I discorsi di Rudyard Kipling

I discorsi di Rudyard Kipling I discorsi di Rudyard Kipling Come il più consacrato rappresentante letterario dell'Impero britannico, anzi come colui che ha dato /all'Impero la sua espressione letteraria, Rudyard Kipling è stato spesso invitato a parlare in cerimonie commemorative d'ogni genere, politiche e accademiche, studentesche e soldatesche, sotto i cieli più diversi, nella metropoli come al Canada, a Parigi come al Brasile, senza contare che il suo ufficio di rettore universitario lo ha spesso costretto a pronunciare magnifici imbonimenti della gioventù studiosa inglese e scozzese. Egli pubblica oggi una antologia dei discorsi da lui tenuti dal 1906 al 1927 (A Hook of Word», London, Macmillan, edit.) florilegio retorico che, per quanto svariato e spaziante per un ventennio, ci mostra l'immagine dell'oratore fissata in quello stesso compito di apologeta dei valori imperiali e tradizionali assunto già ad abbondanza nelle poesie e nei racconti, e chiusa in una forma mentale che nessuna straordinaria occasione o associazione riesce a spianare e a rendere veramente comunicativa. L'oratoria di Kipling anche quando è più cerimoniale, non è lirica e, anche quando è più amichevole e discorsiva, non ò affabile. Pazienza. A nessuno verrà in mente di chiedere un tono confidenziale e scherzevole o un'enfasi sublime al gran sacerdote che fa da ministro ufficiante. Gli aneddoti, le divagazioni, i ricordi che non mancano in questi discorsi sono anch'essi ponderose morali di favole che il poeta ha cantate e narrate altrove, con maggior libertà e propensione, gravi amenità che non si dimenticano di uscire da labbra dottorali e da una esperienza tesa! sempre all'ammaestramento della tribù. Due o tre discorsi tenuti a simposi letterari ci offrono almeno l'opportunità di ricordare la speciale im portanza che Rudyard Kipling an nette alla letteratura, un'importanza non di^ giuoco o di decorazione, ma di servizio. Pieno di responsabilità e di innumeri possibilità è per Kipling l'officio dello scrittore, portentosa è la sorte delle parole. Narra una leggenda fciplinghiana che, all'alba dei secoli, quando l'uomo che aveva compinta una sua gesta volle accingersi a narrarla, restò improvvisamente muto. ( Sorse allora un altro uomo, il testimone che aveva visto ed ammirato, lo storico e il poeta, il quale riuscì a descrivere le gesta dell'uomo d'azione. Ma ecco che le pa role di lui « divennero vive e comin ciarono a camminare su e giù nei cuori degli ascoltatori ». Il che vedendo, gli uomini della tribù, nel timore che le parole tramandassero ai loro figlioli racconti menzogneri intorno ad essi, presero l'uomo che aveva saputo trovar le parole e senz'altro lo uccisero. Ma più tSttR^s'accorsero che la magia non. era nell'uomo, ma proprio nelle parole. Questa favola contiene la storia e il significato, secondo Kipling, di tutta l'arte letteraria e di tutta la critica. Lo scrittore non vive che per descrivere e cantare le gesta degli uomini d'azione e la sua scrittura non può essere che il frutto di queste gesta, e se, in un dato tempo, i poeti e gli artisti sono deboli e trascurabili, vuol dire che gli uomini d'azione di quel dato tempo sono stati deboli e trascurabili. Quanto all'uccisione dello scrittore, essa è la pri ma manifestazione della critica! La tribù sa, più o meno istintivamente, che lo scrittore ò pericoloso, e lo reputa più condannabile, per le colpe delle sue scritture, d'ogni altro malfattore. A un giudice si può perdonare, dice Kipling, la sua cattiva legge, ad un chirurgo la sua cattiva operazione, ad un fabbricante qualunque la sua cattiva derrata, ma allo , scrittore non si può perdonare il suo cattivo libro, quello che può travisare presso i posteri le gesta della tribù. Perchè le parole sono vive e camminano nei cuori degli uomini... Il guaio è che non sappia mo quali parole saranno vive e quali saranno morte e che, spesse volte, è stato ammazzato un autore prima anche che si fosse riusciti a prevedere quali delle sue parole sarebbero sopravvissute e quali sarebbero state dimenticate e quali erano fedeli specchi della sua tribù e quali, invece, ne corrompevano l'immagine e la storia. In un discorso sulle utilità della lettura, Rudyard Kipling, dopo aver ancora espressa l'opinione che, dopo tutto, la letteratura e l'arte non dovrebbero costituire l'interesse prin cipale della vita degli uomini e delle nazioni, si dà ad illustrare quelli che egli reputa i vantaggi maggiori ch'^ si ricavano dai libri. Il primo di questi vantaggi è che noi veniamo a conoscere quel che conoscevano i nostri padri e a persuaderci che la nostra conoscenza non vale la loro. I libri ione i recordt delle esperienze del passato, senza le quali le nostre sono tanto presuntuose quanto vane. Il secondo vantaggio è che noi, leggendo, siamo indotti sempre più a convincerci che i greci e i latini sono gli antichi che ci hanno tramandato esempi e leggi più commendevoli, efficaci e durevoli. Da ciò l'utilità degli studi classici e Kipling è un classicista, convinto che noi dobbiamo studiare il greco e il latino, non per semplice ginnastica intellettuale, ma per imbeverci dolio spirito dei greci e dei latini e per apprendere nella loro forma originaria, la forma perfetta, inconfondibile e intraducibile, le idee e le massime di coloro che furono i veri fondatori della civiltà. « I nostri padri — scrive Kipling — ma» erano degli sciocchi. Essi sapevano quel che noi, ho paura, siamo in procinto di dimenticare, cioè che tutto il fondamento dell'esistenza, in fatto i\ leggi, di amministrazione pubblica, di condotta di vita, i termini giuridici, i termini scientifici, il valore erio ese i e i, a aia ti za 6 n, o e o ao ei ae a. , e . n , ti r à a a i a a e g è i i e , e i l o i e e i a r i a e i i a , o o a a a e ò a o i i è a o e , a a r o e e '^ ri a ri l o l i o i o o i e del governo, sono gli eterni bastioni di Roma e della Grecia, il padre e la madre della civiltà. E per questa ragione, prima di lanciare un uomo nel mare aperto della vita, essi facevano sì che egli non solo intendesse, ma assorbisse nel suo sistema il fatto che la Grecia e Roma erano esistite. Più tardi si sarebbe accorto da se quanto e quanto importanti esse sono state, e che esistono ancora... >. Non una sola volta Kipling insiste, specialmente quando ha occasione di rivolgersi agli studenti, sulla importanza dei classici, i quali a benché jraosamente nascosti nella decente oscurità delle lingue morte, sono, in essenza, alquanto più progrediti dei giornali quotidiani ». Di tutte le letterature, la greca e la latina sono quelle che trovano maggior grazia ai suoi occhi anche perchè sono quelle che meglio si convengono agli uomini d'azione e meno ingannano e illudono fuori dalla realtà combattuta. Ma che Kipling parli agli studenti o ai soldati o ai letterati, il suo metodo didascalico è quasi sempre di ricondurre il pensiero dei suoi ascoltatori, con un processo ricostruttivo ingegnoso e anche talvolta bizzarro, alle origini di quei valori che egli si assume di difendere e di illustrare. Se lasciamo da parte la letteratura per toccare altri dei suoi argomenti, quello poniamo della istruzione e delle esercitazioni militari, troviamo anche qui persino l'arte di battere il passo e della marcia per quattro riportata ad usanze ed escogitazioni primeve, di quando l'uomo andava a caccia, non d'uomini, ma di fiere e di selvaggina e doveva pensare, non a salvare la patria o ad ingrandirla, ma a conqui stare giorno per giorno il suo pane E da queste usanze aborigene lo vediamo 'salire alle separazioni e alle consacrazioni dell'uomo di guerra, distinto dal resto della sua tribù, che egli è chiamato a difendere e a proteggere, allenato e celebrato con cerimoniali appositi perpetuantisi a suo vantaggio e a suo onore, cerimoniali che durano ancora in gesti e costumi di cui dobbiamo intendere il significato primordiale per riconoscerne tutta l'importanza e la di gnità attuale. Confessiamo che Kipling riesce più avvincente nei suoi discorsi quando non si abbandona troppo alla magia, alla parabola e al folklore e parla più diretto ed esplicito ai suoi ascoltatori. Si legga il discorso che egli tenne agli studenti dell'Università di Montreal su i valori della vita Qui ci sono insegnamenti che paiono persino troppo owii e moralizzanti, come quello sulla scarsa importanza del denaro. Che i giovani non entrino nella così detta battaglia della vita credendo che una delle armi più adatte alla difesa e all'offesa sia quel la del denaro e della ricchezza. L'uomo che non desidera il denaro, che non sa che farsene, è l'uomo veramente forte, l'uomo veramente invincibile. Nulla lo può sedurre, cor rompere, intimorire. « "Voi farete quello che egli vuole, ma egli non farà quello che volete voi. Se avete, quindi, bisogno della ricchezza per scopi che non sono proprio i vostri, usate la vostra mano sinistra per acquistarla, ma serbate la destra per un miglior uso nella vita. Se adoprerete ambo le braccia in questo gioco, vi troverete in pericolo di abbassarvi, in pericolo anche di perdere la vostra anima ». Così parla Kipling e avverte subito anche d'un altro pericolo, ben peggiore! Con la ricchezza, può venire il successo mondano, i giovani possono diventare degli smart men, degli uomini brillanti, « una delle calamità più disastrose che possano succedere a un individuo bianco, sano e civile del nostro Impero ». Nientemeno! « Non siate smorti » predica dunque Kipling, l'uomo che già un giorno, con tanto scandalo, tuonò contro i flanelled fools, gli stolidi giovani sportivi in costume di flanella, che sacrificano allo sport tutti gli altri valori della vita. Ma il poeta non vuole neppure che i giovani siano troppo malinconici, pessimisti, inclini alla disperazione. Talvolta i giovani si lasciano avvolgere da una tenebra di sconforto, di sfiducia, d' abbandono, piombano a in uno dei più veri e reali inferni in cui siamo costretti a camminare ». La miglior cura che Kipling consiglia per questo stato d'animo è di interessarsi a qualche cosa che non sia personale, egoistico; di annullarsi in un altrui dolore o in un'altrui gioia. Che se questo non basta a far dileguare il nembo di tenebra, allora bisogna cominciare a convincerci che vi sono molti bugiardi al mondo, ma che nulla è più menzognero delle nostre sensazioni. La disperazione, l'orrore, lo sconforto non significano nulla, perchè nulla è irrevocabile, incancellabile, irrimediabile. E se anehe questo non basta, abituiamoci a credere che, infine, noi non siamo tanto importanti da esser presi troppo sul serio dalle Potenze celesti che sono sopra di noi o in mezzo a noi « Insomma — conclude Kipling — prendete tutto e tutti sul serio, meno voi stessi ». Il cho dimostra come anche l'elefante possa, qualche volta, decidersi a segnare un passo di danza. ALDO SORANI.

Luoghi citati: Brasile, Canada, Grecia, Parigi, Roma