Carlo Alberto e Gioberti

Carlo Alberto e Gioberti Carlo Alberto e Gioberti Oggi sono di moda più che mai le Antologie, le pagine scelte, le pagine più belle di autori insigni. E' un genere di collezio ni, che a parto le esigenze scolastiche risponde ai bisogni di un'epoca affaccendata e febbrile, smaniosa di conoscere da vicino i grandi scrittori, ma incapace di trovare il tempo e la calma indispensabili per studiarli sul serio. Deve quindi forzatamen te ricorrere alle pillole di facile digestione, agli estratti Liebig, agli spezzatini con ver dura di critica. Per pochi, come per il Gioberti, la necessità d'una scelta s'impone. Se la lettura integrale del Rinnovamento, del Primato è doverosa in Italia ad ogni persona colta, come pretenderò altrettanto per una sterminata produzione, o destinata ai puri filosofi, o ingombra di ornai antiquato schermaglie polemiche? L'Antologia del Menzio giova ottimamente a una « delibazione » giobertiaua. Innamorato del suo maestro ed autore, non ha saputo soltanto dagli scritti editi ed inediti del grande filosofo trarrò il fior fiore, cioè le pagine più rappresentative del euo pensiero, della sua superba eloquenza, ma ha anche organicamente ricollegato lo membra, disjccta col dare di ciascun'opera, della sua struttura, del suo contenuto estesi o perspicui riassunti. Un succoso proemio discùte e coordina i risultati più certi della biografia, sulla base fondamentale de' Ricordi del Massari, completati e cori-etti co' migliori studi del Solmi, del Gentile, del Clan, sopratutto del Balsamo-Crivelli, vigile custode e sapiente illustratore de' carteggi della Civica di iorino. Il Menzio nota giustamente che nella biografia del Gioberti troppe sono ancora le lacune da colmare, i punti da chiarire: primissimo quello de' rapporti personali con Carlo Alberto, improntati (malgrado effimere, insincere riconciliazioni) a pertinace sfiducia, ad insormontabile avversione. Del dissidio funesto, che spiega in tanta parte i disinganni, i disastri del "48-'49, è da rovesciare esclusivamente su Carlo Alberto la colpa, come parrebbo dal relativo capitolo del Rinnovamento? E' un quesito arduo a risolvere, su cui presumibilmente luce piena potrà scaturire da fonti ora chiuse: l'Archivio particolare di Casa reale (a frammenti, usufruito dal Manno), gli archivi privati Rovel, Solaro della Margherita (quest'ultimo, mi dicono, ricchissimo, \posseduto da' Lovera di Maria). Comunque, abbiamo di già esuberanti elementi per una spregiudicata disamina, che, aliena del pari da panegirici o diatribe, metta imparzialmente di fronte Monarca e filosofo nella loro realtà storica e psicologica. *** Orfano d'un padre, finito miseramente, non si sa bene se fallito o in prigione, l'adolescente Gioberti batteva alle porte dell'avvenire, senza mezzi e con un nome macchiato, che in origine si scriveva alla' francese: " Giobert. Là mamma, Marianna Capra, donna di soave beltà, d'alti sensi e squisita coltura, per educarlo, per superare le angustie in cui versavano entrambi, invocò l'aiuto delle due massime forze d'allora in Piemonte: la Corte e la Chiesa-; e l'ebbe generoso, cordiale, se non in tutto •'benefico, perchè il precoce giovinetto, meravigliosamente dotato, potè istruirsi, dissetare la sua insaziata bramosìa di sapere, ma a prezzo della sua libertà, e contraendo inevitabili deformazioni del suo carattere orgoglioso, del suo spirito indipendente e ribelle. Sdegnoso d'ogni servitù elio gli Espirava fremiti alficriani, dovette piegarsi alle esigenze della sua condizione di chierico di camera del Re, prima-, di cappellano di Corto poi ; avendo, senza la necessaria vocazione, per le suggestioni materne, abbracciato il sacerdozio. L'esser doppiamente aggiogato al trono e all'altare, vincolato dalla gratitudine di beneficato, dall'assunto ministero, gli creava una situazione delicatissima, che senza spregio manifesto, del vero non può dirsi Ifosso dal Gioberti degnamente risolta. Padronissimo di gettare allo ortiche il collare e disfarsi dell'antica livrea, che lo sot\ focava: ma il cospirare non gli era. lecito! Oggi non e possibile contestare che, se non formalmente aggregato alla G. Italia, era con lei foto cordi: c ne secondava i propositi. Il Menzio ha riprodotto la lettera di Gioberti-Demofilo ai compilatori del giornale mazziniano, tutta riboccante di copì iperbolici oncomi da destar stupore che si convertisse poi in acerbo denigratore chi aveva spontaneo affermato solennemc.ite il vivo desiderio di « morire » con que' sovversivi f per la comun patria ». Prescindiamo puro da non so che società secreta in cui il Gioberti ammise misteriosamente d'aver avuto a compagno il Da- j bormida. Era di stampo verisimilr.iente massonico, come massonici catechismi furon confiscati fra le carte dell'Oberti. processato insieme al « Giobert ». ; Che questi facesse parte di conventicole, ■ dove s'adescavano tenentini o soldati per incitarli a leggere la G. Italia e agire in j conseguenza al momento buono, ò irrefragabilmento provato dal processo Scovazzi. iNo risulta cho non la scia rivista marsigliese veniva offerta in pascolo a quelle reclute, sì anche uno dei più virulenti libelli contro Carlo Alberto — L'IIomme. rovr/e del Veyrat, e precisamente un numero dedicato al « traditore del '21 » per coprirlo I di fango, proclamarlo meritevole di ghigliot- ! tina, augurando a tutti i suoi discendenti I esilio e miseria. Il fuggiasco Scovazzi fu condannato a ! morte in contumacia: il Gioberti detenuto! era esposto a lunga prigionia, se non a ! capitalo sentenza. Carlo Alberto troncò il processo e fu atto inoppugnabile di clemenza, verso un « ingrato ». Non si capisce, quindi, l'egreferenza del Gioberti contro u He, che aveva semplicemente aderito alle istanze, « umiliategli » dall'ex-cappellano inquisito, di venir prosciolto dal carcere senza espletare l'incoato giudizio. In una lettera conservataci del Lescareno al Governatore di Torino Eevel è detto appunto che S. M.tà accoglieva la profferta del Gioberti di votarsi all'esilio, di non mai più rientrare in Piemonte se non col placet sovrano, sotto comminatoria di decadenza dalla grazia ottenuta. « Alma sdegnosa! », esclama il Menzio, e sinceramente è un'ammirazione fuori di luogo. Corre anzi ovvio al pensiero un raffronto, tutt'altro che vantaggioso pel Gioberti, fra lui e Giuseppe Mazzini. Il ligure agitatore, nutrito di principii repubblicani nell'ambiente domestico e cittadino, non aveva la menoma obbligazione verso la dinastia di Savoia: processato per Carbonaro e prosciolto da giudici onorandi, preferì l'esilio alle condizioni poliziesche impostegli, sotto Carlo Felice, di rinunciare al soggiorno nella sua Genova, seppellendosi in qualche oscuro villaggio dello Stato Sardo. Gioberti ha invece l'aspetto del beneficato sconoscente, del colpevole confesso che espatria per sottrarsi a maggiore*meritato castigo. E' vano sofisticare su fatti evidenti : i rapporti tra Carlo Alberto e Gioberti furono impostati così ; solo una grande elevatezza morale Itine inde poteva sanare un tal difetto d'origine. m . * * E invece che cosa vediamo? Il Gioberti si creò di suo capo una leggenda di vittima, che trovò la sua consacrazione finale nel capitolo già ricordato del Rinnovamento, come fosse oro di coppella! Sin da' primi momenti della chiesta « deportazione » non rifinì di protestare contro un'iniqua procedura che l'avrebbe percosso innQccnte. Dalle sue»recriminazioni eccettuava il Re, ma poiché questi dominava assoluto non poteva che esser lui il solo bersaglio colpito dagli strali dell'esule. Il fiero critico delle cospirazioni mazziniane non sentì mai l'impulso sincero di una pubblica, esplicita ammenda di quelTerrore giovanile, aggravato in lui da peculiari circostanze. Vi aggiunse anzi l'acredine del preteso perseguitato dallo malignità del Governo sardo. Ma gli fu veramente impedito da questo di rifarsi un avvenire in Italia? Si attribuiscono al Solaro della Margherita losche manovre perche il Gioberti non ottenesse la cattedra di filosofia morale ne a Roma nè a Pisa, dove i voti di ammiratori sospetti lo chiamavano; o ammenoché le prove dell'asserito fatto non saltino fuori dall'archivio Solaro, per gli atti dell'Archivio di Stato di Torino lo si può escludere recisamente. Ho passato tutta la corrispondenza del marchese Carrega, legato sardo in Toscana: interessantissima, perchè alla baraonda « lieta e gioconda » di Pisa dedicava innumerevoli dispacci, non risparmiandoci nò una gazzarra studentesca, ne uno scappuccio professorale. Dell'incidente giobertiano ne vrrbum quidem : appare al contrario cho l'ambiente universitario torbidissimo nel 1842-45 fosse poco propizio a siffatta chiamata. Erano frequenti gli episodi di violenze tra docenti e discepoli. Più d'un professore in- sospetto di reazionario veniva insultato, battuto, perfino assaltato in sua casa e lasciato mozzo morto. Professori in voce di liberali si segnalavano d'altro canto per avventure boccaccesche, oggetto do' più allegri pettegolezzi. Che ci fosse una gran volontà di attirare al turbolento Ateneo l'austero Gioberti è assai problematico: il Vieusseux, p. e., in una letterina edita dal Gentile confessava francamente che non avrebbe visto a Pisa, senza paura per la loro teologia, nò Rosmini, nè Gioberti. . • Comunque nel carteggio contemporaneo del Legato sardo a Roma si parla molto e del Rosmini e del Gioberti, con marcatissima simpatia pel secondo: e della sua probabile nomina a Pisa (disp. 31 luglio 1843) il Broglia informa, senza scandalizzarsene punto, scrivendo proprio al... Solaro della Margherita; al quale frattanto il Grotti da Costigliele, ambasciatoro nel Belgio, mandava interessantissimi ragguagli, editi dal Balsamo-Crivelli, nel Carteggio Massari, sulla vita irreprensibile, ammiranda di studi e di pietà che il filosofo conduceva a Bruxelles. Sarebbe dunque necessario che i biografi giobertiani, imitando il riserbo del Massari, documentassero meglio quello accuse di persecuzione, fidandosi meno delle declamazioni ab irato dell'impulsivo, impressionabile profugo. *"* Nel 1843 Carlo Alberto, commosso dal Primato, che rivestiva di sfolgorante, travolgente eloquenza lo più recondite aspirazioni politico-religiose dell'anima sua, assegnò al Gioberti una pensione di 1500 lire: attestaziono decorosa e munifica di riconciliazione senza riserve, che l'altro declinò, passando l'elargiziono al Cotcolengo. Per quanto ingegnosa e felice fosse la forma del rifiuto, non cessava questo di ferire la suscettività del Re, che aveva steso nobilmente la mano al ribelle del '33. L'idillio appena intcssuto col Primato fu bruscamente spezzato da' Prolegomeni, per l'attacco fierissimo a' Gesuiti: verso i quali era altrettanto radicata la predilezione del Monarca, quant'antica l'avversione del Gioberti. Già all'atto del suo arresto nel maggio '33 gli era stata sequestrata una parodia satirica del Veni Creator Spiritus, che il Solmi ha reso incomprensibile con uno sgraziato errore di stampa. Dove è detto: Ignatiique filios... visita, ha letto ignotosque; e il succo della parodia se ne va all'aria', poiché sta precisamente nel mettere in derisione i Lojoliti, radunati per eleggere il Generale dell'Ordine. Il Re, lungi dal dividere i furori antigesuitici del Gioberti aveva por molti do' Padri affetto e riconoscenza vivissimi, dacché^ secondo le tradizioni della Compagnia, il P. Grassi del Collegio gesuitico di Torino s'era adoprato efficacissimamente nel riamicare il Principe di Carignano con Carlo Felice e nel persuader questo a desistero dalle suo velleità di precludere la via del trono al « Carbonaro del '21 ». Nella lotta accanita pertanto, impegnata tra Gioberti e i gesuiti, il regio favore fu tutto per gli ultimi, di libera elezione, senza che lo infervorasse il Solaro della Margherita. Al reazionario ministro s'è di nuovo lanciata l'accusr di surrettizi maneggi per carpire via via dalla Tipografia Buonamici, di Losanna, corrompendo con deuaro gli stampatori, i fogli del Gesuita moderno. Si è addirittura specificato, dicendo desunti que' dati dai registri segreti delle speso del Ministero degli Esteri, il come e il quando avrebbe il Sclaro erogato quei trenta denari di Giuda. In Archivio abbiamo bensì quei registri di speso segrete (anche por il breve periodo del Ministero Gioberti), ma non ve assolutamente nel '47 nes^ suna uagpstazione riferentesi al Gesuita j moderno. Ho visto invece un dispaccio del Crotfci (allora inviato a Losanna, donde in-viava grandi dispacci sulle vertenze interne gravissime della Svizzera) che prometto di spedire semplicemente al Solaro sei copie dell'opera, appena avesse visto la luce. In realtà, secondo un documento del P. Monti, storico della Compagnia nel Piemonte (V, 43), il Solaro, sulla fine del giugno '47, quando il Gesuita moderno era già puh- blicato, scusavasi col P. Bresciani che non gli fosse ancora « riuscito di averlo »!... Ciò non toglie per altro cho l'atteggia- mento di Carlo Alberto fosse de' più ostili. Non si contentò di sborsare una bella som- ma per la stampa della confutaziono del P. Pellico a' Prolegomeni: volle addirit-tura spendere i più zelanti offici col Papa, perchè mettesse all'Indice le catilinarie del polemista-filosofo. Pio IX, strano a dirsi, nicchiò: egli aveva, alla vigilia di diventar Papa, applaudito alla rispo- sta. del P. Curci, con parole di commiaerazione per gli errori del Gioberti (lett. 15 aprile '46, citata dal P. Monti): ma aMons. Ghilardi vescovo di Mondovl, dele- gato da Carlo Alberto a sollecitare la for- malo condanna, risposo evasivamente, prodigando all'Ordine combattuto le consuete manifestazioni d'elogio. Andò più oltre col Legato sardo, march. Domenico Pareto: si disse dolentissimo degli attacchi a' figli di Lojola, e ben deciso di non seguir mai l'esempio di Clemente XIV, ma non tacque che gH spiaoeva di non venir secondato da' buoni Padri in quanto egli credeva vantaggioso alla lor causa medesima, e dichiarò d'aver negativamente risposto a chi gli chiedeva un'enunciazione solenno, un'allocuzione a favore do' perseguitati (dicembre 1847). In questo disposizioni d'animo di Carlo Alberto si apriva il '48, cho riportava glorioso e trionfante in Italia, come apparente dominatore della situazione, il Gioberti — a sua volta cesi mal prevenuto contro il Re, da scrivere al Vieusseux : esser convinzione generale che il transfuga del '21 avrebbe di nuovo slealmente fallito alle communi spe ranze. Il contatto diretto avrebbe potuto cli minare prevenzioni e diffidenze, se Gioberti fosse stato dotato di fascino personale, di attitudini pratiche: ma la lunga solitu dine di pensatore, di insegnante, di scrittore tutto assorto nello suo creazioni, non era la preparazione più adatta per gettarsi nella vita pubblica. Gioberti cimentatosi co' fatti conformò la verità dell'adagio: semel abbas semper abbas. La legittima co scienza del valor suo degenerava in orgoglio pontificalo — intollerante d'opposizioni — che nè attirava simpatie, nè agevolava espansioni. Sentiva di aver diritto al stt premo pesto, alla Fiìhrende S'ellung; ep puro con infingimenti di prima donna ostentava di volersi tenere in disparte. Al ministro Ricci, che gli communicava con ditirambica lettera la nomina di senatore, replicava declinandola per ragioni di salute (andava soggetto a forti emicranie, effettivamente). Oh, come si poteva supporre che il pensatore, che si professava inadatto allo pacate discussioni senatoriali, amasse tuffarsi nel turbine caotico d'una nuova, pur me' nata, Camera di deputati? Attraversata l'Italia fra deliranti acclamazioni, giungeva nel maggio '48 a Roma, quando Pio IX aveva pronunciato la famosa allocuzione del 29 aprile —■ doccia fredda sngli entusiasmi italiani —: e negli abboccamenti col Pontefice s'appalesò parimenti l'inefficacia dell'influsso personale immediato dello scrittore potente. Pio IX peir confessione del Gioberti stesso al Legato sardo Pareto non gli parlò che di « questioni religioso »: eufemismo, sotto cui dobbiamo intendere cho si trattò fra loro del Gesuita moderno! Secondo il P. Monti, il canonico Fieramonti, segretario per le lettere latine, sentì immediatamente dal Papa aver Gioberti promesso di « ritrattare » e in iscritto <r tutto ciò che dispiaceva » a Sua Santità, che non osava per altro sperare nell'adempimento di quell'impegno. E' un'asserzióne, suffragata da una lettera di Pio TX a. Carlo Alberto: il quale, dolendosi della mancata proibizione del Gesuita moderno esponeva in una lunga lettera francese l'abbattimento a cui era in preda dopo l'armistizio Sa.lasco, mostrandosi già disposto a deporro una. corona, sotto il cui peso si sentiva barcollare. Il Papa gli rispondeva il primo ottobre '48, pregandolo a pazientare, ad armarsi di fiducia e coraggio per fronteggiare i tempi gravi, che esigevano tutta la sua forza ed esperienza. Quanto al Gioberti, designato dal Re come corruttore del clero, il Papa significava d'avergli consegnato in propria mano le osservazioni e le censure apposte al suo Gesuita moderno : augurando, benché con poca fiducia, che producessero un buon effetto sul « famigerato autore dell'opera >. Gioberti stava per assumere la Presidenza del Consiglio, e nulla era più lontano dalle sue intenzioni, dalla possibilità di que' momenti tragici, cho prestarsi a palinodie, le quali l'avrebbero precipitato nel baratro dell'impopolarità più feroce. Ma perchè lasciare anche quel barlume di speranza al Pontefice, col quale, secondo una testimonianza del Villamarina, avrebbe pur anco tenuto parola della convenienza di frenare il tribunizio linguaggio del P. Gavazzi, del P. Ugo Bassi, rimandandoli alla vita silenziosa e contemplativa dei loro conventi? A Carlo Alberto non era possibile orientarsi nella psicologia di quell'uomo, a cui tutti davano per antonomasia l'appellativo di a Sommo», non senza una punta d'ironia, perchè il vero monumento della sua grandezza intellettuale in politica, il Rinnovamento, era ancora di là da venire, e saltavano invece allora agli occhi degli osservatori superficiali le sole stridenti contradizw»ni della sua individualità. Prova ne sia una lettera del Paleocapa, spirito positivo, equilibrato, cho venuto a contatto col Gioberti nel luglio '48 per partecipare insieme a un Gabinetto, scappò via inorridito esclamando: cortili è anche peggioro del Tommaseo. Che il Signore ce no liberi e lo riacpomrwnti in esilio, perchè qui non potrebbe che accrescere il cli.aos. Conclusione un po' spiccia, ma tutt'altro cho irrazionale davanti a una così complessa natura vulcanica in piena eruzione. I contemporanei non potevano non vedere nel Gioberti le discordanze, acutamente segna¬ late dal Mazzini, tra il filosofo e l'opportunista; tra il nemico de' gesuiti e il prete sempre un po' tortuoso e strisciante; tra l'uomo di Stato in potenza e il politico impacciato, destituito di vere qualità di realizzatore; tra l'ortodosso neo-guelfo e l'ideologo elio trovava modo, per dirla con l'Anzillotti, di conciliare il Catechismo e il Panteismo, e invitava sorridendo il Pallavicino a non preoccuparsi dell'inferno, perchè ci sarebbo l'amnistia. Poteva Carlo Alberto, religioso sino alla superstizione, e dominato da' ricordi indelebili del '33, commettere fiducioso l'avvrniro del regno, della Dinastia ad una guida... cho in fondo non lo rassicurava niente di più del Mazzini, lealissimo almeno nella sua guerra alla Monarchia; ad un orgoglioso, cho non possedeva ne abilità pratica, nò duttilità ammaliante per cattivare gli animi, trascinare gl'irresoluti, i reluttonti fra quella infernale bufera? Gioberti riprese nel Rinnovamento il vero ufficio che competeva alla sua mente sovrana: recò all'Italia, inestimabili benefici col segnarle la "via della riscossa ; ma avrebbo dato più risalto alla sua nobiltà di pensatore confessando schiettamente lo sue, deficienze, i suoi errori come uomo d'azione, anziché decretarsi una gratuita corona d'infallibilità. ALESSANDRO LUZIO. V GIOBERTI1, -Pagine scelte eri te <5 inedite», con Privazione e note di P. A. MEX7.IO. Torino. Pa- . Tarla, io?:. _ p. ax.essax.dro .monti, « La Compagnia di Gesù nel territorio della provincia torinese. Chieri, Stamperia Gliirardi, 19-30. (voi. V).