La letteratura soviettista

La letteratura soviettista La letteratura soviettista TU - Scrittori proletari e proletari scrittori Una delle manifestazioni più caratteristiche dell'avvento al potere dei soviety degli operai, contadini, marinai e soldati alla fine del 1917, fu la comparsa di una cosiddetta letteratura proletaria. Proletari che dal lavoro manuale, si siano sollevati alla letteratura e all'arte la Russia ne ha>dati in tutti i tempi: esempio recente, noto a tutto il mondo, magnifico a difficilmente rinnovabile quello di Massimo Gorkij. Ma anche nel passato, intendendo naturalmente la parola «proletario» in relazione ai tempi, si potrebbero rilevar scrittori è poeti d'origine proletaria. Un critico russo ha proprio di recente (in «Novyj mir», marzo 1925), dedicato un interessante studio ai poeti servi della gleba nella prima metà del secolo XVJ.II. E bisogna ricordare che dai servi della gleba nacque il primo proletariato russo, come ho mostrato nel mio libro La servitù della gleba in Russia. Ma si era trattato sempre di casi eccezionali, non di una manifestazione di carattere collettivo, come si ebbe con l'avvento del bolscevismo. Alla distanza oggi di dieci anni dal periodo tragico del rivolgimento, dal periodo del comunismo di guerra, anche i fermenti di vita intellettuale ci appaiono in un aspetto del tutto diverso da quel che avevano per noi quando ce ne arrivava la pallida .immagine attraverso le corrispondenze dei giornali, o anche attraverso quei pochi saggi che in volumetti scarni, e mal stampati, riuscivano a ^varcar la frontiera del «cordone sanitario!. Oggi ci è possibile distinguere da quel che in tutte le manifestazioni del tempo aveva valore momentaneo di propaganda, di esaltazione, di ubbriacamento, quel che invece era spontaneo frutto di nuove ispirazioni, di nuovi impulsi, di reale fede. Per fermarci, per esempio, al solo movimento letterario di origine proletaria, di cui vogliamo occuparci, questo distacco si può notar benissimo osservando lo sviluppo delle due correnti in cui esco fin da principio si divise. La prima, rappresentata quasi esclusivamente da Demjan Bjednyj, che potrebbe essere chiamato il poeta laureatili del bolscevismo, era caratterizzata da una poesia puramente politica, rivoluzionaria. Non preoccupandosi per nulla della forma, Bjednyj non pensava che a galvanizzare le folle e a far propaganda con i suoi versi alle dottrine comuniste. Era stata ben lunga la via da quando alla scuola militare sotto il vecchio regime, Demjan Bjednyj, che allora si chiamava Efjm Pridvorov, aveva dedicato i suoi versi allo taar: l « THwnon*. mia Ilrai Io compongo un caule . all'apostolo della pace, allo tsar Nicola >. rLa partecipazione del fecondi«ino]poeta alla rivoluzione fu senza dub-jbio utile ed efficace: se le sue poesie '(canti, poemetti, favole) non manicano spesso di grossolanità esteriore e di servilità interiore, esse non peccano certamente di mancanza di chiarezza! Questo spiega il loro enorme successo e spiega anche perchè, passato il periodo della tempesta, pei risultati ottenuti egli ebbe la massima onorificenza bolscevica con questa motivazione : « Nella sua persona la poesia legò i suoi destini ai destini dell'umanità, lottante per la sua liberazione, e da creazione per pochi eletti divenne creazione per la massa ». Senza dubbio, l'aver intuito che il modo migliore di avvicinar la massa era quello di parlarle la lingua più semplice e chiara, quella di tutti 1 giorni, fu un merito del fecondissimo poeta, insieme all'altro di distribuire a pillole la dottrina di Marx, ma, che come poeta Demjan Bjednyj possa riescir simpatico, c'è da dubitarne. La schiettezza che caratterizza, nonostante tutto, il popolo semplice, non era tanto facilmente intaccabile, e vien fatto di pensare che quando il poeta Esenin chiamava Bjednyj il lacchè Demjan, non esprimesse un'opinione soltanto personale. In ogni mòdo Demjan Bjednyj è il capostipite della letteratura proletaria, come Majakovskij lo è del futurismo russo al servizio della rivoluzione. Anche per Majakovskij, si possono ripetere cose analoghe, sebbene in Majakovskij viva, un vero, autentico talento poetico; Vagitka (cioè l'opera politica destinata' alla propaganda) è forse la tomba-ine vitabile della poesia. Ma ben altro interesse offre la seconda corrente della letteratura proletaria: quella dei «giovani», che, staccatisi dalla realtà, osarono cantare i loro inni all'astrazione. I due rappresentanti più notevoli di questa corrente furono l'Aleksandrovskij e il Kirillov Ora tutti e du« erano strettamente legati alla poesia russa d'anteguerra, il primo a Blok, il secondo a Balmont. L'imitazione era evidente: il simbolismo, che doveva essere ucciso dal futurismo, appoggiato e incorag giato dai poteri rivoluzionari, riface va capolino, proprio attraverso i poe ti del proletariato. Si capisce che mentre il vero simbolismo, quello di Balmont e di Blok era tutto materiato di poesia, questo dei Kirillov e degli Aleksandrovskij (e la schiera si fece presto legione) era tutto un tessuto di retorica e di enfasi. La «astrazione si estese a tutto il mondo», secondo l'espressione di uno degli storici dell'odierna letteratura, il Leznev. I poeti proletari non par lavano che di entità: l'Umanità, i Sole, il Lavoro. Fu la fase della cosiddetta poesia cosmica: «Il Cosmos, è un'officina enonne che ci si può rappresentare pensando agli stadi successivi della produzione». Si capisce che, al contrario della poesia di Demjan Bjednyj questa (Corrente doveva avere scarsa pinea¬ eia sociale. E pure, per riconoscimento quasi concorde di critici, essa ebbe una grande importanza. Le nuove condizioni di vita, seguite alla tensione « patologica » della rivoluzione, domandarono anche alla letteratura di muoversi più strettamente a contatto della realtà, ma, come fu detto, fu il « costi) ismo » che diede al proletariato, o meglio, agli scrittori proletari, la baldanza ifecessaria per cominciare la lotta. La preoccupazione dei poeti « cosmici i fu duplice: prima di tutto, il desiderio di dare alla letteratura proletaria una caratteristica, fondata sulle nuove condizioni della vita e del lavoro; e poi il desiderio di interessare l'opinione pubblica a tutto ciò che è lavoro, produzione, a tutto ciò che è suscettibile di contribuire al risollevamento del paese. A questo fine la poesia si trovò al servizio di quello speciale organismo che fu il Proletkult, l'Università proletaria, fondata nel 1918. Ma le due correnti indicate furono prevalentemente di poeti. E gli scrittori provenienti dal proletariato non furono solo poeti, ma anche prosatori. Si deve anzi aggiungere subito che se le correnti poetiche, compiuta la loro funzione, cantato il loro-inno al Sole, al Lavoro, e alla Produzione, si esaurirono in se stesse, i prosatori tentarono invece di adattarsi alle nuove condizioni. E' così che dalla schiera dei proletari, venuti alla letteratura, sono usciti degli scrittori che hanno preso indubbiamente un posto a se nell'attuale letteratura. Son gli scrittori del gruppo della Kusnitsa (La fucina) che, se programmaticamente non va oltre le definizioni che non definiscono nulla come questa: tl'arte proletaria è uno specchio nel quale la massa operaia deve potersi contemplare », in realtà ha dato opere che resteranno documentazione d'uno sforzo non indifferente. Dal gruppo della Fucina sono usciti i napostovtsy, quelli cioè che stan di sentinella, dal titolo del loro organo Na postu (di sentinella). A noi stranieri è certamente difficile seguire le lotte che si son combattute tra i vari indirizzi, sopratutto quando, con la Nep, i proletari videro minacciata la loro situazione di privilegio anche nella letteratura. Secondo un noto critico marxista, il Polonskij, il grande merito dei napostovtsy è stato quello di aver posto con nuova acutezza la questione dello sviluppo letterario proletario, che si riteneva risolta con la creazione del Proletkult. Ma forse, più che questo merito, puramente politico, ha importanza il fatto che per creare la loro letteratura, lo specchio della vita proletaria, i nuo- ™ ^ %^ ^f1 *fJET^ ^fjj686 de"a RuB" sia. Anche gli scrittori proletari sembrali confermare l'idea che non soltanto la natura, ma nemmeno la letteratura facit saltus e che a spogliar le raccolte degli scrittori borghesi d'anteguerra ai ritrova uno specchio così limpido di vfta proletaria che deve essere gran gioia per gli operai russi abbeverarsi alle sue fonti. La Casa Editrice governativa ha raccolto in due eleganti volumi intitolati II 1905 nella letteratura, racconti e frammenti di autori russi intorno alla prima rivoluzione. Ora, accanto a scrittori che conio Ljasko, Bibik, Samobytnik, Serafimovic. Sckulev appartengono alla schiera degli scrittori proletari (di quelli cioè che sono entrati nella grande Antologia della letteratura proletaria curata dal Rodov e dal Kogan e pubblicata dalla Casa editrice governativa nel 1924), si trovano Andrejev, Artstbascev, Balmont, Brjusbv, Veresajev, Kuprin, Éopecdn (pseudonimo del Savinkov), Sologub, Smeljov, ecc. E' certo una cosa che fa pensare. Ma c'è ancora dell'altro; più d'uno fra gli scrittori proletari ha riconosciuta apertamente la sua derivazione da questo o quello degli scrittori del passato. Sia la raccolta di autobiografie di scrittori contemporanei pubblicata dal Lidin nel 1926, quanto il volume Scrittori contemporanei a cura del Golubkov (edizione governativa, 1927) cif offrono dati preziosi al riguardo. Tra i prosatori Bibik dichiara che ogni volta che rilegge Tolstoj, Turghenev, Korolenko, Cechov, si sente cascar le braccia per lo sgomento e riprende coraggio soltanto al pensiero che, poiché scrive con l'anima, è sulla giusta via; Liberinskij riconosce come suo maestro Bunm (il maggiore rappresentante cioè della letteratura classica russa, attualmente esule); Neverov pensa con nostalgia agli ammaestramenti di Korolenko; Serafimovic, che appartiene alla vecchia generazione, è cresciuto all'ombra di Tolstoj, Turghenev, Pomjalovskij ; Aleksandrovskij e Kirillov come abbiamo già detto, si riallacciano ai simbolisti ; in tutti o quasi i poeti proletari si sente infine l'eco lontana del padre di tutti i poeti ribelli, Nekrasov. # Come accordare questa tendenza con le teorie di cui si è fatto corifeo il Bogdanov, che, proclamando la necessità di una cultura puramente proletaria, invitava il proletariato a voltar decisamente le spalle a tutta la cultura del vecchio mondo? Il Bogdanov già nel 1914 affermava in un suo articolo intitolato: « E' possibile un'arte proletaria? » che ogni influenza artistica proveniente dal mondo borghese doveva essere considerata nociva. Ma siccome l'arte « è non solo più ampia della scienza, ma è stata sempre più forte della scienza, come strumento di organizzazione delle masse, perchè la lingua della immaginazione è più vicina e più comprensibile alle masse i, bisogna che essa sia proletaria per il prole tariato, altrimenti è dannosa: e pro¬ le tari a significa: rispondente all'in teresse della classe operaia. E' un circolo vizioso, in quanto che l'interesso della massa diventa interesse individuale non appena si riflette nell'arte, a meno che non rinunzi ad essere arte. Della difficoltà in cui la creazione di un'arte puramente proletaria si imbatte, si rende conto lo stesso Bogdanov che, non privo di gusto estetico, non sa dare quel tale sgambetto, che predica, a tutta la letteratura borghese, e distingue e sceglie. Ad evitar questo passo indietro occorre anche per la cultura una dittatura, ma tutti i tentativi di instaurarla son falliti ed anche gli scrittori proletari si distinguono, là dove son realmente narratori, poeti, artisti, per la loro indipendente individualità o per il loro ritorno contrito ed ansioso insieme, ai' maestri gloriosi del passato. ETTORE LO GATTO.

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