Ottimisti e pessimisti

Ottimisti e pessimisti Ottimisti e pessimisti (Nostra corrispondenza particolare) (yw il f^WOOFORTE, ottobre tara la pubblicazione del eeoondo volume, ^VenT?7^a y000' disputa intorno allaJfine dM Occidente (Ber Untergang deaAbetidUmdes Munchen, C. H. Beck, 1922) torna a rinfocolarsi, .in Germania. Ancor che nulla o quasi nulla di quanto nelle nuove seicentottanta pagine lo Spengler ci dice della morfologia della storia universale aggiunga o muti una linea a quanto nel volume precedente egli ci aveva detto della filosofia della storia, era, infatti, inevitabile ohe il semplice insistere su affermazioni già una volta giudicate temerarie e malsane determinasse contro il provocatore una vivace riapertura di ostilità. I tedeschi, si sa, non rinunzieranno mai all'acerba voluttà delle battaglie di calamaio famose per devastare montagne e pianure di carta- o per mettere l'orbe a soqquadro senza che un solo schiamazzo notturno disturbi la digestione di un poliziotto, che un solo oste ci rimetta i cocci di un bicchiere o che un solo professore si disvella un pelo della barba. Nel caso dello Spengler, tuttavia, conviene riconoscere che la battaglia non si riduce a un mero esercizio retorico. La popolarità rapidamente ottenuta presso profani ed orecchianti, nazionali ed esteri, in grazia di innegabili pregi letterari e sopratutto di certe speciali disposizioni d'animo cui la crisi del dopo-guerra ha aperto la strada, ha finito col fare del suo libro, in un paese che legge molto e che piglia sul serio quello che legge, qualcosa di simile a un pericolo nazionale. La colpa più grande che i giudici aventi voce in capitolo rimproverano all'autore della Fine dell'Occidente è quella di aver scritto un libro peseimista, offrendo al depresso spirito della Germania contemporanea- l'occasiono di trovare nelle sconfortanti prospettivo espostevi circa l'avvenire del mondo la giustificazione filosofica di ogni rinunzia e di ogni impotenza. Quali queste conclusioni fossero, è noto. In una parola, esso facevano capo a una sorta di fatalismo storico, nel quale non errerebbe, forse, chi vedesse un meritato frutto dell'orgia storicistica dell'Ottocento. Le varie culture battono, vale a. dire, dalla nascita alla maturità e alla morte una via identica, poiché fatale e inevitabile. Le fasi e i medi della loro evoluzione sono fissati sin dai primordi. L'uomo, dal canto suo, pel solo fatto di appartenere a un dato tempo", a una data nazione, a una data classe, viene al mondo col proprio destino scritto in fronte. Il pensiero manca di ogni positiva aziono sulla realtà, il regno dell'uno arrestandosi dove l'altra incomincia. La fede nel progresso illimitato costituisce quindi una utopia. L'apogeo della nostra cultura fu, e nessuna forza d'uomo potrà farcene toccare un secondo: precipitiamo irreparabilmente verso la fine come già il mondo egizio, il mondo ellenico e quanti altri li precedettero... Su tale dottrina, che accontentava il suo bisogno di consolazione dipingendole come preordinato dalla Moira un rovescio storico troppo umiliante pel suo amor proprio per adattarsi ad imputarlo a so medesima, la Germania soiferento si gettò con avidità. La Germania pensante, impennatasi, scagliò l'anatema. Ecco il conflitto. Senonchc, nel conflitto, i motivi accampati dalla prima era naturale non valessero quelli accampati dalla seconda. A dar ragione a quest'ultima doveva concorrere, fra l'altro, lo stesso Spengler mediante un opuscolo, uscito da qualche settimana, il cui unisco scono, sta precisamente- nel difendere l'opera sua dall'accusa di pessimismo, accusa che nella Germania ombrosa e nevrastenica dei nostri giorni suona come suonava ieri nel resto d'Europa l'accusa di « disfattismo ». « Io — leggiamo nel nuovo documento della polemica — non sono pessimista, poiché esser pessimista significa non vedere più innanzi a sé nessun compito da assolvere, laddove io ne vedo tanti da dover chiedermi se non ci mancheranno piuttosto il tempo gli uomini che non la bisogna. Le applicazioni pratiche della fisica e della chimica, ad esempio, non hanno sin qui se non di poco varcato la soglia delle loropossibilità. La tecnica ha, ancora in ogni campo da raggiungere la cima. Lo studio dell'antichità attende sempre chi coordini in un vasto quadro d'insiemo gli innumerevoli elementi di dettaglio ammucchiati dagli specialisti. Il diritto e le scienze giuridiche si trovano tuttora ai rudimenti. L'economia politica non ha ancora cominciato ad essere una scienza. E non abbiamo sin oggi una prosa nò un romanzo tedeschi... (O. Spengler, Pessimismus? ; Berlin, Stillce, B922, pag. 15 e segg.) ». Alla buon'ora! Se rimangono tante cose da fare, al mondo, bisogna concluderne che la fine dell'Occirlante non sia poi tanto vicina quanto cisi era detto. Lo Spengler, messo alle strette, ne conviene ; soggiungendo che il titolo del suo libro fu male interpretato e che V Untergang di una coltura non va inteso come 81 naufragio di un transatlantico bensì in un senso affine a quello dal Goethe attribuito al termine Vollenditng, ossia come chi Hiccsso compimento, coronamento, arrivo (id. pag. 3). E di siffatta concessione i suoi avversari hanno immediatamente preso atto. Sanonchè, la campagna, ostile non dà eegno per questo di voler cessare. E, invero, il persistere dell'insurrezione taon saprebbe sorprendere. Che non soltanto, a dispetto di quella concessione, lo scrittore ribadisce, nell'opuscolo citato, taluno (fra le più provocanti delle sue affermaziotai: ripetendo non esistere per lui niente idi più nojoso della logica pura, della psicologia scientifica, dell'etica e dell'estetica come comunemente si intendono (pag. 4) ; iehiave della storia essere il destino (pag. 6) ; i fatti importare più delle verità (pagina 7) anzi nella vita non esistere verità ma solo fatti (pag. 13) ; il progresso e il fine dell'uman genere rappresentare un mero parto della fantasia dei farmacisti progressaj occidentali (pag. 14) ; e soprattutto «—ciò di cui tuttavia si potrebbe anche fargli merito — assalendo senza pietà i propri contemporanei tedeschi, nata solo per ciarlare, verseggiare e sognare (pag. 15),'per fondar scuole filosofiche che non servono ne alla vita ne all'anima ma solo a scrivere 'dissertazioni da citarsi in altre dissertaziòtai, per sprecare il tempo in « movimenti » Snutili e senza virilità, e per stampare, dipingere e imbastire « progetti » in maggior copia che non tutti gli altri -noooli del monido presi insieme fiap-g. 17-18): ma, quasciò non bastasse, finisce, anche quando mette dell'acqua nel proprio vino, con l'aggravare, in sostanza, i difetti della sua tesi più di quanto nca se wutpuiA la goafità. * Ohe senso ha infatti l'invocare oggi una prosa tedesca, un romanzo tedesco, una musica tedesca <r paragonabile per fuoco, per melodia, per quadratura alla Carmen (sic) dopo avere ieri affermato che l'ar- te del vecchio Occidente ha detto la sua ul tima parola? Che senso l'augurarsi oggi che un grande uomo di Stato rediga dei commentari di Tucidide, di Polibio e di Sallustio ad uso della gioventù, dopo aver ieri rampognato i tedeschi per la loro smania ingenua di cercar modelli di vita nel passato, quando l'idea stessa di modello costituisce un'assurdità? Alle contraddizioni profonde che ne. infirmano la dottrina, nessuna nuova sanatoria arrecano gli sdegni e le protesto di Osvaldo Spengler. Richiamandosi a idee leibniziane, goethiane ed hegeliano, egli si fa forte del principio àe\V E inmalig-W ir cidi che,, ossia dell'irripetibilità del reale, per imporro a una data civiltà — diciamo civiltà invece di coltura, per semplificare — un andamento rigorosamente parabolico e assimilare le fasi della medesima alla successione senza ritorni che distinguo i momenti della vita di un organismo vivente. Ma per qual motivo cotesto canone dell'irripetibilità, decisivo nell'ambito di una stessa civiltà, perdo poi ogni valoro quando si pigliano in esame civiltà diverse, delle quali ci si asserisce invece che ciascuna è l'esatta ripetizione dell'altra? In virtù di quali argomenti si pretende indurci a prestar fede alle così detto omologie fra una civiltà A e una civiltà B quando ci si vieta poi di rilevare analogie fra due momenti qualsiasi della prima o due momenti qualsiasi della seconda: o, in altri termini, con qual diritto identificare i socialisti moderni agli stoici antichi quando non si ammette la legittimità di un raffronto, poniamo, fra la rivoluzione russa e la rivoluzione francese? Lo Spengler suppone di aver fatto scoperte sbalorditive rintracciando somiglianze tra eventi europei degli ultimi secoli ed eventi, europei o no, dei sscoli più lontani. Ma, a parte il rimprovero'mossogli da O. Th. Schulz, in un altro opuscolo di recente pubblicazione, Ber Sinn dcr Antilte u. Spengler!; nette Lehre, di aver fondato la propria tesi su materiale storico « letteralmente frivolo », noi vorremmo chiedergli: E quante altro somiglianze non sarebbero rintracciabili, o non furono rintracciate, tra eventi di una medesima e sola epoca? L'applicaziono delle leggi della biologia al decorso dello civiltà non è giustificata se non da malferme apparenze. Per attuarla, l'autore della Fine dell'Occidente ha dovuto premettere come condizione che tali civiltà — egli no conta otto, non una di niù nè una di meno — sieno non soltanto eguali fra loro ma assolutamente parallele e indipendenti, che se non lo fossero cesserebbero di essere eguali ner confondersi in una cosa sola, o meglio per tramutarsi in mostri biologici paragonabili ai fratelli s:amesi. Ora chi oserebbe sostenere davvero che le civiltà del mondo, le quali sono anzitutto successive, non sbocchino luna nell'altra e non costituiscano precisamente, tutte insieme, quella serie unica di fatti, sia pure interrotta da stasi o depressioni, che lo Spengler si sforza di negare? L'interindipendenza delle civiltà può. tutt'al più, aver senso se storicamente presa, voglio dire se interpretata o.ualo conseguenza di una difficoltà di contatti tra i centri umani tanto più grande quanto più si risale il corso dei tempi. Ma corno pensarla eterna nell'avvenire, di fronte allo sviluppo vertiginoso dello comunicazioni materiali, economiche e spirituali di cui c teatro l'intero globo nell'epoca in cui viviamo? Francamente, assai più persuasivi e realistici dei teoremi spengleriani mi sembrano, nella loro moderazione, i vecchi corsi e ricorsi del nostro Vico. Ma ecco appunto qui un altro torto del tedesco: la poca novità di quel che la sua opera contiene di ragionevole e di accettabile. L'idea del metodo comparativo applicate all'intelligenza della storia risale, per non uscire dai confini della Germania, almeuo all'Herder e all'Hegel e trovò già discreto sviluppo nell'opera dei Banke, dei Lamprecht, dei Brelsi" • mentre irei campo artistico se no avvalsero di proposito, nella prima metà dell'Ottocento, lo svizzero Giacomo Burckhardt, ad avviso del qualo tutte lo epoche architettoniche presenterebbero, sul finire, i medesimi sintomi stilistici • e, più recentemente, Enrico Wblfilin nei suoi Fondomenti di. storia dell'Arte, i viennesi F. Bickhoff e A. Rieri in lavori cho risalgono ai primissimi anni del Novecento,'l'archeologo ginevrino V. Déonna nei suoi tre tomi su Les lois et le» rhytmes dans l'Art, T. Schreiber, il quale già nel 1801 parlava di barorco ellenico e. di barocco romano, lo Strzygowski, una delle cui tesi favorite, "quella dell'esagerato n Romicentrismo » degli storici d'arte tedeschi, si direbbe precorrere alla lettera una capitalo tesi spengleriana : e chi sa quanti me no sfuggono ! Senza dire che l'abbondanza dei precedenti sarebbe, ancora, malo da poco. Il peggio si c che a tutti costoro la validità delle analogie scoperto fra epoca ed epoca appare limitata e soggetta a cauzione: per lo Spengler essa c indiscutibile e senza confini. Se una novità gli dobbiamo, ò l'esagerazione. E, caso caratteristico, alla bn<=^ 'lì un'oncra nella quale tanta parte ha l'ira contro la lue metafìsica corrompente il genio della Germania, quel che troviamo di più essenziale è precisamente la passiono di architettare sistemi, di riordinare il mondo secondo idee preconcetto. Questo antitedesco non potrebbe essere "iù tedesco ! Lo dicono relativista : quale abuso delle parole! Egli stesso sente, d'altronde, quanto poco la qualifica gli si addica-, allorché nell'opuscolo citato avverte essere il relativismo storico, secondo egli lo intende, nulla più che una a affermazione dell'idea di Fato ». In realtà, il suo sistema non nofcrebbe condurre niù direttamente all'assoluto. Esso nega l'esistenza di leggi regolanti il corso dei fatti umani o si rifiuta ad ammettere la possibilità che si capisca qualcosa nella storia mercè il lume della ragione. Ma dovo non esiste legge, dove non ha forza la ragione, la relatività è esclusa — sarebbe ormai tempo di ricordarsene. Lo ideo generali rappresentano nell'economia del pensiero la sola moneta a corso legale che permetta relazioni fra gli uomini e fra Io cose. L'istinto o l'intuizione (Ticfenerlebnis) ai cui lumi io Spengler pretende affidarsi per risolvere i problemi del mondo sono, al contrario, monoli» ohe ognuno batte per prpprio conto e cho solo eccezionalmente può valere quae mezzo di scambio. Lungi dall'essere elativista, quest'uomo è un mistico, perchè è un affamato di assoluto: rientra, vae a dire, nella categoria di quei profeti della veggenza e della divinazione dirette, autonome, trascendenti cui tanti filosofi di meda, anzi tutti i filosofi di moda della Germania contemporanea appartengono; e invano in queste sue nuove pagine polemi- cho, quasi a respingere il sospetto di com- promettenti parentele, egli spezza una sdenosa lancia contro coloro che « almanacano di cultura dell'/o a base di teosofia e di culto platonico del Maestro » (Leggi Steiner), o « di religione personal'» a base i precetti buddistici » (leggi Keyserling). i di Stato a base di erotico » (leggi _Bluhcr). Persuaso di lottare per convertire i propri connazionali al freddo, sagace e quadro ncsitivismo, il positivismo degli omini aratici e della gente che sa stare l mondo, l'autore dell' Untergang des Abendlan-des offre ai tedeschi una nuova agiono e un nuovo modo di misticismo nti-intellettua-lista. Ma che altro attendersi da un filosofo le cui idee madri, anor più che una resurrezione di Hegel, sono l'eco e l'applicazione del divenire e del'intuizionismo bergsoniani? Soltanto che, a fianco di quegli altri mitici e anti-intellettualisti, di quegli altri njrroni del bergsonismo, Lo Snengler deve necessariamente finire con l'avere la peg¬ gio: perchè è pessimista, lui, e i primi sono ottimisti. La Germania, per vivere, ha bisogno di fedo, di ottimismo. Se si rifa mistica- e romantica, è proprio por conseguire quella riconciliazione dell'anima con la materia, dello spirito contemplante con la vita operante che aveva perduto di visto durante la crisi materialista del secondo Ottocento e che da lui, dallo Spengler, e invece ogtn proclamata vana e impossibile. Perchè impossibile? In un'epoca in cui la- fisica, la filosofìa, le scienze storiche, giuridiche, economiche, l'estetica — protesta, in un altro opuscolo, un professore dell'Università di Bonn — si dimostrano così fiorenti e tanto fanno per divinizzare la vite, abbandonarsi al fatalismo sarebbe follia (O. Selz, Oswald Spengler u. d. intuitive Mr'hode in d. Geschichtforschtung, Bonn, Cohen, 1922, pag. 25) ! Certo — soggiunge R. Drill in un articolo della Frankfurter Ztg. — tutto può accadere: anche il verificarsi delle profezie spengleriane circa l'avvento di un nuovo cesarismo o di un nuovo fellahismo! Ma non è detto che debba, necessario monte essere così. Quel che avverrà dipenderà soltanto da noi. Se noi vorremo, l'Europa di domani potrà essere migliore di quel che non sia mai stata... Lo spirito tedesco sussulta indomito nella fossa dcll'ieri, come Damiele nella fossa dei leoni, all'immenso brivido dell'eterna speranza. CONCETTO PETTINATO