La trama immutabile

La trama immutabile La trama immutabile I progetti di pace universale e perpetua, cioè le proposte di leggi, statuti, leghe, federazioni, miranti ad impedire lo scoppio di una guerra, attraverso la forza morale di un impegno assunto, hanno cominciato ad avere grande onore nel secolo XIX, il secolo illuminalo, come si diceva una volta. Leon Daudet, che esagera spesso, lo chiama invece il secolo che ha sbagliato; ma noi, senza arrivare a questa valutazione un po' troppo spiccia e troppo in antitesi con la grande verità che la storia ha sempre ragione, posiamo riconoscere come le proposte per la pace perpetua si possano veramente considerare un naturale indizio della mentalità del secolo scorso, il quale è stato quello che è stato e come doveva essere dopo la Rivoluzione francese e dopo l'Illuminismo. Ora, in secolo XX, modificate di molto le idee, e messi i progetti di stato di stati e di federazioni europee nel ripostiglio delle cattive utopie, vediamo che i tentativi per la pace universale continuano più che inai,, ed anzi prendono veste di realtà, si avvicinano ad essere cose concrete, cioè impegni regolarmente assunti dai varii Governi di non ricorrere più alla guerra come mezzo di politica internazionale. Almeno questa è la formula che Kellogg, americano ed anglosassone, quindi doppiamente uomo pratico, ha proposto ai varii Governi europei, e che essi hanno accettato. La formula non fa intanto una grinza. Si potrebbe forse osservare che essa giudica un po' troppo Severamente — almeno in modo implicito — la politica dei tempi scorsi (non remotissimi), quasi che allora Ta guerra fosse adattata come mezzo normale di politica. Questo avveniva realmente nel medioevo, ed avvenne anche nell'evo moderno fino alla formazione dei grandi Stati e fino a che la scienza non cominciò a moltiplicare di numero e di efficacia i mezzi bellici. Già, intanto, molto spesso chi scendeva in guerra, o era certo a priori di vincerla, o sapeva benissimo che anche perdendo non rischiava gran che. Le armi non erano molto micidiali; le milizie mercenarie mettevano molta cura a renderle meno pericolose; gli eserciti erano piccoli, a un chilometro o due dal campo di battaglia l'umanità viveva la solita vita di ogni giorno, e spesso se.ne infischiava di chi vinceva o perdeva. ■ Passando, i secoli, la guerra è diventata un rischio sempre più serio, e giunti al secolo XIX, che quantunque sia stato illuminato, fu anche, ■un secolo di guerre sanguinose, poche forse di. numero ma buone, la guerra diventò un'impresa sempre più grave, quasi una partita disperata, alla quale si ricorreva quando non c'era più rimedio, e restar in pace voleva dir perdere ugualmente. E la questione dell'aggressore? Già, perchè nella mentalità dei più esiste ancora la figura dell'aggressore, cioè di colui che salta addosso all'altro, cosi come un malandrino aggredisce un pacifico viandante in una via cittadina. La definizione della figura dell'» aggressore » è stala anzi l'oggetto di una quantità di complicatissime discussioni alle Assise di Ginevra. Molto lunghe e complesse furono le argomentazioni reciproche, e gran che di conclusione credo non l'abbiano raggiunta, che se è facile stabilire — e non sempre, del resto — chi tira il primo colpo di cannone è invece impresa disperata definire chi abbia per primo indirizzato la propria aziono politica alla risoluzione delle armi. Mai come in questo caso ricorre la sentenza manzoniana che la ragione e il torto non si dividono con un taglio netto, e meglio è riconoscere come esista nella fatalità storica una forza irresistibile che governa essa stessa gli avvenimenti. Tipico esempio, eloquente fra tutti, l'inizio della guerra russo-giapponese. Come è noto, furono i giapponesi che ruppero le ostilità in modo molto brusco. Alla stessa precisa ora che il ministro Kurino richiedeva i passaporti a Pietroburgo, la flotta salpava da Sasebo con un convoglio di truppe per la Korea, e le siluranti iniziavano quel famoso attacco di sorpresa a Porto Arturo che permise l'imbottigliamento della flotta russa. Aggressori, dunque, i giapponesi. Ma questi erano arrivati ad un punto che dovevano o battersi o rassegnarsi ad essere poco più di una Korea insulare, cioè uno Stato sommesso e sottomesso* rinunziando ad ogni politica nell'Estremo Oriente. 0 farsi soffocare, 0 battersi. E in quanto alla dichiarazione ufficiale di guerra, era un lusso giuridico che poteva costare molto caro ai giapponesi. Essi avevano bisogno del dominio del mare, e per ottenerlo non c'era che da « imbottigliare » le navi russe attaccandole di sorpresa. Necessità non conosce legge, dunque. Proverbio tragicamente vero, in ogni caso e in ogni tempo, e che Bethmann-llollwcg ebbe solo il torto di riconoscere pubblicamente, con conseguente indignazione dell'umanità mondiale, alla quale non piace ri conoscere certe verità! La definizione di aggressione è dunque di quelle che sollevano ve spai di discussioni, e assomigliano a quelle eleganti questioni giuridiche che son delizia dei legulei e dei causidici, i quali ci scrivon sopra un volume. Brutto segno, che dove molti avvocati trovali da lavorare, la verità non si trova di sicuro. Il più recente esempio della guerra mondiale, terreno scottantissimo, vale poi per tutti. Aggredì la Germania, si sa, ma dopo le ultime pubblicazioni tolte dagli archivi russi sulla politica di Iswolsky e su altri particolari pubblicazioni che il Governo di Berlino si affrettò naturalmente ad ordinare e ritradurre in bei volumi, ci si sentono venire dei dubhi, e bisogna riconoscere che nel 1914, tra Russia da un lato e Germania ed Austria dall'altro, c'era molta elettricità, accumulatasi da decenni. Forse fin dal trattato di Berlino del 1879. Si è parlato di guerre avvenute, ma gli esempi di quelle che non avvennero perchè uno dei contendenti cedette, sono altrettanto eloquenti. Precisamente prima del trattato di Berlino, fu a un pelo dallo scoppiare un conflitto anglo-russo. Disraeli e lord Salisbury avvisarono esplicitamente il Governo dello Zar che qualora esso si fosse ostinato a mantenere le clausole del Trattato di Santo 'Stefano, concluso con la Turchia, il Governo di S. M. .Britannica avrebbe ricorso alle armi. Quel trattato voleva dire, in pratica i Russi a Costantinopoli quando ad essi fosse piaciuto, con conseguente possibilità di una minaccia navale e terrestre, per il Mediterraneo e l'Asia Minore, contro Suez e le comunicazioni dell'India. L' Inghilterra dunque ha fatto quello che non poteva fare a meno di fare, pena la sua esistenza di grande impero. C'è dunque una grande relatività in tutte queste definizioni di aggressore e di politica di. aggressione, ed a prima vista è logico restare molto scettico anche sul valore degli attuali impegni assunti in seguito alle proposte Kellogg. Viene cioè da pensare che come nel passato la guerra non avvenne se non quando qualche nazione fu presa (0 si credette presa, che è esattamente lo stesso) per il collo, così anche ora non avverranno conflitti sino a che non si verificherà lo stesso caso. Allora, «Not Kennt Kein Gebot», per dirla alla tedesca, contro la necessità non ci sono storie, e si metterà mano alle armi anche a dispetto di tutti gl'impegni. Che a giustificare poi la cosa non mancheranno le ragioni giuridiche, se si vince (se si perde è un altro paio di maniche). Federigo Imperatore, quello dalla rossa barba, portava sempre al suo seguito dei legulei per legalizzare le sue imprese più disinvolte! A rinforzare questo scetticismo concorre un'altra considerazione. Tutti hanno accettato il progetto Kellogg, ma con talune riserve. Quelle inglesi valgon per tutte. Il Governo di Londra ha aderito, previo avvertimento che esistono per lui alcune questioni vitali sulle quali si riserva, in parole povere, la sua libertà di azione. Questioni vitali, cioè punti vitali per l'Impero, che saranno difesi senz'altro con le armi, « unguibus et rostris », e con tutti i più efficaci mezzi bellici. Per intendersi lnegiio, il governo di Baldwin ha ricordato la dottrina di Monroe, che costituisce certo per gli Stati Uniti un punto altrettanto delicato. Quali siano queste, questioni è facile comprendere. Gibilterra, Maltaf Suez, le comunicazioni con l'India e l'Australasia,1 sono questioni sulle quali Londra non ammetterà mai una discussione. Proprio ora, a meglio garantire questa via tra Londra e l'Estremo Oriente, si sta costruendo la base navale di Singapore, che farà certo parte delle località intangibili. Viene poi naturale di pensre che lo stesso principio della lib rtà dei mari sia di quelli che il governo di Londra difenderà sempre, se non proprio con le armi, certo con le risorse delle sue finanze, per mantenere una flotta che possa garantirglielo. Nè si comprende allora a che valgano i progetti pacifisti se si deve iissistere "ad una corsa agli armanienti, la quale prelude, si sa ormai, a quella tale atmosfera elettrizzata, nella quale più non si distingue bene, l'aggressore dall'aggredito. Dobbiamo quindi credere che l'attuale proposta americana sia quello che si suol dire, un « nobilissimo tentativo » destinato purtroppo a naufragare, ecc., ecc. ? No. Sarebbe un grave errore, perchè esso ha invece un grandissimo valore relativo. Tutto è relativo, infatti, nella storia dell'umanità. Lasciamo da parte la formula della rinunzia alla guerra come «mezzo di politica », che ha ^'alore solo per dare forma alla dichiarazione impegnativa, e sulla quale non vale quindi sottilizzare. Il valore reale effettivo dell'impegno sta sopratutto nef suo « memento » sulle conseguenze terribili di un nuovo conflitto. L'incendio, nove probabilità su dieci, divamperebbe ancora generale, •poche nazioni potrebbero prendersi il piacere di far quattrini in forniture ai belligeranti. Combattimenti aerei, navali, terrestri. Guerra di blocco, di gas, di mine, di sottomarini. E quello che è certo, nessuno, iniziandola, potrebbe prevedere seriamente d'esserne il vincitore, perchè si sa benissimo che in un simile caso agirebbe sovrano quell'elemento imponderabile che è il caso, o la fatalità. Contro simili prospettive, il rimedio più semplice e logico sarebbe quello di dirimere tutte le controversie e gli attriti esistenti, cominciando magari a rivedere qualche trattato seminatore di irredentismi e di malumori... Ma simile soluzione, perchè troppo semplice, è difficilissima da mettere in pratica, e quindi vengono utili anche tutti quegli accordi generali o impegni particolari, che sono un po' come tante paratie stagne messe contro l'eventuale irruzione del conflitto, e con le paratie stagne hanno in comune la relatività. Le compagnie di navigazione, si sa, tengono ad assicurare i passeggerì che la nave è assolutamente insommergibile, e perciò sicurissima, stante le numerose paratie; ma si sa bene che questa sicurezza si esprime solo con una sempre minore probabilità di sinistro. Ne restano ancora abbastanza per mandare a picco ogni anno qualche decina di navi, non ostante le paratie stagne. Tutti questi patti di pace e di non aggressione valgono precisamente a rendere più diffìcile lo scoppio di un tonflitto. Finché poi, tra un anno 0 tra cento, in Europa o sul Pacifico, quando si sarà determinato quel tale altissimo stato di tensione, la guerra scoppierà ancora. Perchè la storia delle vicende umane si rigira in fondo sulla stessa trama immutabile. Diceva un vecchio gentiluomo della Serenissima, il quale dalla lunga vita vissuta di esperienze aveva ritratto una serena filosofia, che la superbia degli Stati causa le guerre, apportatrici di miserie e rovine, ma alla quale segue, prima o poi, la pace. E la pace vuol dire benessere e lavoro, ciò che porta alla ricchezza e questa ancora alla superbia. Poi la guerra ritorna. Quel vecchio veneziano aveva concentrato in poche parole tutta la filosofia della storia, lapidariamente riassunta del resto dal Carducci nel verso famoso del « Canto di Marzo »: Ciò che fu torna e tornerà nei secoli. Ed è bene ricordare queste parole per poter valutare con tutta serenità, senza estigerazioni 1n nessun senso, tutte le pur nobilissime iniziative che voglion dare all'umanità Io splendido dono della pace perenne. FEDERICO BRESADOLA.

Persone citate: Baldwin, Carducci, Disraeli, Federico Bresadola, Federigo Imperatore, Leon Daudet, Monroe, Porto Arturo, Salisbury