La Casa della Poesia

La Casa della Poesia La Casa della Poesia Tutta questa gente bizzarra che co^rriva a Venezia d'ogni parte del, tumondo — piccolo inquiete carovane b* donne americane con le scarpe frpensa tacco e gli occhiali a stanga *ul naso, rumorose ciarliere comitive di signore inglesi alte magre secali glie, col naso pettegolo volto alF'insù (i campioni più belli della spchedrasa li vedrete più tardi in qualche ! clfinn, che per il momento soltanto si Pc gài* » in segreto, chissà mai, ma testilsegPsutrcoleGchconinunabdvsqdugasssKbsecSzvvclepDpslingsddlgnucurdddsNpetmptedcdgpdtnlpcgtiDplsdSmgpduucmmsefonte^ in un giardino meraviglioso che è dif«o da una balaustra di ferro e di pietre) tutta questa gente che arriva a Venezia per la gioia un po' cupida di vedere di sapere d'indovinare, da sola, senza guida, senza « esperti », a conoscenza di tutto, con dieci nomi scalpellati nel cervello (un museo, una chiesa, una osteria, un'isola, una scala, un quadro, una statua, un orto, una passeggiata, un canale) appena scesa dal treno non ha molto da chiedere, seppur si fermi mezz'ora di fronte alla chiesa di San Simeone fra il ponte di ferro teso da una riva all'altra, fra la basilica stupenda e la fabbrica di melissa dei Carmelitani Scabri. Mezz'ora di raccoglimento prima di prendere il vaporino, prima d'infilare la rumorosa Lista di Spagna o evoltare dietro il palazzo che ha il giardino più fastoso della città, non è gran tempo. Qualcuno chiede, timidamente, se i frati che fabbricano la melissa miracolosa sono gli stessi che amministrano la chiesa. Ma si ma si. Allora le comitive entrano, adagio, adagio, per paura dì destare appena un rumore. Cercano la pila dell'acqua benedetta, guardano il soffitto mutilato, desiderano ascoltare dalla parola di un sagrestano il tragico racconto. Nulla di più che quello che si conosce, che si dice, d'allora ad oggi; la bomba ha deastato il cielo della Chiesa e nessuno ha osato ripetere il prodigio; il primo a dir di no è stato il pittore pia imaginoso d'Italia. Se un piccolo timido prete è richiesto dalla gente straniera, allora il racconto è più lungo, nell'ombra opaca del tempio; fu in questo tempio che un mattino Francesco Giuseppe piegò le ginocchia dopo aver chiesto alla Vergine la grazia. Passò il tempo. [Venne la guerra; per il resto non c'è gran che d'aggiungere. Tutto al più guardare in alto, in terra, trovare una lapide, un nome un numero un giorno. Fuori, adesso, è il sole. Per tre soldi, anche meno, qualunque ragazzo veneziano t'insegna la strada; se vorrai cercare il bacino di San Marco per scoprire una vela latina a toppe e a chiuse, una barca opima di verzura che arriva con l'aroma di tutti gli orti delle isole da Sant'Erasmo alle "Vignole^ se vorrai ^rtìvare un angolo appena di ^Venezia solitaria, jn pace, per essere più solo, per ripetere la magia di Leonardo, più tuo, soltanto tuo, agli Ognissanti, dove le reti cadono nelle barche, allo Squero di San Trovare dove ogni sera, prima del tramonto, una squadra di calafati dipinti di fiamme e strisciati di fumo buttano la pece nella fornace e cantano, cantano secondo il rito di Benvenuto nel fragore e nel furore del fuoco; poi tutto s'acquieta, tutto si riposa, cade la notte, la notte si stende sulla città, l'arco della Giudecca è simile alla carezza lasciva di un'amante e ramante ha il nome di questa città che s'addormenta sulla sua gloria in una cuna marina, sotto un padigione di stelle. La gente che arriva a Venezia d'ogni parte del mondo non s'appaga più di rivedere le antichissime chiese. Con un raid mattutino di poche ore vede la Madonna dell'Orto, i Frari, San Giovanni e Paolo — forse San Sebastiano, forse la basilica di San Marco; le hanno detto che le colonne sono di serpentino e di bardiglio, che in una"fiala 6on contenute tre gocce del sangue di Cristo, che in un'anfora sono raccolte tre ossa del cranio di San Giovanni; qualche cosa le preme di più, qualche cosa la sorprende di più. Esiste mai una signora inglese o americana che non sappia dipingere? Ha la tela ed ha il cavalletto, la tavolozza la mestica l'inchiostro. La passeggiata di Jon Ruskin è meravigliosa" ma le basterebbe fermare per sempre la sagoma di una bricola in mezzo all'acqua, l'arco di una porta, il tabernacolo che è chiuso da una grata, sotto un portico. Quanti ve ne sono? Forse tutti i portici a Venezia hanno il loro «capitello», l'immagine del Santo, e più sotto il lumino; l'olio e lo stoppino in un rozzo bicchiere. Tutti i ragazzi che accompagnano gli stranieri per il dedalo delle viuzze che tagliano, che avvolgono la città, ma tutti, sanno bene che uno di questi « capitelli » neppur un giorno fu spento durante la guerra. Adesso la gente straniera vi arriva dall'Accademia e dalle Gallerie, dal ponte ueuua e- liane uam 1i--, ... r — i deus Carità o dalle Zattere, dalle Eremite e da San Barnaba. E' il capitèllo » eterno delle Fremite di i onte al quale passò ogni sera Na-|c fronte al quale passò ogni poleone Canevaro, ammiraglio d'Italia (redingotte grigia, cappello grigio, occhialetti sospesi al gilet bianco, ombrellino sotto il braccio) quando cercava la sua casa dietro gli orti che buttano le zagare le verbene i geranei nell'acqua, c adesso è l'aristocrazia del buon gusto e della moda che in una vecchia trattoria, sotto la pergola, guarda la luna tra le fronde, dove uu giorno sedettero Ìer un'umile cena Eleonora Duse, 'ierre I*pti, Emilio Zola, giù giù, tutte le dive e le mezze dive che giungono dalla Francia e dalla Germania, quelle che mostrano l'abito di stile estivo come è uscito dall'ai-Ulier sull'ultimo croquis di Alexandre, «ielle che si fida,:,, sul muramento'tT—a -r . , . , - .iisns jtjartn eichicdono ali oste| con un candore innocente una frit, tura di pesce di laguna o appena un bicchiere di vin rosso gorgogliante e frizzante, un anno dopo, se te lo spilla dalla botte rossiccia l'uomo che ha servito senza rossore un Papa ed un Re. Nessuno vuol partire, così, con ! clues^e poche cose che sapeva anch* P"ma d'arrivare, nessuno di questi tempi vuol lasciare la città « che strinse fra le sue braccia di marmo il più ricco sogno dell'anima latina » senza aver vista la casa della « congiura x. Se fosse per la casetta rossa del Principe Fritz Hohenlohe e della sua bella e bruna signora, forse potrebbe farne a meno. Ma nella piccola casa del settecento che profila le sue fìnesitre nell'acqua del Canal Grande, di fronte a quel palazzetto che pur adesso « si piega come una cortigiana sotto il peso de' suoi monili » Gabriele d'Annunzio un po' in pace, lungamente in guerra, tra un volo e l'altro, tra Pola e "Vienna, nelle notti di tutti i santi, dopo aver animata la battaglia, ha fabbricate con le sue mani stillandole dai fiori più odorosi delle isole, nei vetri più fragili di Murano, le essenze più taglienti al confronto delle quali 1' «acqua repubblicana che sa da bon » non è che una follia o una utopia. Se la gondola vi passa accosto, la gondola si ferma. La bella signora straniera scende alla rivetta, gira attorno la casa, s'avvicina al cancello, tocca con le sue mani la porta, non vi trova l'insegna della clausura che prima d'esK.r stampata al Vittoriale era pubblicata a Settignano perchè l'ospite si guardasse accortamente dal cane e dal suo padrone. Ma quasi tutta la gente forestiera che viene da San Marco e da Santo Stefano sa bene che per San Maurizio e per la calle del Doxe potrà trovar facilmente la strada giusta. Se vi fosse ancora il custode fedele che cantava sul remo ed aveva le pupille di vetro, s'affiderebbe alla guida più sagace e cortese di Venezia, ma Dante (si chiamava Dante) non c'è più, da molto tempo, sperduto chissà in qual traghetto, fra il palo sbilenco e la « vida » che cresce negli interstizi della pietra e s'attorciglia gettando i pampini al cielo. Dante sapeva inchinarsi, sapeva scrivere un nome, consegnare un dono, ma era il più fedel servitore di d'Annunzio del quale conosceva le abitudini, i pregiudizii, i costumi, gli umoTi. Obbediente alla disciplina della casa, era cortese con gli uomini e cortesissimo con le signore, con quello che chiedevano soltanto un ritratto del Poeta, con quelle che recavano sulle braccia tremanti grandi mazzi di garofani rossi. La casa della guerra fu la casa della Poesia; dove passarono i gran di capitani, passarono più tardi, assai più tardi, i giovani poeti delle Nazioni alleate: dove una notte fu preparato il volo su. Vienna, tante e tante notti fu vegliato senza pianto, e ne uscirono la lettera ai Dalmati, la canzone alla Serbia stampata a spese dell'Autore, pubblicata e mutilata, il Notturno, su mille e mille striscie puntate dall'amore della figliuola Renata, mentre l'occhio offeso si riempiva di faville e di baleni. Poi venne ancora la battaglia del grande cieco e del grande veggente. Poi venne la pace ma « allora la piccola casa era ormai una stazione della via crucis per dove passarono tutti i redenti irredenti che chiedevano di osare l'inosabile », poi venne la « congiura » di Ronchi, a dieci passi dalla stazione dei carabinieri, controllata dal Governo di allora, un giuoco fatuo di ragazzi fino al mattino della gloriosa partenza. Partire, partire, andare, perdersi in terra, in cielo, la casa rossa di D'Annunzio non fu che un asilo di poche ore, di brevi giornate, durante la convalescenza. Se qualcuno dovesse scrivere !a storia, potrebbe radunare gli. episodi più belli di un eroico tormento. Se qualcuno mettesse una lapide nel muro, a mille a mille, sotto la luce gialletta del fanale, vorremmo scoprirci il capo come se la casa abbandonata fra la riva e la sponda fosse un eremo e un museo; piuttosto che un asilo di cose morte, una casa aperta a tutti i venti e a tutti gli amori. Tutte le canzoni, i bandi, i proclami, gli incitamenti, gli ammonimenti, tutte le parole ai vivi e ai morti, furono scritte nella casa rossa che, senza cinture e senza difese, era protetta sulla terra e sull'acqua dall'amore e dalla devozione dei veneziani. Il 29 dicembre 1918 D'Annunzio scriveva : « Non posso ancora superare la tristezza d'essere stato deluso dalla morte. Ma forse, anche in a è n a n l l a o a a a i ù i e re , i o o ; , a e e à n a e i e e o a e , . o ? a r n , a i ae i ae a i u a ae GcmpspCttclislqfscnpbvnmcPnlmtctpiPcclqdtYmbscd— i ■ . . e P»*». deve compiersi un presentiil J™»*0 ^ ebbi ne maggio 1917 alla di i Quofca_Dodlc1' Tutta la 8P°f a-|^«offre m me ognora - Dare, la ainnli e aa a, a o lettera a Paolo Boselli perchè la col lochi nel posto che le 6petta, fra le memorie della Patria rifatta. Ma per Lulla questa gente straniera che cerca la casa del Poeta basterebbe anche meno : « Tutta la quarta sponda soffre in me ogni ora» ricordate sul muro, ripetute nel cuore, quando la pattuglia partì all'alba, cercando il mare. GIANNINO OMERO GALLO. qmgPtcmamdicnvl