Dal paese di Amleto

Dal paese di AmletoDal paese di Amleto Impressioni c spunti (Nostra corrispondenza particolare) COPENAGHEN, ottobre. H ferry-boat scivola dolcemente di tra lo braccia esili e rossicce del porto di Warnenuinde, verso il mare aperto, colore di lavagna. Torbido in alto o in basso, silenzio in. cielo e sullo acque. I pochi viaggiatori ei stendono sullo chaiscs-lonrrues, dalla parte jiel kào ohe non si vede, ravvolti in 'jUtòAs e «mantelli. Parle.no sommesso come nelle casa dove si veglia un cadavere. Una vecchia signora dai candidi capelli afoglia tara, le dita jicarne un libro di salmi o mastica .pan so che con un rapidissimo sussultare del mento aguzzo. Una coppia di sposi in piedi, sotto la vedetta di cristallo, contemplarla distesa opaca dolio acque senza far parola, ed ella s'abbandona col braccio sulla spalla dì lui, siiuita. Un grasso signore, 'dall'aria stupefatta rimugina pazientemente coj cricchiamo il cafl'é della sua tazza, senza decidersi a bere. „Un muto e penoso incantesimo pesa sul battello che avanza verso la terra d'Amleto. Gorgoglio della chiglia; in alto, ora, qualche strido scabro: rah ! rah ! rah ! Alcuni gabbiani si sono messi ad inseguire il battello; come il loro volo è molto più rapido, fanno di gran giri per mantenersi alla sua altezza. Apro i Senza Patria, il romanzo, col quale il-danese Herman Bang chiuso gloriosamente, che non è molto, vita e carriera: Noi ti amiamo tanto, paese di verzura, balzato su. dalle spume azzurre del mare ! Belle fanciullo e donne nobili e uomini e giovani arditi aiutano i tuoi villaggi... Danimarca è il tuo nome. E sei la gran sala di Froia I E sei la gran sala di Freia ! Ma lo richiudo stanco. L'ozio del viaggiare è terribile; prende spirito e membra, soggioga, accascia, finisce. L'essere trasportati ;<b una vera e propria contraffazione dell'agi*-,» Bisognerebbe trovare il modo che il vòarjg»tore prendesse parto attiva al proprio trasporto e che lo dominasse e lo regolasse del suo volere. Rah ! rah ! rah ! I gabbiani sono diventati uno stonno, ora, ed avvolgono il battello in una nuvola d'un bianco "livido. Il mare sempre torvo e tranquillo; non una nave, nò una spiaggia in vista ; la campana d'un gavitello singulta a fior d'acqua i suoi rintocchi lugubri... Dio, che tristezza ! Ma nel Scalotto, imbottito di buon calore, che uu amico ospitale mi offre, trovo alfine, dopo quattro giorni di viaggio, un angolo di Ilei-mai. I cuori si aprono e le parole fluiscono come le onde d'un rivo rianimato dal disgelo. E' Italia o Danimarca? Fuori,- sul gran terrazzo dolio chalet, aperto verso i prati, la bandiera italiana brilla alila, prima falce della luua, garrisco e si torco sotto la brezza gelida. Sul tavolo, li-t bri italiani; alle pareti, ricordi e visi italiani. Ma danesi o scandinavo erano bene le querce secolari, che per la volontà del mio ospite si sono infiammate al mio passaggio, come se una schiera di Lichtel/en, di elfi luminosi e benevoli, mi balzasse incontro dai suoi tronchi a salutarmi. Qui il silenzio è ancora più profondo cho sul battello; eppure mi sembra più vivo, più umano, più carezzevole. Immerso nella bruma d'argento, un branco di cervi guarda coi grandi occhi stupiti, poi, ad un tratto, come ad un segualo dato, prende la corsa e si perde nella macchia con un galoppo senza scalpiti. La luna tramontata; dalle stelle pioicono stille d'oro, d'oro fino. Ed io mi addormento, cullato dalle dolci mani del silenzio come da mesi, come da anni non più. H vili aggetto si sveglia, stirando le membra dall'ovatta umida dei suoi prati. Sole pallido, cielo azzurro d'acciaio. Le acquo gorgogliano, gli uccelli cantano il nuovo te- j pore. Frotte di ragazzi s'avviano alLa scuola ed ioJcon loro : capelli color di canapa, visi rossi1 congestionati, occhi colore cielo di neve., Come m'arresto sulla soglia, via via mi sfilano innanzi, i ragazzi salutando con violenti inchini del capo, le ragazze con graziosa reverenza dei ginocchi. Vestiti di fustagno, calze di grossa lana, grembiali di bordalino, zoceoloni ricurvi : tutta roba contadinesca, ma passata a dovere- sotto le spazzole . e senza una sola macchia. Ora, nella scuola, la maestra comincia la lezione. Banchi, pavimento, pareti, di legno lucido, immacolato e odorante. Alla finestra occhieggiano .rossi gerani, un cardellino trilla dalla gabbia. Silenzio perfetto. Nul Al cenno della maestra, tutti gli scolaretti aprono il •uaderoo. Nul Prendono il regolo e si mettono-in posizione per tirare le righe. Nu, vai, nul e le righe piovono! a piccoli scrosci, come di grandine contro i vetri. Decine di occhi fissi sulla maestra, immobili. Ora comincia la dettatura: « Tratto in alto, tratto in basso ; tratto in basso, tratto in alto!... ». Tutti obbediscono oon fedeltà e onore. Per mezzo dell'amico che m'accompagna prego la maestra di interrogare i piccoli sull'Italia. L'imbarazzo è manifesto. I ragazzi si guardano l'un l'altro, sorridono, arrossisQono; ne sorprendo uno che dà un pizzicotto d'intesa al vicino. — Veda; spiega infine la maestra, l'Italia non è nel programma. Spieghiamo la Danimarca. Mi rassegno. Del resto, non sono che le classi inferiori. Ora comincia il canto. La maestra intona, gli scolari seguono. Gli occhi scintillano, le gote s'imporporano fino a diventare colore dell'uva pesta ; qualche bocca s'apre fieramente fin quasi agli orecchi. E' un canto scorato, che sembra venire di lontano; cauto di esigliati tra religioso e Nostalgico. Ma ora cambia. Cantano della cavalcata per liberi prati, per greti e brughiere. Hop là ! Hop là ! Ed imitano i balzi del cavaliere e congiungono le mani come per stringere le briglie. Infine è il cauto dì San Giovanni ; il canto dell'estate odorante di tigli, delle messi bióndeggianti, del buon raccolto premio alle buone fatiche, dell'amore e della pace famigliare. Anche i più zoticj si destano, s'accendono: qualche sguardo ride sotto lo lagrime. Passo alla scuola dei « grandi », dalla parte opposta della strada. Vecchia casa, coj,tetto di stoppia scura, damasctita di muschio verde. Medesima fragrante pulizia, serenità, luce, candore, medesimo silenzio © disciplina perfetta. Ma anche medesimo 'imbarazzo, quando si domanda ai ragazzi dMTtalia. —: Che vuole? — osserva il maestro — '.yfciamo studiando l'Asia... La scuola popolare danese, come d'altronde, la media e la superiore, ha un'organizzazione perfetta. Insegnanti ottinvuneuto stipendiati, circondnti del migliore presti lente in aagri di case, con orti, giardini, frutteti; gli scolari alla loro volta, ben curati, nutriti, provvisti di oggetti di cancelleria e, d'ogni ben di Dio. Eppuro manca agli uni ed agli altri un qualche cosa ; quel qualche cosa che traluco dagli occhi dell'ultimo scu/fmzzu napoletano, quando vi si presenta con le inani nelle tasche dei pantaloncini a brandelli, di ceffo sudicio, i capelli arruffati e l'aria insolente e beffarda... Visita ai castelli. L'automobile scivola sulle strado lucenti salendo e scendendo dolcemente su e giti per le docili gropne del terreno. Rosso di campi lavorati a nuovo, verdo di praterie lavato di fresco. Ora passiamo sotto la volta dorata dei fapgi : a destra, un piccolo lago entro il quale si specchia una Casina bianca e gialla dagli occhi sbarrati ; a sinistra, poco oltre, un altro lago,, coperto agli orli da una soffice coltre di foglie, scalfito dai cigni nella superfioie lucente ed immobile, come vetro dal diamante. Di lontano accennano le torri di Fredenshorg. Altri prati, altre acque, altre selve ; fattorie grasse, casuccio che guadano di sottecchi dai vetri guarniti di tendine candide. Il castello alza al cielo la sua molo fastosa, sorgente come per comando magico dal mezzo dello acque. Mentre l'automobile corre lungo le sue mura, dall'alto della torre piovono sul nostro capo la- note del carillon.. Attimi di nostalgia fiamminga... Molto Versailles nel parco, con minor grandezza e disciplina di stile, certamente; ma anche con più confidenziale abbandono. Cortile d'una rinascenza un poco carica e grossolana, che rairypeiita quella del diruto castello di Heidelberg. Proseguiamo por nuovi avvallamenti e pendii, per radure e per boschi. Di lontano, •Sopra- le vette degli alberi o i tetti delle case, qualche mulino a vento agita stranamente le ali, come per minaccia o per disperato soccorso. Fredensborg, il castello della Paco ! Lo intravediamo appena nella sua modestia borghese, dominata e quasi soffocata dalla magnificenza regale del parco. Poi, ancora, vallate, collinette, campi, piccoli laghi, selvette spesse. Lontano, una striscia azzurro cupo: il mare; più lontano ancora, una linea ondulata di colline verdastre: la Svezia, al di là dello stretto. Helsingor si annunzia con le innumerevoli capannucce, dove gli operai passano le ore libere del lavoro cittadino coltivando il loro orticello. Via, a traverso le strade silenti, cresciute d'erba, sotto lo sguardo incuriosito dei passanti e della gente di bottega. L'automobile si arresta rombando al ponte cho introduce alla mole quadrata di Kronborg, il castello di Amleto. Qui, come sembra, fu Shakespeare e recitò con la sua compagnia. Saliamo sugli spalti, dove l'ombra irate appariva. Il mare mugge, il ciclo c torvo ; intravediamo tra le spume e le brume le tórri e le ciminiere di Helsingborg, di faccia sulla costa svedese. Una nave, arranca sullo stretto, avanzando a stento. Il vento sibila ed urla. Voci d'ira, di vendetta, di sangue. Ancora l'ombra non è stata appagata? Ài nostri piedi, le colubrine cinquecentesche aprono le loro bocche arrugginite verso il mare. Da un pezzo non annunziano più ai naviganti i festini del re incestuoso ! Nel castello, raccolto sotto il tetto verdastro, come sotto le ali d'un uccello di rapina, silenzio di tomba. Ma il vento mugola per gli angiporti e increspa e sconvolge anche le profonde acque dei fossati. Di corsa, sulla via del ritorno. Pioviggina. L'acqua aderisce ai cristalli in stillo opache; un velo greve ed umido pesa sulla campagna. Ad un tratto, una villetta candida getta uno sprazzo di luce tra il verde cupo della macchia. Faccio appena in tempo a leggere : Villa Capri. E il mio pensiero vola ad un meriggio di luglio dell'isola beata. Dio, che sole, nel cielo e nell'anima ! Una voce non so di dove, mi sussurra: per una ghirlandetta, ch'io vidi, mi farà sospirar ogni flore... Nella capitale. Molta gente per le strade, lo piazze e i boulevards alla parigina (in tono minore) ; gente dall'aspetto sano, fresco, ridente. Ma, in genere, figurine troppo accese e membra alquanto grosse e pesanti. Non è raro incontrare visi graziosissimi di donne mal collocati sopra taglie massiccie, o anche taglie slanciate che si perdono in oaviglie e piedi elefanteschi. La Marmorkirken, nel suo lussuoso he rocco non mi piace; e neppure mi vanno i suoi palazzi nel loro neoclassicismo dignitoso, ma povero e freddo nel grigio plumbeo del cemento. Il Rathaus, invece, mi balza incontro gridando la gioia calda! e viva del suo rosso mattone, delle sue agili torri e torricelle, dei suoi merli orlati di bianco. Ne resto prèso e commosso. Entro nel Museo Thorwaldsen. In questo tempio, che la devozione dei suoi conterranei gli ha eretto, è tutta, negli originali ,o in copie, la sua vita d'arte. Per chi lo conosca dai soli monumenti di Roma e Napoli, è quasi una nuova rivelazione. Purezza, nobiltà classica, certamente; ma anche vita e passione. Non so immaginare alcun che di maggiormente Sturm uiul Drang del Timpano di S. Giovanni. Ma alle figure degli apostoli ed a quelje del Cristo, così care ai luterani è mancato l'afflato divino. Per certe raffigurazioni bisogua nascere cattolici. In casa Nyrop. Cristoforo Nyrop abita con gli altri colleghi in una casa accademica. Professori di sopra, professori di sotto, professori di fianco; non sono case, ma piuttosto collegi o conventi, di una grande semplicità ed austerità. Parliamo dell'internazionale accademica (c'è un'internazionale accademica, come c'è un'internazionale bolscevica o pacifista) ; morti, pensionati, uomini-che hanno lavorato e non lavorano più ! giovani che cominciano a lavorare e promettono. Come il discorso cade sulla guerra, il viso a cui una crudele malattia ha tolto la, vite dello sguardo, s'imporpora, s'infiamma: — Amo molto gli italiani ! — Ma anche gli italiani vi amano. — Si lo so, lo so! E racconta di avere recentemente predicato nello Schleswig redento, come la gratitudine dei danesi debba volgersi in gran parte anche ai soldati d'Italia. Cristoforo Nyrop ha aperto un corso di lìngua italiana all'università, frequentato da una settantina di scolari. E la nostra lingua fluisce dalla sua bocca con tutto lo stile d'un classico cinquecentesco. In casa Brandcs: anch'essa casa accademica. Il vecchio critico europeo nasconde i tsuoi.npya&t*ajjg»j sotto una freschezza e yiv vacità giovanile. Mi chiede dei movimenti politici e spirituali italiani : D'Annunzio, fascismo, crooismo. Si maraviglia assai che l'idealismo abbia ancora tanta fortuna in Italia : — Mais c'est du 1830 ! L'assicuro che non è colpa mia. Alla mia volta lo interrogo sulle condizioni politiche e spirituali della Danimarca. Egli è assai pessimiste, anzi addirittura catastrofico. La letteratura dei giovani, tutta sfrenatezza di sensi, senza contenuto di pensiero, senza umanità di sentimenti. La politica, in mano di contadini ignoranti. Da un lato una minoranza ristretta di reazionari testardi, dall'altro un maggioranza sempre più crescente di socialisti e. comunisti che finirà con l'imporsi al paese e col portarlo a rovina. — Ma come vi sembra possibile che un paese ragionevole come la Danimarca possa giungere agli eccessi della Russia? — Proprio voi vi attendete dalla nazione cose ragionevoli? Toccato. Su questa battuta lo lascio. Ma il volto sorridente, raggiante anzi, sotto la n.ureola della robusta canizie, contrasta — fortunatamente — col tono apocalittico delle sue parole. GUIDO MANACORDA