JENNY

JENNY JENNY PARICI, luglio, Con Max Linder, Regina Flory eClaudia France, Jenny Golder è dadue anni la quarta vittima di unanuova malattia del secolo: la nevra-fltenia del palcoscenico. Finirò colcredere che la musica sincopata abbia davvero un potere venefico e che i riflettori puntati sul volto umano consumino l'anima. Certo, è difficile spiegare in modo plausibile la fine di quella meravigliosa razza di artisti equilibrati e longevi che riempirono della loro fama gli ultimi anni dell'Ottocento e i primi del Novepento e molti dei quali non hanno {ancora abdicato. Il ballo classico, il valzer, la romanza, la commedia, la tragedia permisero a una Carolina .Otero, a una Zambelli, a una Cléo de Mérode, a una Yvette Guilbert, a un Silvain, a un Novelli, a uno Zaccani di entrare a gonfie vele nella maturità e di pretendere a una vecchiaia grassoccia ed onorata. L'artista si spandeva senza prodigarsi, la sua anima concorreva con giusta proporzione al quotidiano tributo richie. sto al suo corpo dall'esercizio dell'arte. Oggi il carattere sempre più meccanico delle esibizioni artistiche ha creato una specie di squilibrio fra l'orgasmo muscolare e sensorio che le accompagna e la pericolosa inerzia in cui esse lasciano il sentimento. Costretto a scalmanarsi senza pensate nè sentire, l'artista finisce col cedere a una specie di parossismo centrifugo, che lo condanna a un languore interno tanto più profondo quanto più violenta è l'eccitazione esteriore. Il torbido genio negro infiltrandosi nel teatro contemporaneo vi propaga misteriosamente quella decrepitudine precoce che è una delle grandi fatalità del mondò tropicale. I blues e i charleston accorciano la vita alla razza bianca. Jenny Golder è morta a trentatre anni, uccisa da un'arte che chiedeva tutto alle sue gambe e ai suoi occhi e nulla o troppo poco al suo cuore, come Max Linder e Claudia France morirono uccisi da un'altra arte che li obbligava a fingere i gesti della passione tacendone le parole. La danza acrobatica e il cinematografo 'sono vizi contro natura, e alla natura piace vendicarsi di chi la offende. Piovuta a Parigi dall'Australia, Jenny fu notata dal primo giorno che apparve su un palcoscenico, nel 11920, rappresentandovi, con altre comparse, le c Spiagge balneari >. L'anno appresso era già all'Olimpia, Sn un numero di canto e ballo con ij Maurice Chevalier. Nel 1922 la vollero le Foliea Bergère, e senz'altro le accordarono il posto d'onore sul cartellone. Jenny piombava in scena dall'alto di uno schermo cinematografico come una cavallerizza babàuate attraverso un disco di carta, imitava, vestita da uomo, Maurice Chevalier, ballava una danza selvaggia (agitando ciuffi di piume, lembi di scarlatto e braccialetti d'oro, e finiva con lo scendere nella sala per cantare fra le poltrone il ritornello rumoreggiante quell'anno: rat un carattere en or, Eleonora, Eleonora! Dall'oggi al domani, fu popolare. .Parigi, con l'egoismo dei gaudenti, consacrò subito in lei la donna che non vive se 'non sulla scena e per la scena e che sa scuotere un teatro intero come una batteria di pile elettriche. Ne fece la regina del giorno. Jenny passò trionfalmente dalle Foliee Bergère alla Cigale e dalla Cigale all'Alhambra, partì per Londra e per Roma, tornò a Parigi carica di allori al Teatro dei Campi Elisi: è il pubblico non si saziava di vederla e di applaudirla, stregata dai suoi occhi folgoranti e da un sorriso che anche quando pareva più provocante non cessava d'esser dolce, semplice, tutto cuore, di una monelleria senz'ombra di cinismo, di una malizia monda d'ogni libertinaggio. Quel che formava il 'suo fascino era probabilmente, per gli stessi parigini, quel che aveva formato e tenuto vivo il fascino di Mistinguett: il non essere francese, voglio dire l'essere esente dai difetti caratteristici delle artiste francesi: il fare manierato, la perpetua adorazione di so Btesse, la presunzione sconfinata. Jenny restava, anche sotto le gemme c le piume, incurabilmente «buona figliola i. La sua eccentricità non riesciva mai tanto stilizzata da perderne il sapore di una certa improvvisazione. Accanto al suo spirito indiavolato il candore nativo non disarmava mai del tutto. Fra lei e le platee non correva soltanto un rapporto commerciale, correva un vincolo di amicizia. Il pubblico le voleva bene. Elegantissima, il suo modo di vestire e di muoversi sulja scena comportava una sfumatura di negligenza che la rendeva « naturale » e dava alle sue canzoni un senso di intimità, un sapore di homely commoventi. Quando cantava lei, non pareva più di essere a teatro: pareva d'essere mila veranda di un bungalow, all'altra estremità della terra, in capo & settimane di piroscafo, e di sentirsi a sommo del cuore tutta la nostalgia di quella lontananza. Talora per cantare sedeva sulla coda del cembalo, con un ginocchio fra le bel le braccia: e le melodie di Wiener jb d'Irving Berlin si gonfiavano, sfiorando quel ginocchio, di voluttuosa malinconia. Aveva avuta sin dal principio l'accortezza d'imparare il francese e di cantare anche in francese. In breve il francese di Jenny Golder divenne uno degli spassi di Parigi. Non c'era divetta del boulevard, di quelle nate a Belville o aSManìlmontant, che sapesse sospirare : Je me suls donno dans un souplr con l'accento della sentimentale australiana, che ne faceva: , Je me souls donnée daus pune soupière. ikfe B«B giurerei chg^ a, poco per, volta, non si fosse resa conto ella medesima che l'accento era parte in tegrante del suo stile, e non facesse apposta a conservarselo. Nel 1925 ebbe la fortuna di trovare un ruusi cista che scrisse per lei una di quellecanzoni che fanno in sei mesi il giro del mondo. La canzone, recante per titolo il suo nome, celebrava in termini faceti le meraviglie dei suoi occhi e l'impossibilità di sostenerne lo sguardo : Jenny)... Jenny!... Ne me regarde pas comm'eal Jenny)... Jennyl... Ca me fai quelcrae chose là. Riti reposer ta pupille, Dls, reste un peu tranquille, Jennyl Jenny! Ah. Jennyl Il ritornello di Jenny! formò durante un paio d'at.ni la gioia e l'ossessione dei parigini. Ma bisognava cantarlo come lo cantava lei, pronunciando, cioè, c un po' trianchilla » e « tia piupilla che solo allora pareva di cavarne tutto il valore umoristico e tutto il senso originale. L'uomo d'affari che andava a colazione, il fattorino che pedalava sul triciclo, la sartina che tirava l'ago,il negro che smaniava sul cembalo, tutti lo avevano da mane a sera fra i denti o in fondo alla gola, tutti invocavano « Jennyl ». Un anno, ricordo, io e Fihppo Sacchi ci avevamo fatto una malattia. Ma al veder entrare in scena lei, Jenny, col suo gran passò di ginnasta eccentrica, con quelle braccia e quelle gambe che non stavano mai ferme, tali e quali gli occhi, con quel ventaglio grande come un paravento, la malattia sarebbe diventata passione. Povera Jenny! Che cosa le è capitato? Le_ è capitato una di quelle disgrazie che non dovrebbero capitare se non in Australia: si innamorò di un calzolaio. Qnale astro europeo della scena consentirebbe a innamorarsi del proprio calzolaio t Anche a chiamarsi Perugia e a vendere trentamila franchi un paio di scarpini, forma e calza comprese, vi sono concessioni cui un calzolaio che non tenga bottega a Sydney o a Melbourne non saprebbe pretendere. A parte il fatto che la fiducia ispirata da un uomo la cui vita trascorre ai piedi delle donne non può esser tale da promettere ad una amante una esistenza ttrianc"bilia>, il calzolaio, per noi che soffriamo di tutte le non liete conseguenze dell'abolizione del coturno, è un tipo almeno altrettanto antipoetico del callista. L'uno i calli li toglie, l'altro li dà: è quanto dire che, tutto ben considerato, fra i due sarebbe quasi da preferire il primo. Ma Jenny, che era una povera figliola nata in un paese dove non esistono mestieri umili all'infuori di quelli nei quali non si fa fortuna, non andò a cercar tanto per il sottile.' Il bel Perugia la fece forse pensare ad Hans Sachs uno cui lo spago ed il trincetto non impedirono di vedérsi posto in versi e in musica dal più gran musicista del secolo, e concluderne che, a mettersi in due, ci sarebbero state tanto le scarpe quanto le canzoni vale a dire tutti gli elementi, necessari per giungerò alla poesia. Del resto, c'è forse bisogno di pensare a qualche cosa,) per innamorarsi di qualcuno? Il vero amore è quello che non fa pensare a nulla. La povera Jenny abbandonò al paggio in ginocchio il proprio piede, e il piede a poco a poco venne seguito dal resto, senza pensarci. Fu la sua rovina. Ella amava sul serio ; ma il calzolaio, più rispettoso delle forme, per debito, professionale, non ammise che un uomo della propria condizione potesse rappresentare per una donna della sua fuorché il capriccio di un momento. La regina può darsi a Ruy-Blas, non farne il proprio principe consorte. La coperse di gioielli, ma quando giudicò scaduto il termine normale del capriccio le fece un bell'inchino e si ritirò in buon ordine, per non fare attendere le altre clienti. Dicono che di questa infedeltà Jenny non abbia saputo' consolarsi. Qualcosa di vero dev'esserci, dato che si è uccisa. Ma io insisto nel credere che ad ucciderla è stata soprattutto la nuova malattia detta sopra, la nevrastenia del palcoscenico. E' stata uccisa dalla soggezione ad un'arte che l'obbligava tutte le sere a méttere in delirio una sala senza trovare in se stessa con quel delirio alcun,; nesso plausìbile, da un'arte che le chiedeva tutto senza darle nulla, tranne il denaro, ohe non nutriva nè il suo ingegno curioso nè il suo cuore esigente e che non le lasciava altro segno della propria forza fuorché la stanchezza fisica, quella fatica delle membra che, quando U corpo è più prostrato, non impedisce all'anima., di batter le ali come uno stormo di colombi prigioniero. Piccola girl sentimentale, Parigi la volle baccante. Durò otto anni alla testa del saturnale: poi il suo cuore, quel cuore avido di prodigarsi, di cui nessuno le chiedeva fuorché le briciole, si rifiutò/ a battere ancora Il giorno della morte aveva pregato un amico di indicarle il posto esatto del muscolo dimissionario, per essere ben sicura di non fallire il colpo. Non lo fallì. Vi sono stecche che una cantante di cartello non commette. Ventiquattr'ore dopo, in un nego zio del boulevard Sebastopol, culla e regno della canzone parigina, dove ero entrato a ohiedere la musica e le parole di Jenny! per serbarle in ricordo della scomparsa, la commessa, che stava incipriandosi, frugò invano in mezza dozzina di scatole — Eugénie? Genie? Comment ca s'écrit-il? — Jenny, avee un J... Dovetti scriverle le cinque lettere del nome sul rovescio di una busta, affinchè capisse. Jenny Golder era bell'e dimenticata. CONCETTO PSTTINA.TO. j