Il paraninfo degli agoni

Il paraninfo degli agoni Li4 V77V4 FACILE Il paraninfo degli agoni In barca, sul Laric-, coi mandolini <s le stelle cadenti: tagli di sciabola nel velluto della notte... Avevamo preso i mandolini, io e il mio più giovane amico, perchè una delle due fanciulle, sorelle e complici, ch'erano con noi, ci aveva assicurato che l'ultimo chic della colonia forestiera di Cadenabbia era di andar per acqua, nottetempo, c con stormenti e con canti in compagnia i, al modo italiano che in Italia non costuma più. L'amico aveva consentito perchè sonatore valente; io perchè il quadretto, così composto al lume di luna nella barca lombarda a tre cerchioni, mi ricordava la copertina d'una romanza 1840, su versi del poeta Lamartine. Delle due sorelle, l'una era vestita di rosa, l'altra di celeste: colori ingenui anch'essi di moda, quest'anno, tra le ospiti del lago; e in verità io preferivo la rosa, ma come la celeste era un poco più robusta, il barcaiolo l'aveva accoppiata a me, gracile, per necessità di equilibrio; e come m'ero adattato a sederle accanto, così m'adattai, nelle pause delle canzoni, a prenderle il polso e a carezzarle la bianca mano, sempre a ciò obbligandomi l'ora, il luogo e la dolce sta¬ gione. Forte era il profumo delle dra' cene; languido lo sciabordìo che seguiva il tonfo dei remi, sempre andando e andando la nostra nave amorosa. Il barcaiolo non diceva motto. Sputandosi sulle mani per ri prender lena, aveva però l'aria di farlo con una specie di disprezzo. In vista di Bollano, a cinque metri dalla riva, un lume rosso errante sui flutti ci arrestò. „— Alto là! — gridò uno sconosciuto, apparendo tra i riverberi della lanterna immerso nell'acqua «no al petto. E dall'acqua, ossuto e etili ante, levò un braccio che ci apparve, nella dubbia luce, più lungo del naturale. Pensammo a un. minaccioso dio lacustre, che il nostro vagante idillio avesse, benché illibato, offeso nella pensosa castità del suo speco. Era un vecchio per antico pelo, e di gran barba, ma poderoso e severo. Pensammo a un Nettuno di lago, e aspettammo le ondine che sorgessero, ignudette, a fargli corona. • — Fiocui, campò a dritta/ Ohimè: Nettuno parlava comasco. Nessuna speranza di ondine accompagnatrici. Ci facemmo a destra, «ome l'ignoto acquatico desiderava, e ci demmo ad osservarlo. Nume non era. Pescatore neppure, perchè non aveva con sè reti o altri arnesi: ma solo quel lume rosso, e un virgultino da smuovere l'onda. Fosse stato uno stregone delle antiche leggende comacine, ci stupiva che Carlo Linati non ^avesse mai incontrato quassù, sulle orme di Renzo. A guardarlo bene, così venerando e vigoroso, pareva disceso da un duomo gotico, precipitato in acqua sopra il suo zoccolo, con la sua barba di pietra. La faccia ispirata stava tra un personaggio dell'Hoffmann, e il Cristo d'avorio custodito nella chiesa grande di Gravedona. Quando fummo un po' al largo, ci ringraziò. Così placida era la notte, che si parlava distintamente anche a distanza. Egli ci spiegò che non bisognava disturbare i lucci, i quali adesso vanno in fregola, e per cui egli aveva apparecchiato un'incubatrice. — Puro li pisci cce fanno all'amore... canticchiò una delle due fanciulle, non ricordo bene se la rosa o la • celeste, con un brividino per le ginocchia. E domandò ironica, ma non tanto, se quel suo cantare potesse mai dar noia ai poveri pesci innamorati. — Ai pesci, no: — rispose il vecchio, con quella mordacità senza parere che i Comacini hanno un po' tutti ereditato dal Manzoni — tanto più che il luccio, quando va in fregola, è mezzo intontito. Immagini che allora, bestia feroce com'è, si lascia prendere con le mani. Fece, teneramente, l'atto di cogliere un fiore sull'acqua. La barba bianca fluttuò sul lume rosso. — Certo, è bene lasciarli in pace. Pensate ch'essi non vanno in amore che una volta l'anno. Gli uomini hanno tempo tutta la vita. Ma il lago di Como — chiesi — è dunque favorevole ai vivai? Se è favorevole? Mi stupisco della domanda. Più d'ogni altro al mondo, caro signore. Qualcuno ha persino supposto che le sue acque abbiano delle proprietà afrodisiache per tutte le speci* animali, uomini compresi. Si fa forse dell'altro che all'amore, sul Lario, di quest'ora? La storia del nostro lago, lo sapete, non è che di guerre e di amori. Le guerre, dopo Wilson, neppure da pensarci. Ma gli amori durano. Abbiamo appena finito di onorare Volta. Poteva forse nascere in altro paese, l'inventore della pila? Tutte quest'acque azzurre, così serafiche in apparenza, sono cariche di elettricità, yaillant nascose, una volta, una bomba iu una bomboniera. Tutto il Lario è una bomba di porcellana celeste. Spiate i fuochi di questo silenzio, i fremiti di questa calma. Se ancora una lampada traluce da una qualunque delle dieci, delle centomila ville che ci stanno intorno, non dubitate: è lampada d'alcova, luce d'idillio, di nozze, di peccato. Ogni casa è in questo momento un nido. Un altare, se preferite. Come in terra, così in acqua. Come nei Polacca della Tremezzina, così nelle mie incubatrici, ogni notte rinfrescate e rinnovate. I pesci hanno sensi come gli uomini. Non crediate, come si dice, al loro sangue freddo. Sono amorosissimi, i pesci. Se voi conosceste le mie ricerche sul « sesso variabile > — ma non c'è motivo che voi— tradegchemuancdeiza ChMevalOrfiltGrdanì csatostpesli stupertutvitdicvitNopecomamtroforvoli conisodeli qudive—vinl'asobu—i stmuotetadiamlogilelodocaunchsetomrelaSzocolaEppguEriceMledeszotaginMBleindslagtgrocnldtvvpppOOTbddgflltaiddtgs n a o e o l n a i , a i i o e a i a ' o i si a e. e i — o o a e e ni e ? e, Le a bre ro te n ia, telea. da no, a, o. un me ei lle rente, do. voi sso che voi mi conosciate, o ch'io mi presenti — sapeste la formidabile forza d'attrazione dei lucci, delle anguille, degli agoni, dei lavarelli. Ma qualche volta bisogna pur favorire, promuovere i loro incontri. Così accade anche tra gli uomini. Che sarebbe dei nostri amori, il più sovente, senza l'occasione; e senza il pronubo? Che sarebbe stato di Romeo senza Mercmio, di Tristano senza Kurnevaldo, o senza il filtro di Brangania? Orbene: io do' i miei aiuti e i miei filtri alle anguille e ai missoltini. Grazie a me, nel Lario, oggi fecondano anche le trote. E le tinche. E ì carpioni. I carpioni, capite? Pensate ch'essi hanno una quantità di ostacoli alle loro libere nozze. La pesca li disturba, anche quando non li distrugge, e il lago si spopola. E' stupido. Stupido per noi, e crudele per loro. Le Società zoofile si danno tutto quel da fare per difendere la vita degli animali. Già: la vita. Che dice, signorina, la sua canzone? c La vita senza l'amore non vale nulla ». Non crediate che il caso sia diverso pei missoltini. Anch'essi esistono, come Sibilla Aleramo, solo in quanto amano. Dunque bisogna aiutarli a trovarsi, a riunirsi, ad amarsi. E per fortuna ci sono io. Io che, volta a volta, li raccolgo nelle incubatrici o li restituisco all'onda del lago, secondo le fasi delle nozze; oppure isolo le acque dove si trovano, accendendo lanterne d'un cheto colore che li attraggono e li sopiscono, come quelle delle lampare liguri, con la differenza ch'io li lascio vivere. Vivere, ed amare. — Oh, molto bello ! .— fece la giovinetta vestita di rosa. L'altra, chinata attonita sull'acqua, ove la spiava da un occhio solo, così come avrebbe guardata dal buco d'una serratura. — Per me — proseguì l'incognito — è più importante che'prolifichino i pesci, anziché gli nomini; e Gesù stesso ne ha dato l'esempio, con una moltiplicazione famosa che per gli uomini s'è guardato bene dal ripetere. Ma mentre si sono inventate tante cose, dagli ipofosfiti alle sale di concerto, per propiziare i nostri amori, che s'è fatto per gli amori loro. Per noi i balli, i «profumi, i giochi di società, i giardini chiusi, le barche di notte coi mandolini. Per loro, le reti che li accalappiano quando, per tenerezza, boccheggiano. Cer cano un bacio, gli infelici. Trovano una padella. '— E' anche la nostra sorte, qua! che volta... — Eppure — tirò via l'incognito, senza,darmi retta — tutto qui in torno, come vi dicevo, ha voce d'a more;'tutto testimonia, presente o remoto, d'amore. Villa d'Este, Vii la degli Olmi, Villa Giulia, Villa SarbeDoni. E ognuna col suo roman zo, colpevole o esemplare; ognuna col suo ricordo a due. E' Turrina, la Musa. E' Sparter, l'avventuriera E' una duchessa di Plaisance, che passò dai principi ai servi ; come una patrizia d'Inghilterra, un giorno re gina, discenderà da un dignitario a un commediante. Poi le danzatrici E le intriganti. E le pedine. Da Clarissa e Margherita, che nel quattrocento si contendevano il cuore del Medeghino, signore di Musso, a quelle che un albergo di Bellagio ha dovuto mandar via, l'altra sera, per essere salite a far le statue su degli zoccoli vuoti, a riva del lago, buttandosi giù in acqua al sopraggiungere d'un motoscafo. E gli idealisti, in mezzo a queste donne! Bellini a Moltrasio, Foscolo a Como, Parini a Balbianello Parini è in mano alle domestiche, come il Medeghino è in mano alle cortigiane. Amori codardi, qualche volta. Crudeli, spesso. Come dal burrone bellagino rotolavano gli amanti di cui Isotta Stanga era sazia, così dalle rupi di Moltrasio precipitava la Ghita della leggenda, per difendere il proprio onore. Quel gorgo, su cui tra qualche ora ruoteranno i falchi dell'alba, ricorda la c Sfrondata»? E dicono non riesca a chiudersi, da secoli, sulle salme inghiottite! Più in là una duchessa di Brunswick seppelliva altri morti, altri amori. Più in là, verso Bolvedro, i fantasmi turbavano i sonni a una marchesa Busca proprio là dove il diacono Arialdo predicava contro il mal costume, e per ciò veniva fatto impiccare da Oliva dei Valvassori; dove Cesare Oantù, altro cuore cristiano, cui la Tremezzina doveva apparire una Ba bilonia, si faceva passando il segno della croce. Ma di fronte ai cipressi di Moltrasio, custodenti l'alcova san guinosa di Peter Charlton, ecco i faggi della Pliniana: e il bieco pa lagio cinquecentesco i cui antri, da lontano, sembrano le occhiaie d'un teschio; mentre aucora sembrano aggirarvisi l'Anguissola terribile, o il Belgioioso smaniante, tra l'ombre di pallide principesse pugnalate, o disfatte in lagrime, per gelosia. Tut ta, tutta la storia del Lario è un'or già d'amore. Ma quali amori, que sti degli uomini di cui vi parlo ! Pec caminosi. Criminosi. E sterili. E' per la loro sterilità ch'io li depreco: io che invece acconsenta, come vedete, agli amori delle tinche. Dalle bai dorie notturne del marchese Raimon di a Villa degli Olmi, a quelle della celebre alcova degli specchi, in Villa Maryse, o di Cleo de Merode, com plice un sovrano d'Europa, a Villa Giulia, dove, dove fu mai una comu nione feconda? Interrogate gli spi riti. Isotta Stanga! Giuditta Turi na! Giulia Grisi! Carolina d'Inghil terra! Duchessa di Plaisance, coro nata di verbene ! Non un figlio d costoro novera la storia. Ma ora dalle sponde, volgete gli occhi sul lago. In verità, chino su quest'acqua il cristiano Cantù non si faeabbe se- gnSoficpivecolorelunosoagselanui prdaglerdenI saputidtrmparagpcfAtseutlGncFèsctsiasrDplbvqpppll1q1msgcftvCgnldelsvedcdfssisalcs e a o l o o ù a i e e i i i , r o ! o, n a o i a n a a, a e a e a ael a r i , a a è osonlgoe io la là, ao e a re a a perighliglctvizitesttàsobulastctpcknsmsetoppesitrfedzrprdlisilgni di croce. I pesci sono innocenti. Sono miti. Sono probi. Sono prolifici. Ah, le belle famiglie dei carpioni italiani! Ed io li assisto: lo vedete! Continuo la moltiplicazione comandata da Gesù. Mentre vi parlo, tutto il Lario è un talamo fiorente. Crescono le trote. Crescono i lucci. < Crescono gli agoni »... c . Sissignori: — aggiunse lo sconosciuto con forza — sappiate ch'io sono riuscito a far fecondare gli agoni! ». Urlò queste parole come se avessero dovuto udirlo a tutti i capi del lago. Non gridò si forte Otello, annunziando d'esser riuscito a vincere i Musulmani! Io credo che tutti i precipizi, tutti gli orridi della costa, da Nesso a Bellano, ne rimandassero gli echi. Le signorine, accanto a noi, erano un po' pallide. Una vibrazione del grido esultante era passata sin nelle corde del mandolino. — Milioni di figli, signori mieil I pesci non si misurano. Altro che sangue freddo 1 E che dolcezza, che purità nelle unioni loro! Allora, la tinca trascolora; il luccio si fa prendere con una mano; il maschio della trota struscia nel solco della femmina, trepidante, distante, come un paggio innamorato! E fan contese anche i pesci, allora. Ma non per rabbia di desiderio, o stupidità di gelosia. Ma per essere i primi a ripassare, dopo la femmina, sulle uova covate: per vincere gli altri nella fatica, e nella grazia d'un dovere. Amori ermetici, delicati, casti, vantaggiosi. Amori appassionatissimi, seguiti il più sovente dalla morte di uno dei due; o di entrambi; Certe tombe di lavarelli, dovrebbero essere lacrimate come quella di Romeo e Giulietta. Ah, credetemi! Gli imenei della terra non valgono questi, che mi vedete celebrare tra le onde. Fate luogo, fate largo ai pesci. Se è vero che furono leggi divine a consacrare il Lario agli amori, non potè certo trattarsi che degli amori acqua tici. Se qui tutto chiama alle nozze; se ogni villa ha un nome di donna in fronte, come ogni nave corinzia aveva un volto di donna sulla prua; se il bacino di Lenno poteva addi rittura venir dedicato da un cardinal Durini a Venere pagana; se ogni pittura e scultura famosa, l'è Amore che dà da bere ai colom- 'bi » del Bienaimé all'amplesso cano- viano di Villa Carlotta, esprime ... ••. r .. quassù un patetico invito, non e ntclGpancmcsdstrctdalper le « incliti Nici * del Parini ne per le educande in vacanza, non è per le ballerine di Blevio ne per le principesse della Pliniana. Ma per le trote, pei lucci, pegli agoni. Allora io li soccorro. Io li benedico. 10 penso a dissetarli, poveri pesci, dell'unica sete di cui soffrano : la quale è sete d'amore; e che però non 11 tormenta inutilmente: poiché, come vedete, essi la placano senza dissolutezza, senza scandalo, senza tragedia, e con tanto buon accordo, e con tanta prole... L'uomo, con la sua lanterna a fuor d'acqua, s'era rimesso in ascolto. Da certe bollicine sorgenti, venivan voci, suoni distinti a lui solo. Chi era dunque, costui? Le sue lunghe braccia s'agitavano nel plenilunio. Uomo? Demonio? Spettro? Allora mi ricordai, vagamente, d'un dottor Edoardo Pirola, conosciuto or e molt'anni in una farmacia di Bellano: magro così, barbato così, e così spiritato ed eloquente, il quale voleva ripopolare i laghi alpini, ed era perciò stato in gran polemica col dottor Bode, e custodiva gelosamente certe ampolline verdi e rosee piene di genesi misteriosa. Ma forse io con fondevo visioni e memorie. E que sti era soltanto un mago: o l'illu sione d'un mago. Riprendemmo la vogata. Denso era il profumo delle dracene e dei gel somini. L'acqua fiottava in ansimi amorosi. Prendemmo a dritta, come lo sconosciuto aveva desiderato, e gi rammo al largo. Io avevo ripreso una mano dell'amica mia; il mio compagno, tutte e due quelle dell'ai tra. Il mandolino taceva. Il barcaiuolo taceva. Il pensiero di pas sare, con la nostra barca, su tante alcove sommerse, su tante indecifrabili nozze, faceva l'ora solenne; ed anche noi. adesso, tendevamo l'orecchio al va?o lamentìo dei flutti: nel qua.le c'illudevamo di capire tutto quel che i pesci, in fama di essere muti, anche nelle ore supreme sono probabilmentp costretti a tacere. MARCO RAMPERTI.