Quintino Sella

Quintino Sella Quintino Sella A Firenze Giovanni Giolitti si trovò in stretto rapporto con « un uomo di grande valore, a cui devo mollo per la mia cultura amministrativa, Quintino Sella », che, assunto a ministro delle Finanze, lo incaricò subito di un certo lavoro «che io finii e perlai subito l'indomani. -Ma ne diede un altro, che fu subito compiuto ; e di lì a qualche giorno il Sella mi richiamò ancora Offrendomi U posto di Caposezione alle Finanze. Accettai e lavorai secolùi. come segretario particolare, tutto il '70 ed il '71». «mando il Sella pensò di Dorre mano al riordinamento della Direzione generale delle imposte, affidandola al Giacomelli, deputato di Udine, questi si dichiarò disposto od.assumersi il grave incarico a patto che il Giolitti andasse con lui. Col consenso del Sella, Giolitti accettò di collaborare a ouèll'opera di, straordinaria importanza, trattandosi la nuova leggo generale p'.r la riscossione delle imposte, su cui vigevano ben sette sistemi diversi, ereditati dagli Stati scomparsi. Eravamo nel periodo costruttivo 'del nuovo Stato, e vi era tutto da mutare. Un rècord «'Questa opera doveva compiersi contro la opposizione e L'ostilità d&£ii interessati, 1 quali non volevano saperne di pagare gli arretrati, ed ostacolavano l'impianto del nuovo sistema che non avrebbe permesso più gli antichi abusi ». in alcune province furono uccisi gli esattori, in altre i contribuenti si davano per irreperibili. Fra questi erano alti funzionari, e perfino gli stessi percettori delle imposte ; come irreperibile fu classificato perfino il Municipio di Catania ! Fu un lavoro diabolico. « Per condurlo a termine mi erano stati assegnati quattro funzionari, due .dei quali erano ispettori superiori, e due caposezioni di prima classo ; cosi che io, che dovevo comandarli, era un funzionario di grado* inferiore, essendo solo caposezione di prima classe. Prevedendo le difficoltà che potevano risullaro da questa curiosa situazione, posi per condizione che mi fossero dati i poteri necessari, e poi chiamati i miei collaboratori designali, tenni loro un breve discorso, avvertendoli che bisognava, lavorare sul serio, e chi mancasse al proprio dovere sarebbe stato licenziato. Non ebbi poi. che :i lodarmi delia loro collaborazione e diventammo buoni amici ». 11 Lenza, presidente del Consiglio, gli aveva detto che se alla line dell'anno, delle 3000 esattorie che si dovevano impiantare ne rimanessero.vacanti 5110 il Governo avrebbe potuto considerarsi soddisfatto. « L'ultimo giorno dell'anno io gli potei dare la notizia che non ne restava vacante che una sola e anche nuesta solamente perche l'assuntore era morto in quei giorni"». Il Giolitti ci dà a questo punto un vivo e commosso ritratto' di quel gran piemontese che fu Quintino Sella, che gli « pose sotto gli occhi l'esempio di una capacità e attività politica superiore ». Di quest'uomo di prim'ordine, clic ha reso all'Italia, con un lavoro duro e continuo, servizi maggiori che non gli siano generalmente riconosciuti, il Nostro scrive : « Intelligentissimo e coltissimo, era soprattutto dotato di una sorprendente [prontezza ad. afferrare qualunque questione gli fosse presentata.- Era poi un grande lavoratore ; ricordo che quando io mi recavo da lui al mattino lo trovavo che. era già da qualche ora al suo lavoro, perchè si alzava e vi si metteva regolarmente alle cinque. Di studio e professione era' ingegnere delle miniere, e la sua opera- in questo campo ha avuto per l'Italia una importanza classica ; ma poi si era assimilato altre materie, e specie nel campo finanziario, nel quale aveva già fatta esperienza come ministro nel 1862 e nel Poi. La sua benemerenza capitale nella costituzione del nuovo Stato indiano, fu appunto la^ rigidezza e la fermezza con cui ne amministrò le linanze nei primi, difficilissimi tempi. Fra fermissimo di carattere sempre, ma in special modo (piando si trattava di difendere l'erario dello Stato. Ricordo in proposito un curioso episodio. Era allora in funzione la Commissione per la 'perequazione dell'impesta fondiaria presieduta dal Menabrea, la quale, volendo affrettare l'adempimento del compito ad essa affidato, prolungava le sue sedute ed i suoi lavori nella notte. :I1 lavoro si faceva ad un tavolo con lampade a petrolio, ed i commissari! .si lagnavano del puzzo di quelle lampade e chiedevano si sostituissero con lampade ad olio. 'Ma Sella, che si era accorto che IVilio veniva sottratto non ne voleva sapere. Allora si presentarono a lui. in forma fra allegra c solenne, d- dei comrnissarh. pepretis e Valerio, ner commuoverlo, e Valerio esclamò : — Vedi, per non soffrire del puzzo del tuo petrolio;, verrò a lavorare con due candele in tasca. — Bravo! —-gii rispose il Sella, — cosi mi risparmi anche,il petrolio! — E rifiutò la piccola concessione. -AKra grande benemerenza del Sella, fula sua insistenza, che vulset moltissimo, perchè si andasse a Rema. Alcuni degli uomini più autorevoli della Destra, specie quelli di ori scàlda-va, qualificandolo: quel benedetto ca no nicol ». La sua energia vinse le incertezze e fu fortuna; «perdio se non si coglieva quel moménto chi, sa quali altre difficoltà nell'interno e dall'estero si sarebbero sollevate». Il Lonza, anch'egli come il Sella semplice, austero ed onesto, era meno vivo e meno ricco di pensiero- e di cultura « tipo perfetto dell'uomo di buon senso, fermissimo e rettissimo. La modestia della sua vita famigliare è rimasta proverbiale; ed in questo egli era grandemente coadiuvato dalla moglie, che attendeva agli altari della loro piccola proprietà campagnuola mentre il marito occupava il primo posto al Governo. Quando il Lauza mori il Re volle offrire al'a vedova una ' pensione come Collaressa dell'Annunziata, al cui ordine Lanza appartenga. Ma gine neo.-guolfa, erano titubanti ; fra gli altri Cesare Correnti, contro il quale il Sella sii a essa rifiutò dicendo: Se con quello che avevamo abbiamo vissuto hi due, posso tanto meglio vivere io, ora che sono sola ». Il segnale rosso Poco dopo il Giolitti fu nominato Capo divisione. Caduto il Sella, succedutogli il Minghelti, il Giolitti fu nominato- Ispettore generale alla direzione . generale delle Imposte,. Anche del. Minghetti abbiamo in queste pagine un vivo ritratto. « Le sue qualità precipue erano una eccezionale facilita a capire subito qualunque problema e una straordinaria facoltà di assimilazione ». Quando egl.i era alla Camera il Nostro doveva stare hi-una'tribuna, pronto a fornirgli le informazioni e gli elementi di cui avesse inime-' diato bisogno nella discussione parlamentare, « che era allora vivace assai ma anche concreta ». « Era fra noi convenuto un segnale ; egli alzava un fogjio rosso, ed io allora discendevo e l'incontravo nel suo Gabinetto di Presidente, e gli fornivo gli elementi tecnici che servivano per la sua risposta ; e su quei dati, comunicatigli in fretta, egli svolgeva subito, e con signorile facilità, un bel discordo. Era signorile .in tutto, nei modi e nella cultura, e-quesm sua qualità era molta parte dei fascino che egli esercitava su tutti». « Si stava studiando la perequazione della imposta fondiaria, ed una Commissione di venticinque Senatori e Deputati, presieduta dal Menabrea, dopo lunghi studi aveva presentato un progetto di nientemeno, che centosessanta articoli. Il Minghetti mi chiamò, e mi disse: — Non mi è possibile di presentare un progetto talmente farraginoso; vuole esaminarlo lei procurando di abbreviarlo e semplificarlo? — Quando poi, qualche settimana dopo, gli annunciai che il mio lavoro era •compiuto, egli mi fissò un giorno ed un'ora per portarglielo. Quando mi recai all'udienza, nell'anticamera del Ministro trovai il Caneva, capogiunta del censimento a Milano, e il Bara velli, ispettore generale delle Finanze; ed allora io appresi, 0 meglio tutti e tre apprendemmo che lo stesso incarico era stato dato ad ognuno di noi, ad insaputa gli uni degli altri. Quando fummo ricevuti da Minghetti, il Caneva annunziò, con la sicurezza di avere compiuto uh tour de force, che gli era riuscito di ridurre il progetto, dai centosessanta articoli originarli a soli sessanta. 11 Baravelli prcseutò allora il progetto suo che la vinceva sù quello del collega, gli articoli essendovi ridotti a quarantacinque. — E il suo ? — chiese Minghetti a me. Glie lo presentai; io aveva ridotti gli articoli a tredici in tutto. Minghetti prese il progetto mio per basei, e ini incaricò di.compilare la relazione per la Camera, che condussi a termine di 11 a sei settimane ». ■ f " Se congiurassi..." Venuta al poteiK la sinistra (187GÌ Minghetti eadde e gli sucqisse Dopretis, che prese anche il portafogliBdelle Finanze « segno che gli uomini più poklerati della Sinistra si rendevano anch'essi lonto della preponderanza del problema finanziario, che aveva tanto preoccupata la DesVa ». H Giolitti passò a Roma, coll'incnrico *tìi reggere la Direzione generale delle Finanze, incarico che tenne per un anno, in contrasto continuo col deputato Sesmit Doda. che fungeva da segretario generale del Presidente del Consiglio, brav'uonio, ma fantasioso, senza pratica di amministrazione, che mandava al Giolitti ordini cervellotici che quello doveva respingere. « Il Sesmit Doda se la prese e un giorno che eravamo insieme presso Depretis egli accennò die nel Dicastero « si congiurava», lo capii l'allusione e gli risposi che se avessi voluto cospirare avrei avuto un mezzo semplicissimo, del quale egli mi.sarebbe stato grato. Depretis, che tìra beffardo di temperamento1, e se ne aspettava una divertente, m'incoraggiò: — Dica, dica. — Allora io dissi: — Sé io volassi congiurare contro il Ministero, mi basterebbe eseguire gli ordini che Ella mi dà... •— Depretis scoppiò in una risata, e Sesmit Doda, lurioso, prese il cappello e se ne andò, lo -allora osservai al Depretis che in quelle condizioni di malinteso, di contrasto e di sospetto col Segretario generale non sarei riinasto, 0 gli presentai le dimissioni ; accettando solo, su sua richiesta, di rimanere provvisoriamente. Pochi giorni dopo, ebbi dal PWv sidente della Corte dei Conti, il senatore Duchoquet, l'offerta di andarvi come Segretario generale ; posto che era di nomina della Corte stessa. Depretis acconsenti, col patto che quando avesse bisogno di me mi avrebbe chiamato, come-fece effettivamente molte volte, e ricordo in specie per farmi esaminare i progetti delle Convenzioni ferroviarie ». Alla Corte dei Cónti rimase cinque anni, con un intervallo di sei mesi nel '70, quando ebbe dal Depretis, l'incarico di Regio Commissario delle Opere Pie di S. Paolo a Torino, la cui amministrazione era stata sciolta. Molli milioni erano stati impiegati in azioni di banche fortemente impegnate in speculazioni edilizie. « Prevedendo che sarebbero fluite male, come infatti avvenni! po- 1 chi anni dopo, vendei tutte quelle azioni ilii vestendo il prezzo in obbligazioni ferroviarie garantite dallo Stato. E non contento di ciò feci inserire in un nuovo statuto da me proposto, un articolo che proibiva l'acquisto di azioni speculative nel futuro. A mio avviso quella»' importante Opera Pia doveva sopratutto avere di mira la sicurezza dell'impiego, ed infatti seguendo quel sistema non ebbe mai alcun danno». La tragica morte de 1_figlio Nel settembre del 1879 mia terribile disgra zia colpi Giovanni Giolitti, la tragica morte del primogenito Lorenzo, un bimbo intelligentissimo di sette anni. La sua famiglia si trovava a Chiomonte, in villeggiatura, e il Nostro era andato per due giorni a Cavour. I II figlio, giocalidb con altri ragazzi, non vide una botola aperta-nel pavimento è precipitò nel'piano di sotto; battendo la>testa e rimase morti sul colpo. » Mia moglie accorse! subito, lo trovò e lo raccolse cadavere; poi mi telegrafò che il ragazzo era malato, e quando alla sera arrivai ebbe la forza di animo di venirmi incontro a riarmi essa stessa la Iriste notizia e a confortarmi. Voglia qui ricordare che per tutta la sua vita mia moglie fu per me, oltre che compagna affettuosa, un grande aiuto morale. Era dotata, d'intelligenza vivissima e s'interessava assai della mia opera politica, e nelle discussioni con famigliari ed amici aveva osservazioni e motti pronti e geniali; ma nello stesso tempo manteneva il più assoluto riserbo, non cercando in alcun modo di mescolarsi nella mia azione pubblica. Preferiva, che io non fossi occupato nelle responsabilità politiche e mi riposassi nella vita privata; ma ogni qua! volta mia responsabilità precisa si affacciava, era essa stossa la prima ad incoraggiarmi ad affrontarla ed a compiere, come uomo pubblico, tutto il mio dovere »\ « Alla Corte mi occupai particolarmente del controllo, esaminando i decréti che venivano dai vari Ministeri e riferendone al Presidente. Intervenivo come segretario alle sezioni del controllo e alle sezioni riunite ; e in quistioni^li controllo stendevo, io le decisioni motivale. Quel lungo lavoroi col controllo di tutti i decreti, ò stato per. pie, una educazione amministrativa effìcacisbinia, mettendomi a conoscenza di tutto il meccanismo delio Stato;'ciò che mi riuscì assai utile quando quel meccanismo dovetti muoverlo io stesso ». , Nel, luglio dell'82 il Depretis gli offerse il postrj di Consigliere di Stato, che accettò vo^ ientier.i. La prima wlta che intervenne al Consiglio, parecchi Consiglieri mancavano, ed egli chiese al Presidente che gli desse da lavorare. « L'indomani ricevetti un pacco, poi ógni giorno un altro; più*-di un'ottantina di grossi affari, i-li mis-i all'opera giorno e nòtte, e' quando dopo una settimana gli riportai l'intero lavoro finito, il Presidente della mia sezione non poteva crederlo, ed «sciamava: — Ma quello era l'arretrato di tre mesi! — Il senatore Ghivizzani che reggeva la Presidenza del Consiglio mi chiamò poi, e mi fece un elogio, aggiungendo però : — Ma per carità non lo dica, che non si venga a sapere che si può sbrigare in una settimana l'arretrato di tre mesil ». f \ ■ I Eletto all' unanimità Poco dopo il Giolitti entrò nella vita politica. Come consigliere di Stato egli era eleggibile, e gli fu offerta la'candidatura nel Collegio di Cuneo che allora comprendeva i tre Collegi di Cuneo, Dronero 0 Borgo San Dalmazzo. Gliela offriva l'on. Antonio Riberi, che si ritirava, e proponeva agli eiettori il Giolitti. Il Riberi aveva agito per conto proprio, senza dir niente al suo• successore, cho ebbe la notizia della propria candidatura da una lettera circolare del Riberi stesso. Non tenendo molto a diventar deputato « rifiutai d':''-;.;.Klare a fare il solito giro di campagna eietìÓTaie. Il Sinùacor di Cuneo, che era .il capoluogo, insistè che facessi almeno una visita ai collegio ; ed i.; gli risposi che per cortesia avrei -fatta una visita a lui; partii per Cuneo, arrivando alle undici di sera; feci la mia visita alle dieci del mattino appresso'e ripartii alle undici, lasciando il mio indirizzo solo a tre persone: al Procuratore del Re, antico amico: al Sindaco di Cuneo, ed al Sindaco di Dronero, mio cugino. C'erano tre liste, ero portato in tutte e tre e riuscii capo-, lista. Ricordo un curioso episodio;- a Pevera; gno ebbi l'unanimità dei voti. Non capivo come fosse avvenuto, ma una mia zia, che ricprdavà le vecchie storie della famiglia, me •ne trovò la spiegazione. A San Damiano mio nonno, che era uomo popolarissimo, teneva la sua casa aperta a tutti, e la gente .di passaggio vi prendeva alloggio. 11 padre del Sindaco di Peveragno vi aveva pernottato una nòtte con la moglie incinta, che era stata presa dai dolori e vi aveva partorito, rimanendo poi ospite oltre un mese, sino a mando si era rimessa. Il Sindaco si era ricordato di esser nato nella casa della mia famiglia, ed aveva voluto compensarmi della antica ospitalità facendomi aare l'unanimità dei voti». Era il 1889. Era al potere Depretis, e imperversava il trasformismo. Gli uomini iella Destrn si erano preoccupati preeipuaihcnte di dare allo Stato una finanza solida e sincera, che sola poteva cementarlo e assicurarne l'avvenire; ma ebbero il torto di non preoccuparsi abbastanza delle Provincie più povere e arretrate e specie del Mezzogiorno.. Gente seria, « erano/tutti degli idealisti, le cui concezioni si fondavano su -una cultura generale europea, lontana dalle miserie materiali e morali delle popolazioni da cui erano usciti ». Le loro imposte erano riuscite impopolarissime. -T deputati toscani, danneggiati dal trasferimento della capitalo a Roma, con alla tosta il Peruzzi, si erano accordati con Nicotera per abbattere il loro Governo. Così, 'toscani e meridionali, garibaldini, zanardelliani e in genere tutti gli elementi di temperamento e di tendenze culturali democratiche, sino ai radicali che rappresentavano l'estremismo, vennero al potere, rappresentanti di uno stato d'animo delle masse popolari, che cominciavano a risvegliarsi e mostravano di voler prendere maggior parte nella cosa pubblica. Depretis « Quando io entrai nella Camera, la Sinistra aveva già cominciato a decadere. La sua popolarità nel periodo di opposizione, che l'aveva poi condotta al potere, era dovuta ad una ricetta iniallibile: opporsi alle nuove imposte e chiedere mmve spese. Ma questi due termini sono inconciliabili: se essi possono servire nella polemica, falliscono quando si viene alla pratica politica. Servono insomma all'opposizione per attaccare il governo avversario ; ma non per governare. Ho già detto che gii elemeni pili prudenti della Sinistra sentivano la necessità, pure consentendo nuove spese per le regioni bisognose, di non compromettere troppo la restaurazione finanziaria a citi il partito avverso era pure pervenuto. Questo ed altre ragioni di carattere politico, specie l'incoiapatibilltà fra il suo temperamento pratico e positivo, e le ideologie seiuimemali 0' fantasiose ;' il contrasto^fra ii suo sentimento dello Stato e il demagogismo di certi clementi della Sinistra, avevano portato il Delire! is tre verso a quattro suoi ministeri, intramezzati dardue brevi ministeri Cairoli, a cercare appoggi a Destra ed al Centro, a così era natp il «trasformismo». La parola ha avuto cattiva fama che si è ripercossa sull'uomo, che fu accusato di scetticismo e di cinismo. Ma rè al trasformismo mancarono profonde racioni politiche, nò il'Depretis meritava quei giudizii. Egli era un uomo in cui era assai sviluppala una delle principali doti dell'uomo di governo: il buon senso i Non possedeva forse altre q/jalita eccezionali ' conosceva bene l'aniministrazior.e ; sapeva esaminare a fondo le questioni, od' ora uomo fermo e deciso. Era grande lavoratore, e lo si trovava sempre in mezzo a fasci di carte. Quando c'erano delle cose che non voleva risolvere, le metteva a parte, e ne aveva fatta una pila che saliva sempre più alta;- e con quel suo fine sorriso ironico vi accennava come al reparto delle cor-' che vanno studiate lungamente. Non era affatto uno scettico od uh cinico ; odiava le vane declamazioni, ma s'interessava profondamente allo (jnse dello Stato, a cui dedicava tutta la sua attività ed energia. Combatteva apertamente gli avvercari, ina era lunario, senza ombra di astio verso nessuno. Quando io 'cominciai a voltargli contro, egli un giorno mi doman¬ 1 dò perché fossi passato all'opposizione. Gli risposi adducendo molti motivi, e poi aggiunsi che non mi persuadeva che ii ministero si appoggiasse specialmente su alcuni tipi poco raccomandabili. Al che egli osservò: — Ma è sicuro che persone dello stesso tipo non ci siano anche fra i suoi amici dell'opposizione? — Probabilmente, ci sono, — gli replicai; — ma all'opposizione noi siamo solo d'accordo per dire di «no», non per governare il paese. — Quanto all'accusa che egli fosse ur. furbo, è proprio obbligatorio, per un uomo di Stato, essere un ingenuo? » 11 noviziato e ia lotta contro il Magliani Nel marzo 1883 Cairoli Crispi Nicotera Baccarini e Zanardelli costituivano la famosa Pentarchia, che riunì in opposizione buona parie degli uomini di sinistra. Contro ti Ministero erano anche i dipendenti che combattevano la finanza del Magliani, ma repugiiava.no dalla politica estera del Cairoli {le mani nette) e,ho ci aveva condotti al grave scacco di Tunisi. Ai dissidenti appartennero il Giolitti, il Ruriinì, il Sonnino, 11 Pelloux: erano 45. I primi due anni di quella legislatura furono pel Giolitti di affiatamento e di noviziato; fu eletto in molte Commissioni, in specie in quella del Bilancio, nelle quali « portavo le competenze acquisiate 'nell'amministrazione. La mia azione pur veramente politica cominciò solo nel terzo anno, con l'opposizione ai metodi finanziari.del Magliani, che teneva e tenne ancora per qualche anno il Ministero del Tesoro e reggeva quello delle Finanze; e il cui nome è riimasto famoso, come del rappresentante tipico di una ilnanza insinceramente ottimista e di una quasi prestidigitazione finanziaria ». L'ottimistica finanza del Magliani riusciva tanto più pericolosa per l'abilità- con cui vi si dissimulava il disavanzo allo scopo di giustificare aumenti di spese. « Il discorso che contro questi metodi di finanza io pronunciai alta Camera nell'83, fece un gran rumore, anche per ia specie di scandalo che proprio un nuovo arrivato venisse a proclamare il fatto di un gravo disavanzo, e perchè io m'ero sforzato di sempliflca.ro - i termini del problema, e di renderlo chiaro a tutti. E Pare che ci fossi riii&eilo, perché dopo il discorso'venne a me. il deputalo Medoro Savini, il roman • ziere, uno degli uomini più semplici e ingenui che io abbia conosciuto, il quale mi disse: — Ti, faccio la migliore di tutte le .congratuhiziòni, e cioò che ho capito anch'io! — Il governo, che si era accorto dell'impressione fatta, voleva die rpndche risposta al discorso mio, in attesa di quella più solenne del Ministro competente, venisse, da quaicne altro deputato, e ne incaricò il Toscanelli. Le cose si facevano allora molto bonariamente, e il Toscanelli venne ria me ad avvertirmi e a chiedermi anche degli argomenti contro il mio discorso, perchè egli di finanza non se né intendeva, io glieli diedi volentieri, mostrandogli ciò che poteva rispondere, ed egli ne cavò un discreto discorso. Dopo il quale ritornò da me a chiedermi come mai fosse avvenuto che gli argomenti che io gli aveva dati fossero migliori 0 più efficaci di quelli che gli avevano fornito al Ministero delle Finanze. «Si capisce, gli risposi io, perche io e il Ministero avevamo interessi diversi. Al Ministero gli argomenti migliori volevano riservarli pel Ministrò; che doveva parlare dopo di te: mentre a me conveniva di fare apparire che il Magliani di finanze non ne sapeva pili di te; e ci sono riuscito». Nel 188G si fecero le nuove elezioni. La lista antiministeriale. di cui faceva parte l'on. Giolitti, ebbe nei 15 Comuni della valle di Macra la quasi unanimità. « Il candidato ministeriale ebhe due soli voti nel comune di Stroppo. Ricordo che qualche tempo dopo il sindaco di quel comune; incontrandomi, si scusò che non mi si tosse dota 'l'unanimità dei voti e mi aggiunse: —- Ma non accadrà una seconda volta. In paese si è saputo di chi erano quei due voti, e quei due elettori sono stati trattati in modo tale che si sono decisi ad emigrare e andarsene in Francia! — Gli risposi che ciò era veramente troppo ».