LA GERMANIA

LA GERMANIA LA GERMANIA Falsificazioni BERLINO, giugno. Questa crisi, anche se si risolvesse di punto in bianco domani, non ces serebbe per questo di essere una del le crisi più laboriose e più gravi che la Repubblica abbia sofferto dal suo nascere in poi. Ed è tutto dire. La Repubblica tedesca tiene veramente il record della lunaticità governativa in Europa. Dal 1919, in poco più cioè che otto anni e mezzo, sono, con quello che ora sarà nominato, ben diciassette cancellierati. Qualche cosa come un Governo ogni sei mesi... Non si può dire davvero che, sparito il gatto, il topolino novello della democrazia tedesca non si sia sbizzarrito a sua posta, e non abbia fatto tutto quanto era in lui per rimettere le cose in paro, e rifarsi in breve del tempo perduto. Questa democrazia nasce con la barba, e consumatissima fra le più consumate. Lungamente compressa, pareva bambina quand'era già adulta; e ora che pare adulta è già vecchia e decrepita quanto le altre e, più delle altre. E' stata come un erede al trono, il cui venerato padre e sovrano non si decideva mai a morire e a lasciargli il posto, e glielo lascia solo molto tardi, quando egli ha già la pancia grossa e il cranio lucido, e gli entusiasmi hanno già ceduto il campo ai calcoli... Non si dica che quest'ultimo Governo ha durato un bel po'. Sarebbe falso anche in via di fatto. La crisi non si è mica aperta con le dimissioni del giorno 12. Già, -e» sapeva ufficialmente fin dalle elezioni generali del 20 del mese scorso che il gabinetto si sarebbe dimesso il 12 giugno. E il 12 giugno puntualmente si è dimesso, come un condannato a morte quand'arriva l'alba dell'esecuzione. Ma condannato, e a data fissa, il gabinetto era già da circa sei mesi, da quando tra il gennaio e il febbraio di quest'anno la famosa coalizione si era improvvisamente sfasciata (ma la frana e il rallentamento della compagine rimontavano dunque da tempo) per il fallimento definitivo della legga sulla scuola. La crisi comincia enettivamente da allora. E da allora questo Governo, dato che prima avesse realmente governato, non governa più di fatto. Allora, tra l'insorgere di tutti i topolini dei partiti che reclamavano le dimissioni e lo scioglimento del Reichstag, intervenne il gatto Hindenburg, e disse: piano. Il Reichstag lo scioglierò io, verso la fine di maggio; e il Governo si dimetterà coi primi di giugno. Tutto a data fissa, come qui s'usa... Ma è stato un governare, questo, con la morte sicura dietro le spalle e senza un filo di vita e di voce? I partiti tenevano il Governo per la collottola come tanti secondini... S'è potuto appena appena, proprio per far piacere al Presidente, sbrigare quel « programma di necessità » che il Presidente aveva assegnato al governo, come un compito di scuola al ragazzino svogliato. Ma anche questo, in modo irriconoscibile e inefficace. Poi, più nulla. Fallita la legge sulla scuola, questo già si sapeva. Ma fallita anche l'altra grossa posta del governo, la riforma amministrativa verso il famoso « Stato unico », alle prime resistenze. A ogni vocina di protesta che si leva, ingrandita smisuratamente da un megafono di un partito, il governo cede le armi e non fa più nulla di nulla... I comunisti girano inquadrati e militarizzati per le strade, con la confessata insegna della eversione dello Stato, e uccidono cotidianamente lo Stato nella sua ultima espressione del poliziotto; un ministro vorrebbe toccarli... Per carità! Una vocina si leva; alcuni megafoni la ingrandiscono; il governo cede, e non fa nulla... Anche in politica estera, è da mesi e mesi la stasi assoluta. Fin dal suo ultimo discorso al Reichstag della fine del gennaio scorso, il signor Stresemann ha dovuto dire al signor Briand: caro signor Briand, ci vedremo, se mai, a Ginevra nell'autunno venturo; prima d'allora, qui non è aria, non si può far più nulla... E' un governare questo? Il fatto è che da sei mesi almeno, per non dire da un anno e sei mesi, da quando cioè almeno questo tipo di governo di « coalizione » che pare affermarsi in Germania ormai stabilmente come una necessità o per lo meno come un assioma, la Germania manca di un governo. V'è un regime di « comitati ». La funzione del governare, così del formare i governi come del reggerli con le dande, è passata ai gruppi, alle « frazioni » parlamentari, nel più sbrigliato e riconosciuto dispotismo dei partiti. E il fatto più strano e più eloquente è che il suggello più esplicito e ufficiale al fenomeno lo ha posto uno degli uomini più illuminati di cui la Germania disponga, e che hanno ancora più chiaro il concetto» dello Stato, il signor Stresemann stesso, quando ha proclamato, in un suo recente discorso a un banchetto ufficiale, come un acquisto, che in Germania ormai non siano più possibili altri governi che « di coalizione »... Il guaio è però che della cosa si è anche accorto nel frattempo qualche buon milione di elettori, che fra tanti governi che non governano, è andato quest'anno ad aumentare i voti del comunismo, che come tipo di governo, almeno, ne ha uno, e in Russia fa il fatto suo; e parecchi altri milioni che si sono dati al socialismo il quale — come si sa ormai — altro non è che l'anticamera di smistamento de.Ha « borghesia operaia >• verso il comunismo... *% II socialdemocratico Ermanno Muller ora si sforza di dare alla Germania^ un governo, un governo che secondo le aspirazioni e le predizioni di tutti dovrebbe essere un governo « stabile », il governo di cui tutti hanno bisogno e che nessuno si pre sta realmente a fare. Ma come comincia? Comincia male. Il metodo seguito da Muller nella risoluzione di questa crisi è quanto mai significativo, e reca al massimo dell'evidenza e dell'esasperazione il male da cui la vita politica della Germa nia è attinta e minacciata. Avuto dal Capo dello Stato l'incarico di formare il nuovo governo, che cosa ha egli fatto? E' andato subito a de porlo in mano ai partiti. Invece di tahfildzgunmdmevg1czssctmlstiddsolpiitujcu1u ai u«* nana* iu » v<\,«v via servirsene, e di interpretare serven- dosene il volere costituzionale del Capo dello Stato, egli vi ha abdicato. Mai spirito di costituzione è stato con tanta dirittura, con taofà decisione e con tanta convinzione falsato e distrutto, e mai si è fatto un così supino omaggio al feticcio della sovranità non già del popolo, • ma dei « partiti », Avuto l'incarico, invece di chiamare a sè, come doveva, gli uomini secondo lui più adatti a far parte del governo, scegliendoli dai vari partiti designati dalla situazio ne e indicati dalla volontà interpretativa del Capo dello Stato — e su quali dovessero essere questi partiti egli non ha avuto nè poteva avere un momento di esitazione — e lasciando se mai a loro di sbrigarsela con il proprio partito, egli ha invertito il metodo, e ha chiamato senz'altro a sè i partiti stessi, e per essi le loro « frazioni » parlamentari. In piccole assemblee particolari e in grandi assemblee plenàrie'di tutte le frazioni, egli discute, direttamente con loro, la formazione del suo governo. In queste assemblee si discute naturalmente del programma; cioè, di cinque programmi diversi si cerca — con quanto trionfo, ahimè!, della genuinità e della compattezza della concezione e dell'azione governativa è facile vedere — di distillarne uno solo, necessariamente uno zibaldone posticcio e accomodante. Le « questioni di persone », si dice, sono da parte. Il disinteresse personale dei partiti fa in ciò un figurone! Ma, senza che, perciò, le questioni di persone stiano meno nel fondo vero delle cose per quanto si coprano della maschera di Bruto dei programmi, il risultato vero di tutto è una falsificazione generale e totale di ogni cosa; falsificazione così delle idee e dei programmi come delle genuine funzioni dello Stato. Chiedere a una « frazione » parlamentare di un partito che cosa essa desideri o esiga dal governo cui deve prendere parte, è assurdo e superfluo, perche la frazione e il partito devono necessariamente rispondere —e come potrebbero altrimenti? — che dal nuovo governo esigono « tutto » ciò in nome di che essi si sono presentati agli elettori, e da questi hanno avuto il mandato. Se la frazione e il partito rispondono diversamente, se cioè chiedono meno o diverso — e a ciò necessariamente devono ridursi e attenersi, se vogliono prendere parte a un governo comune — allora si ha per risultato una triplice falsificazione: una falsificazione cioè della volontà degli elettori e del mandato, una falsificazione della funzione della « frazione » che non è di governo ma di controllo parlamentare sul governo e di legame tra il ^partito e 11 Parlamento, e infine una falsificazione dell'azione governativa, che. col patto stretto in comune, rimane schiava e mancipia della volontà, direttamente e interamente presente, della « frazione » e priva di quella libertà e iniziativa di azione che è il solo segreto de! governare. Dopo aver dunque, con 1 abdicazione illecita dell'incarico ai partiti, falsificato la volontà e la funzione stessa del Capo dello Stato, il metodo di Muller falsifica anche, uno per uno, « discendendo pelli rami ». tutti gli altri ordini e funzY?,nl, costituzionali dello Stato, fino ali altro estremo, fino alla funzione stessa cioè del mandato. E in questa falsificazione totale, nella quale la responsabilità individua di chi è chiamato a governare è imprigionata e abolita, ed è perciò implicitamente vuotata di contenuto anche la realtà del controllo, una sola co sa si nutre e cresce di corporatura tino all'elefantiasi: il partito; che ingombra con là sua mole la strada, e inaridisce e devasta le fonti della vijta politica... GIUSEPPE PIAZZA.

Persone citate: Briand, Ermanno Muller, Muller

Luoghi citati: Berlino, Europa, Germania, Ginevra, Russia