ora; questo colosso del ciclismo, insomma, dì cui non sì troverebbe l'uguale nella storia cinquantenaria della bicicletta, sentwa di non essere più lui, di essere diventato più piccino e più fragile: eppure ha voluto osare quello che tutti alla vigilia abbiamo ritenuto il più combattuto Giro d'Italia. Perchè? Non per denaro, che a nessuno la carriera aveva reso quanto a Mi; non per ambizione, che già era sazio di onori. Era la nostalgia di quella atmosfera in cui ha vissuto per tredici anni, era il tormento di trovare la via più bella per uscirne che lo spingeva, lui milionario e stanco, a tentare l'ultima impresto, ad affrontare, per essa, gli spasimi della fatica e magari la mortificazione dello spirito. Ogni giorno che passava in questo supremo tentativo egli doveva accorgersi che gli anni non perdonano a nessuno; che la classe è un tesoro che accompagna la gioventù. Ogni salita gli dava questa implacabile dimostrazione, e crescevano e cambiavano attorno a lui i più giovani che l'ammonivano, che l'umiliavano. Eppure egli non cedeva, Si attaccava disperatamente alla sua volontà, faceva appello a quanto gli era rimasto del suo eccelso valore, andava avanti imperterrito, condotto da un filo di speranza che doma-, ni, nella tappa dell'Appennino, avreb-\ be dovuto, secondo luì, 0 spezzarsi o rinsaldarsi. Non ha potuto giungerea questo decisivo esperimento. Ieri sera ero stato al suo albergo per accertarmi che sarebbe partito. Alla partenza: «Presente!» « Alle 10 deciderò », disse. A quesfora assicurò che sarebbe andato alla partenza, ma il suo aspetto era niente affatto rassicurante. Il polso batteva forte. Lo stordimento continuava, la febbre riprendeva. Nellanotte il termometro segnò fino a 38e mezzo, stamane era sui 38,2. Cercò di dormire, almeno di riposare: nonci riuscì. Comunque posasse la testasui cuscini lo pungevano fitte insopportabili. Alle due chiamò uno dei suoi fidi e volle che gli stesse vicino fino all'alba. Le ore lunghe passa: rono rievocando cari ricordi, ina, più ancora, nel rimpianto della fine di questa impresa, che egli diceva irrimediabile. L'amico lo seguì in questo suo fantasticare, cercò di distrarlo dal pensiero che lo tormentava fino allo schianto e il notturno colloquio fu troncato dalle prime luci del giorno. Binda giunse al ritrovo di partenza quasi per ultimo. Aveva attraversato Roma a passo d'uomo per evitare gli sbalzi, incerto sulla bicicletta; il capo chino come sotto il i)eso a a . o i a o i a e o l ù o e o o e ì l ii u , i a ì a i o . o a i o i e e delle bende nascoste dal berrettino bianco. Scese di macchina lasciando il corteo che l'aveva accompagnato in questa sua « via crucis » sotto il porticato del cortile in cui i corridori si erano già adunati. Lo avvicinai fra i primi e, intuendo la domanda che avevamo sulle labbra, disse: •— E' inutile che parta: la testa mi gira. Ho paura dì cadere svenuto. Dio sa se potessi... Stemmo lì a guardarlo, muti come temessimo di commettere un delitto a indurlo a partire. Gli occhi affossati e bruciati dalla febbre, il volto quasi scarnificato, la lentezza dei movimenti misurati e tremanti, tut-\ lo in Binda dava la sensazione della assenza dello spirito e delle sofferen-' ze del corpo. Eppure fummo così crudeli nella nostra e sua speranza che lo convincemmo a tentare il miracolo. Sì fece l'appello e Binda rispose; «..Presente ». Mai con tanto coraggio egli aveva preso il suo posto di combattimento. Alle 8,1)5 il generale Vaccaro, segretario del C.O.N.I., abbassò la bandierina. Lanciai che in testa andassero via a J/0 all'ora e mi misi a seguire Binda, accodatosi subito, nella convinzione che la fatalità si compisse al più presto. Invece il combattente non piegò le ginocchia die quando non ebbe più forza di reggersi. Per sua mala sorte i nero-bianchi, che finora se ne erano stati sempre tranquilli, avevano ricevuto l'ordine, che datava già da Pisa, di farsi vivi e di sparare tutte le loro cartucce. Sieronskì trovò un alleato in Salazar e i due tentarono e ritentarono di provare se nessuno li prendeva sul serio. Ci fu, invece, chi li mise a freno, ma le loro sfuriate furono tante mazzate sulla testa di Binda, che tentava seguire la coda della lunga fila. Per due volte egli rimase solo con una pattuglia di retroguardia condotta da Bellini, e anche lui provò a fare la parte sua nell'inseguimento che alla fine ebbe buon esito. Per colmo di sfortuna, la mattinata portava di fronte un vento non indifferente. Le offensive abbozzate da Rinaldi, Rimoldì e Salazar una volta, e da Salazar, Rigaux e Galatcau un'altra, non concludevano che a far precipitare la situazione di Binda, che alla fine s; trovò staccato con a fianco il solo Pavesi. « E' finita !... » L'olimpionico per tre volte distolse Binda dal proposito di finirla, lo incoraggiò, lo sospinse, gli fece strada e ogni volta Binda riprendeva a vacillare scrollando il capo, alzandosi sul manubrio. — Forza Binda — gli si gridava. — Vanno piano, sono lì, a 300 me- , \ , i o a o a' 8' ò tri, li riprendi; a poco alla volta ti rimetterai. — E' finita — rispondeva. — Non vedo più dove vado. Ho paura di cadere. Al 5J(.o chilometro da Roma, alle 10,8, Binda scese di bicicletta e si prese la testa fra le mani. — Sento un ronzìo dentro, — disse — come mi traforassero il cervello. Ad un tratto, come se cercasse idee e paróle nella pausa, coti un nodo alla gola che lo faceva sussultare in mezzo a noi che lo accerchiavamo in silenzio, riprese: — Non mi meritavo una sorte simile. Non posso far di più. Speravo di finire la mia carriera con un bel Giro. Ora debbo continuare perchè non è così che Binda può scomparire... Sentite? Capite? Mi debbo vergognare se vi confesso che anche a me le palpebre battevano e pizzicavano? Non ho potuto fare a meno di abbracciare, dì baciare sulla fronte bagnata dal sudore della febbre e del tormento l'atleta ammirevole per il coraggio che non gli conoscevamo, per là dignità del suo mestiere, per l'orgoglio del suo nome. Forse più di qualunque vittoria il sacrificio ed il proposito di oggi elevano Alfredo Binda nella considerazione e nell'af- fetto di chi nello sport esalta non solo la finezza e la potenza della clas-1se che ha elargito natura, mala for- za e la fierezza dello spirito di com- battente. Il dramma di Binda era compiuto, L'indimenticato Beni ospitò nella suaìvellura il caduto e lo portò a Roma.\La scena non era durata più dì die-ci minuti. Ci assillava il pensiero di aver perso chissà quali fasi Interessantìdella corsa e l'ottimo Barozzi richie-se alla nostra « Ardita » tutto il brio dei suoi cavalli per raggiungere al più presto il gruppo. E facemmo unvero miracolo: rimontammo Decroio;,fermo per cambiare una gomma, el - giungemmo in tempo per assistere a un tentativo di Horner, che Rinaldi, Bergamaschi e Giacobbe mandarono a vuoto. Sulla salita di Ferentino la compagine si divise in due. Il primo scaglione ingaggiò una fulminea schermaglia su quella di Frosinone, che vide alla testa Mealli, Olmo, Bertoni e Battesini. Staccato di una trentina di metri era Guerra, con Sella e Scacchetti; di cinquanta Gestri e gli altri. I ritardatari si ricongiunsero prima di Ceprano, dove Rinaldi (il francese) forò due volte, e un incidente che gli costò una ruota toccò a Moretti. I corridori giunsero compatti a Cassino, a 35 all'ora. Il resto della corsa si può riassumere così. A uno scatto di Sieronski e Cazzulanì risposero prima Scazzola, Mealli, Zucchini, Olmo, Bergamaschi, Scacchetti, Decroix; poi il grosso, condotto da Piemontesi e Guerra. A Caianello scattarono Buchi e Bergamaschi e i 300 metri che riuscirono a prendere furono annullati per merito dì Zucchini e Cazzulani. Astrua condusse per un bel pezzo e prima di Capua Rovida si portò dietro in volata Giacobbe e Oria, ai quali vennero ad aggiungersi Wervaecke e Bergamaschi. Questi cinque misero mezzo chilometro fra loro e il gruppo. Ma Guerra e Olmo, alternandosi al comando, spensero quest'ultima fiammata. Come andò la volata Eravamo alle porte di Napoli. In pista entrarono per primi Piemontesi, Guerra e Olmo, e alla campana erano in quest'ordine, seguiti da Macchi, Rimoldi, Rovida, Bovet E., Meini, Altenburger, Masarati. All'uscita dalla penultima curva, Macchi tentò di avanzare, ma Guerra lo precedette, portandosi al comando con sempre alla ruota Olmo, mentre al largo veniva Meini. SI profilava l'atteso duello fra il campione d'Italia e colui che finora era quasi sempre stato il suo più pericoloso avversario agli arrivi. La « maglia rosa » era in testa all'inizio del rettilineo finale, a circa mezzo metro dalla corda. Olmo pensò che lo spazio fosse sufficiente per infilarvisì dentro, e attaccò Guerra all'interno, rimontandolo con rapida progressività per circa tre quarti ai quaranta metri. Sì ebbe la sensazione che il bianco-celeste avrebbe vinto. Ma Guerra si accorse della minaccia ed appoggiò leggermente verso la staccionata, in modo che Olmo fu costretto a scansarlo con la mano e ne fu respinto, ma non potè ugualmente passare c finì, con un ultimo scatto, a dieci centimetri dal mantovano. La volata, dunque, non si può dire, a mio parere, regolare. Di chi la colpa? Aveva Olmo, al momento in cui è andato all'interno, lo spazio sufficiente per passare? Credo di sì, lanche se la giuria ha sentenziato di ; no. Non vogliamo parlare di scorret; tezza da parte del campione d'Italia, ima, sia pure involontariamente, egli [ha danneggiato il suo avversario: per lo meno non ha reso convincente questa sua vittoria e lascia ancora aperto il dubbio se, dopo una corsa non eccessivamente faticosa, a parità di condizioni nelle posizioni, sia più veloce il ligure o il mantovano in arrivi su pista di cemento. La Casa Bianchi ha fatto reclamo, ma la giuria l'ha respinto. Come vedete, neppure l'episodio finale deila tappa, che non cambia affatto te classifica generale, ci ha dato la soddìsfazione di vedere oggi del bello sport all'infuori di. una notevole velocità. La corsa è stata quasi com plctamente vuota e le ragioni sono quelle che vi ho esposto ieri e prima, ancora. gincfeè mantiene questa regolarità,'■ Guerra è indubbiamente l'uomo c/ic|sovrasta nel complesso delle doti *\e anche quello che dispone della squa-1dra più forte e disciplinata. In a«njpollai ci sono due galli a cantare, come Bovet e Olmo, Camusso e Cazzulani, o non c'è nessuno. Guerra è solo a comandare i suoi uomini. Una parte di essi sono sempre pronti a far da ombra a chi osi tentare una fuga, parte gli fanno da guardia del corpo e lavorano come negri per lui. I Il peso preponderante della squadra dei grigi si fa troppo sentire per indurre gli altri ad azioni di sorpresa. Non è certo una loro colpa, ma è la loro forza, e d'altra parte non si potrebbe pretendere che si trasformi per nostro gusto da difensiva in offensiva. Va troppo bene cosi per Guerra perchè si decida a cambiare tattica. Bisognerà venire alle tappe più pesanti, dove la selezione dovrebbe effettuarsi automaticamente 0 dove gli uomini meglio disposti potranno dare il colpo grosso per vedere una tappa che si possa dire emozìonante, travolgente, decisiva. Una tale tappa potrebbe essere quella di domani, la Napoli-Bari. Sono S33 chilometri attraverso l'Appennino e non vi sto a dire quante salite ci siano, ma sono parecchie e dure anche per il fondo stradle. Se non ci sarà lotta domani vuol dire che questo Giro tenta tradire le promesse che ha fatto e che bisognerà at- tendere l'intervento della sorte per vederlo rosseggiare di fiamme di battaglia. All'ultima ora raccolgo una notizia in parte già attesa. lì signor Ruynart dice che se i suoi ragazzi non possono far di più di quello che hanno fatto fin qui, avrebbe intenzione ,''j i!, di ritirare la sua squadra. Ma questa non è tutta d'accordo col suo direttore e Salazar ' e Rinaldi vorrebbero continuare. Vedremo domattina quale decisione avranno presa i «galletti» di Francia. GIUSEPPE AMBROSINO Fotografie di VITTORIO ZUMAGLINO Alfredo Binda scrive per il nostro Invi ato 11 suo saluto agli sportivi d'Italia Olmo: Il giovane pari agli « assi ».