La Collezione Gualino alla Pinacoteca

La Collezione Gualino alla Pinacoteca La Collezione Gualino alla Pinacoteca Oltre milleottocento persone hanno visitato in maggio — a pagamelo — le cinque sale della 11. Pinacoteca torinese dove sono esposti i centotrenta « pezzi » della raccolta Guaime che il proprietario, in occasione (ielle celebrazioni centenarie cittadine, ha c[qmesso per qualche mese a (li^POs-.zio-;,___ -1. », i : .-. unirli rimlinci 1 i"ì '1 i ne del 'pubblico e degli studiosi. Una media diuniue di sessanta visitatori al giorno. Anche aimuettendo che la metà sia dovuta all'elemento forestiero, resta sempre,-ad elogio dei torinesi, la percentuale confortante di trenta individui intelligenti che hanno salitilo, nel giro delle dodici ore, trovarne una per procurarsi con cinque lire un godimento soltanto spirituale ; né si creda sia poco. Ciò vada anzi come modesta ma consolante smentita ai pessimisti, e ai denigratori in genere di quell'infelice capro espiatorio che in materia di discussioni artìstiche si chiama pubblico, di continuo vituperato perchè non compra libri, perchè diserta esposizioni e teatri, perchè si rifiuta di prestar fede ad cento imbonitori di mediocrità. Avviene poi (raro caso) che esca un bel libro, che s'apra una bella mostra, che si dia un belio spettacolo, ed ecco il pubblico — almeno il pubblico cui noi pensiamo quando parliamo d'arte — comprare, leggere, muoversi, interes sarsi, ammirare, eli e stupore... Cosa c'è dunque di particolarmente attraente, in più dello squisito allestimento, in queste cinque sale per ratificare alla nostra troppo IgnoraPinacoteca (la quale ebbe In aprile una media d'otto visitatori paganti giornalieri) un'affluenza insolila che non può tornar discara nè al Gualino, nè al dottor Pacchioni e al professor Venturi ordinatori della esposizione? Nulla forse — ad essere schietti — che di pari pregio, per ciò che concerne le sale prima, seconda, quinta, non s! possa ritrovare nelle quattro o cinque maggiori pubbliche gallerie italiane d'arte antica e moderna; tutto, viceversa, quello che appunto segna la differenza fra un museo dove l'esistenza di un'opera si riferisce, con un certo distacco spirituale, al valore artistico o storico di un nome, e una raccolta dove soltanto «n gusto — nel senso dato da Lionello Venturi a questa parola — presiede alla scelta. Perchè salta all'occhio che la croce Srocessionale di Giunta Pisano e le [adorine di Berlinghiero, Cimabue. Guido da Siena. Lorenzo Veneziano, Taddeo di Bartolo, Matteo di Giovanni, che 11 San Girolamo di Benvenuto di Giovanni o i ritratti de! Bosselii, del di Credi. d'Antonello, che !e Veneri del Rotticeli], del Veronese, di Sebastiano del Piombo o le tavole di Giotto, d'Ambrogio de Predis, d'Andrea Solarlo, del Borgognone. d'Andirea Mantegna, di Cosmè Tura, non si trovano qui per illuminato eclettismo di raccoglitore, per circostanze fortuite d'acquisto e nemmeno t>fr romantico amore d'avventurosi insecui menti e competizioni attraverso' i' campo del mercato artistico internazionale; ma che la loro presenza, tfTdice chiaro ora d'una predilezione per espressioni tra le più vergini, spontanee, ingenue del sentimento, ora d'un particolarissimo interesse per certi aspetti e forme d'un dato temperamento artistico (vedi 11 rito-atto tizianesco di Federico Gonzaga) o dèlie relazioni fra scuola e scuola, fra autore e autore (vedi la tela di Palma il Vecchio, chiusa fra gli echi beliiniani e il preannunzio dell'influenza "dh"Tiziano), si connette a tutto un modo di sentire, d'intendere, di godere l'arte, modo attraverso il quale, di paese in paese, si spazia — in questa raccolta — dall'Italia alla Cina, dal Giappone all'Indocina e all'India, dall'Asia Minore alla Penante, e di secolo in seoolo logicamente si giunga ai macchiatoli toscani e al primissi mo Boldini, alla eccezionale sensibilità cromatica di un Farufflni e al fervore pittorico di un Mancini ancora fanciullo prodigio, a un Ma.net che in imo studio di testa realizza tutta l'estetica impressionista, e a uno Spadini infine, cavaliere senza macchia senza paura dell'ultima battaglia artistica, che « sempre più semplifica i propri colori per giungere al coloreluce, e sempre piti rinunzia alle piacevolezze decorative per costruire masse in profondità ». Ora di questa atmosfera così raffinata da apparire persln troppo preziosa, ii visitatore — anche il meno accorto — non tarda a rendersi con to. Avverte, se anche non è in grado d'accoglierne l'insegnamento, da non trovarsi soltanto fra esemplari radunati xon obbiettività di scelta a puro scopo di documentazione, ma fra i vivi elementi di una scuola; ed ecco a poco a poco il valore intrinseco, ma inerte di rarità o di be.lliszza delle varie pitture tramutarsi per lui in'un valore di metodo, onde la azione dimostrativa si fa diretta ed efficace e la raccolta intera agisce sul suo spirito con iniziativa propria diistóplinata ai criteri che la informano. Proprio il contrario di quanto ac cade nella maggior parie delle pubbliche gallerie, per forza cH cose infinitamente più ricche deTla collezione Gualino. Ciò basterebbe a chiarire il caratte T» della raccolta e l'importanza — persino polemica — della sua pubblica presente esposizione nei riguardi del la cultura e dell'orientamento del gusto. Se non che, anche Indipendentemente da qualsiasi confessione di sensibilità estetica del collezionista e di conseguente presa di posizione riguardo al fenomeno artistico, resta alla mostra un valore documentario altissimo che le viene soprattutto da quan to d'arte orientale è raccolto nella sala quarta: ventinove pezzi — vasi, sculture, pitture ad affresco e su seta — oggi senza rivali in Italia e certo dei più preziosi d'Europa. Se Lionello Venturi, sobrio e limpido com pilatore del bel catalogo dove quasi tutte le opere esposte sono riprodotte e succintamente illustrate, avesse preposto a questa sezione orientale qualche pagina di commento, come di preparazione spirituale all'esame di forme artistiche a noi tanto inconsuete eppur legate alle nostre europee da misteriose radici e da sorprendenti affinità, anche maggiormente il visitatore avrebbe da riflettere sulla identità sostanziale, benché sotto aspetti infinitamente vari, delle reazioni senti mentali dell'uomo d'ogni razza e di ogni tempo di fronte ni fantasma poeticamente intuito da esprimere con linguaggio plastico di arte. Vogliamo dire con questo che occorre che il pubblico s'accosti a questi capolavori cinesi di ignoti grandissi. mi artefici vissuti sotto le remote dinastie Chou, Ch'In, Han, Wei, Sui. T'ang, Yuan, Ming. Sung, a questi saggi di scultura giapponese (periodo Tempyo), kmèr. siamese, indiana, non come a curiosità esotiche aprioristicamente ritenute le mille miglia lontane dalla nostra sensibilità estetica e morale, quasi meravigliosi mostri muti e sordi al nostro linguaggio; bensì come a stupende luci, a commoventi palpiti della comune immensa anima umana, mar. ber.

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