Terracina

Terracina Terracina. •* Quel buon vecchio romantico di Aleardo Aleardi (e' non pare che la sonorità ondosa «!> rotonda del nome denunzi essa sola il carattere precipuo della sua poesia?...) tra molti Versi di perita struttura e di armonioso movimento non badava a intruderne dei banali, e se ne lasciava facilmente sfuggire dei gola addirittura; e in quello zibaldone lirico che, -per intitolarsi al Monte drenilo, tratta di tutto un po' et de quibusdam aliìs, da Omero e la mitologia alla malaria delle Fontine, alla i sapienza ambiziosa e mesta » che per noi Italiani è la storia,, e alir geologia, cesi celebrava la no bile 'città di Terracina : ...U/lima, vèr lo del delle sultane, Mira là in fondo Terràciria. Quale Ai dì festivi ili. Murati- le belle D'uita /liuinella tremula dì vetro Ornun le vere chiome, ella si pose I. il uotche.lto di palme in su la -lesta; iiicd.cs.t rupe candida ; lavacro b'n ilei Tirreno ai piedi; il guardo tende Loiitimumente ni curila mare, e prega l'errili- Scinti]']hno vigili le mille lieti e le veli: a' prscadori ; e quando t*//tinta una nube ciìe'a tempesta accenni, Voti le i-i'e. ce?ilo cani pan elle affretta Ai domestico lido i vagabondi... S'.anmnej ridestandomi qua a Terracina... (;3Via che squisitezza' il fritto di triglie e di cammaròtti che m'hanno servito jerscra alla trattoria! Certo,• proprio Sant'Elmo aveva, vigilato « 1« mille — Reti e le vele ai pescati o.;',i » !... E quel vin d'Aleàtico, ondo con epiciirèS saggezza e con rablesiana abbondanza innaffiai il pasto, libando insieme Mie deità marino e a quelle enolcP giclu;, che arzilla saporosità, in sua trasparenza lucida di rubino, che soave profumo, quasi di mammole appena fiorito!...) Slamane dunque, aprendo la finestra sul ^anovama della città, che dalla marina sale verso le rupi scoscese di Monte Sant'Angelo, e cui domina giganteggiando il torrione di dolomitico aspetto del Pisoo Mentano, dove, dal iato che piomba verso il mare, tagliata la roccia, l'imperatore Trajano segnava un più regolare tracciato alla Via Appia, e le apriva nuovo valico lino alla Torre del Pesce. — io mi rifaceva a mente i versi dell'Aleardi. Il i boschetto di palme », per cui il poeta escogitò quell'arzigogolata e rimpicciolita indagine della « piumetta tremula di vetro » con cui ■ le ragazze di Murano a'adornano i capelli, e che ■ Terracina si metterebbe in testa,' .come una vecchia zitella un cappelluccio riadattato, sarebbero quelle quattro palmo gibbose e sponnaochiato che adornano Piazza Vittorio Emanuele? In testa, in questo caso, nient'affatto : che una buona metà della città' s'eleva sopra, arrampicandosi al monte con gli avanzi delle mura ciclopiche e delle grandiose costruzioni dell'età di Augusto, con i bastioni medievali e la cattedrale che nel 1074 il vescovo lerracinese Ambrogio consacrava a San Cesano, con tutto il quartiere vecchio, fitto aggruppamento di case e casupole oscure, labirinto di viuzze anguste, in ripida salita. portici, scalee,' fino a Porta Nova, s'esce per salire alla sommità di donde s'esce per saure alia sommità ai Monte Sant'Angelo, coronato dai ruderi imponenti del tempio di Giove Anxure. Così, rAnxure, appunto, dei .Volsoi, la Traohina dei Greci, la Tarracina dei Romani, la moderna Terracina, « Siede su rupe candida... ». Candida, per vero, io non direi. Certo l'Aleardi, nel gratificarla di quest'aggettivo, aveva nella memoria l'oraziano « inpositum saxis late candentibus Anxur »; e forse, quando la contemplò Orazio, la roccia biancheggiava. Si vede che il tempo, proprio al contrario di ciò che fa con le chiome degli uomini, l'ha oscurata. Sta di fatto che a noi appare bruna, ferrigna, chiazzata qua e là del verde di sparsi cespugli di lentisco e di mirtillo, qua e là Prosata come il travertino, qua e, là in- come il mattone, quasi maculala di sanguigno... Di svariati colori, insomma : canti; fuorché candida. E « ...lavacro — j. a dei Tirreno ai piedi.... » Questo pediluvio ma/ino della città ora si risolvo con il quartiere nuovo, di palazzine ameno o floridi giardini, che si protendono lungo la spiaggia^ dove, tra gli enormi massi dello rovine del porto di Trajano, sorgono le baracche degli stabilimenti di bagni. Passata la stagione propiniti, gli stabilimenti, a questi giorni, sono deserti, le baracche abbandonate: l'onda che ha infranto nei-secoli e demolito le banchine c i moli del porto romano, ha cancellato in un attimo su la sabbia lo tracce dei giuochi dei bambini, l'impronta delle forme delle bagnatiti che si distesero voluttuosamente a bruciar lo caini, impregnate di salsedine, al sole. Ma un po' come quelle costruzioni fittizie di legname e' di tele, così desolato nell'abbandóno, e già decrepite dopo un par di stagioni, a me sembrano i versi del malinconico «italico cantore»: mentre come quei poderosi animassi di conglomerato cementizio, che testimoniano di Roma e dell'Impero, s'eterna la concisa, scultorea esaltazione dei poeti latini: di Stazio, che celebrava € Areesque superbi Anxuris »; di Marziale, che cantava, 0 nemus, o fójUes, solidumque madentis ^arenae LÌtus-, et aequorciè splcndidiis A n.rur aquis. '*L ' -. •s ♦*•» c. Finora non se veduto che nessuno dei glassi plutocrati, sorti nuovi dalla tempestosa vicenda guerresca come vesciche suine a galleggiare su la marea dell'altrui sacrificio e della collettiva miseria, nessuno di quelli che contijnem.ente si chiamano a i pesoicani », si fai industriato a farsi condonare la spietata rapacità e la mal acquistata ."iechezza, legando il propria nome, pur jeri ìj;uoto, se non dispregevole, a qualche insidie opera di decoro, di lustro, di sontuosità cittadina. Gli è che in realtà son povera gente, che puzza ancora troppo il basso loco originario: come avrebbe detto il. signor di' Talleyrand, non hanno ancora imparato a camminare su i pavimenti lucidi. Ma ai tempi che imperava e il buon Augusto », si trovò in Terracina un ricco patrizio, Aulo Emilio, il quale costruì a sue spese, tutto di marmi splendido, e donò alla città un nuovo Foro, poi una basilica, templi, portici e un palagio per il collegio degli Augustali. Sicché meritatamente potè inscrivere in bronzo su le pietre ond'era lastricato il Foro — e ancor oggi, diciannove secoli dopo, ammirando si legge — « A. JEWILIVS A. F. »; e sul tempio di Roma e di Augusto, trasformato poi, col Medio Evo, nell'attuale cattedrale, « 1ÌOMJ2. ET AVGV$?Cì CESARI. DIVI. F. A. MMI-. tccdsgdl! F! ssstlmdaeaPpeliodddmctdddpzpccMVlrtmsmbndptcncapgtksbLj | gI I e| j | ei i i gI il| C! | ; c' j LIVS. A. F. EX. FECVNIA. SVA. F.C. » — e ancor oggi si legge, ammirando. « ...Oggi » — come scrive Attilio Rossi nella sua accurata e interessante monografia su Terracina e la Palude Pontina — a ciò che... rimane, costruzioni, basamenti, colonne, parti di celle sacre, qualche sfigurato frammento architettonico e scultorio, inserti qua e là nel confuso impasto degli edafici ecclesiastici, dei palazzi privati, delle misere casucce, cho su le rovine della grandezza antica si sono andate accumulando a traverso i secoli, come un bizzarro sedimento del tempo, è bensì sufficiente a mostrare le colossali dimensioni dell'opera compiuta da Aulo Emilio, ma non a rappresentarci, se non con l'aiuto della fantasia, la magnificenza e la bellezza dell'insieme, la ricchezza delle parti decorative, la nobiltà degli edifici e l'effetto singolare è pittoresco della folla mutevole, elegante, signorile, composta dei più diversi elementi sociali, delle condizioni e delle genti più varie, che si aggirava e si adckusava in quel microcosmo della civiltà latina: patrizi romani e terracinesi, retori in cerca di protezione e 'di favori, nei luoghi di, villeggiatura preferiti dalle classi più elette di Roma, cortigiane e poeti cesarei, mercanti e genti del mare, schiavi numidi ed oscuri immigrati d'Oriente, comandanti di eserciti e consiglieri aulici e imperatori... ». ., <r A. Aemilius. A. F. Ex. Pecunia. Sua. F. C... » Si è che il nobile plutocrate Aulo Emilio non era affatto un pescecane, non s'era cioè ladronescamente arricchito, a guisa degli spogliatori di cadaveri sul campo di battaglia,' in mezzo alla strage e alla catastrofe d'una guerra combattuta per il' diritto delle genti, per la libertà dei popoli, per' la civiltà del mondo... Era, semplicemente e magnificamente, un patrizio romano, reduco dalle guerre con cui Roma imneriale aveva imposto la legge della sua forza", che era suo buon diritto, al mondo, e al mondo aveva decretato, unica ed universale, la Pax Romana. . , •**■ A proposito della cultura tedesca, ch'c piena e perfetta in ogni sua anche minima estrinsecazione, che dà garanzia di controllate notizie, di dati sicuri, di testimonianze irrefragabili per ogni particolare, in ogni onera più corrente, mi diletto a spulciare due grossi svarioni nell'impeccabile Baedeker. Nel volume dedicato aWItalia Meridionale, nelle pagine su Terracina, è affermato che il gruppo marmoreo della Pietà, che si ammira nella chiesa di San Salvatore, è opera del Canova : stile sì, e anche dignità artistica, per la composizione della drammatica scena, per la bellezza classica delle figure, per la corretta eleganza dei panneggiamenti, delle vesti, per la .trattazione delicatissima dèi marmo, fanno pensare al Canova; ma opera certa di Cincinnato Baruzzi. Poi, il Baedeker afferma che le maestose rovine grandeggianti su Monte Sant'Angelo sono di un tempio di Venere: <c ... Sino agli scavi del 1894. l'edilìzio è stato creduto un palazzo di Teodorico, re degli Ostrogoti ; più tardi, un santuario di Giovo Anxure» un'iscrizione ed ex-voto ritrovati di receuto hanno confermato l'ipòtesi relativa a Venere... ». Manco per idea! E' bene accertato e dimostrato, sia per^i dotti studi e le ingegnose argomentazioni del De La Blanchère, che pubblicava, le sue conclusioni nell'84, a Parigi, nella Bibliothcque des Ecales francaises d'Athènes et de Rome, sia per risultanze* più recenti, che il tempio di Monte Sant'Angelo era dedicato a Giove Anxure, a Giovo Fanciullo, o a Giove Intonso — il che coincide: — dedicato insomma a una nuova divinizzazione del Giove greco-latino, contraddistinta dagli attributi dell'intonsa adolescenza, della puerizia, per derivazione probabilmente da qualche deità volsca originaria, cho appunto avrebbe comportato tali attributi. Con tutto ciò, da ciò all'infuori, il Baedeker resta sempre la più autorevole, la più sicura e la più intelligente guida per chiunque s'incammini oltre lo mura del natio borgo. *** Su Monte Sant'Angelo. Di quassù, da questa sommità di Monto Sant'Angelo, che, propaggine estrema dei Lepiui, si protende precipite sul Tirreno, il panorama si spiega con una vastità, con un'imponenza, con una bellezza supreme. Ecco il mare di Ulisse e di Enea, il travaglioso mare nei millenni, il mare di Cartagine e di Roma, il mare di Genova e di Pisa e di Amalfi, e dei corsari barbareschi, e' di Shelley: specchio smagliante al spie, variegato dai serici nastri delle visibili oorT renti, oggi si distende infinito in bonaccia ; e dal suo grembo ceruleo sbocciano le isole azzurre, Precida, laggiù, e Ischia; ed ermo scoglio, Ventotene ; o qua davanti, Zannone e Ponza e Palmarcla. La costa, fran giata d'un sottilissimo candidò ricamo di spume, s'inarca successivamente, da Sirocco a Maestro: Capo Miseno, laggiù, a vietare la vista del'Golfo di Napoli ; e dietro, un conetto basso, su cui impigra una nuvoletta bigia : il Vesuvio. E là sotto, indistinta, è Cuma, con l'antro.della Sibilla per ove Enea sceso agli Inferi. E quella prominenza segna la fece del Volturno : quel che di rossastro che interrompe appena l'azzurro di lontananza e porporeggiare autunnale di macchie, o c ancora l'empito irruente di camicie garibaldine?... Ecco il promontorio rupe stre di Gaeta, già sentinella del maro, or fatta vano monumento di fortificazioni usate, di baluardi e spalti imbelli, con le cannoniere cui fioriscono, come per irrisioue; i capperi : torre Angioina superba ; cattedrale di Sant'Erasmo, dal bel campanile eccelso, già clì.mante con le campane a distesa nei giorni delle strepitose minacce e delle battaglie, clamante alla nuova Italia, dopo Io strenuo ultimo assedio ; bandiera di Lepanto, nascosta dietro l'altare... Sopra, si innalza il Monto Petrella. Poi, la bassura di Fondi; e il lago, fosco come una palude, Poi, il gran massiccio del Monte dello Fate. E dall'altra parte, ecco, l'immensa, piatta, uniforme plaga verde delle Pontine : il canaie principale, diritto, l'antica fossa Cethegi, le divide a mezzo; una bianca striscia di strada, la Via Appia, segue, lunghesso il bordo, il canale-; un'altra via zigzaga tra il verde fondo; due fumi di carbonaie salgono pigri nell'aria, .piegano lenti a un soffio che spira dal mare, ampliandosi e diradando in successive volute. Tra questo mare arborato ed il veraceMnare che di là si estende, il Circeo, inarcata la giogaia possente, s'eleva solitario e grandeggiante, simile a un'isola ancora, come nella tradizione omerica. E ancho di là, la costa nuo¬ ! - j i I 1 ! '' | j : ] j | . : I i i | j ' j vamente s'inarca, fino a Torre Astura, tóaturronia del tradimento di Giovanni Fran* gipane, che l'ospite giovinetto Corredino di" Svevia, fuggiasco a là da Tagliacozzo — dove senz'arme vinse il vecchio Alardò », consegnava per danaro alla vendetta ò al patibolo degli Angioini ; e il lido ancora dilunga, verso Anzio e Nettuno,, vanendo azzurro nell'azzurro. E il sole, rutilando nel cielo di lucido smalto, sul panorama immenso, che tanta grandezza include di spazio e di evi, tutto, mare e terra, città, isole, acquo, selve, campi, inonda, penetra, inebria di luce. Ciò che resta quassù del tempio eccelso di Giove Anxure, o Giove Intona*», o Giovo Fanciullo, sono i basamenti eriormi, costituiti da una serie di porticati fondati su la roccia, e la gradinata d'accesso, e l'area del pronao e della cella, e tutt'intorno le basi dei colonnati e delle mura. Una solitudine piena, un silenzio divino dominano e fanno solenne il luogo. Verdeggiano cespugli di mirtilli e di ginestre; le lucertole, talvolta qualche vipera, guizzano dalle crepe dei massi squadrati, dalla sassaia desolata delle rovine. Non lontano dall'area scoperta del tempio, dalla parte d'Oriente, sorge, una piccola costruzione quadrata, a mezzo diroccata; e al centro di essa si eleva un sasso coniforme, che per un foro al sommo, quasi cratere di minuscolo vulcano, lascia scorgere un'oscura cavità ohe s'amplia e s'affonda nella roccia. Se si lascia cadere dall'apertura qualche pagliuzza o foglia, questa è respinta in alto, certo pei1 una corrente d'aria calda che continuamente circola nell'interno della roccia. Era questo annunto l'antro della sorte: i fedeli salivano quassù a consultare la Divinità venerata; e il sacerdote traeva eli auspici, gettato foglie lievi nel forame della roccia, discriminando come e quali e quante il 'soffio spirante rimandasse in alto... Sacerdote mi fingo io smesso del mio Nume Ignoto: ecco; e per trarre miei presagi, strappo una manciata di fogliuzze a un prossimo cespuglio: e le butto nell'aperta gola della prodigiosa roccia... O troppo peso delle foglie, dure come scagliette, del mirtillo, o violenza improvvida dell'atto, il buio cavo tutte le inghiotte, non una ne rimanda... La sorte, dunque?... Riprendi il tuo cammino, perdigiorno! MARIO BASSI. - Svaghi d'un perdigiorno Terracina