Le meraviglie di Delhi, capitale imperiale

Le meraviglie di Delhi, capitale imperialeLe meraviglie di Delhi, capitale imperiale gDelhi, capitale imperiale DELHI, luglio, - Sono armate a Delhi nei giorni del Baiaram musulmano, nei giorni cioè del più fanatico tripudio doi seguaci indiani di Maometto. L'islamismo indiano è profonJlamente diverso da quello occidentale, arapo, egiziano, siriaco, anatolico o turco. E' fl vero, quello ohe mantiene il solco insuperabile con gli uomini che musulmani non sono, il fanatico, l'assoluto, nudo come la luce saettante del cielo d'India, irreconciliabile con: l'occidente. E' desso in fondo l'agitatore principale dell'India, pronte a profittare anche dei movimenti delle masse non musulmane e che riesce ad integrarsi in un'idea concreta, positiva, di liberazione dal dominatore. E' il' musulmanesimo indiano la sorgente incorruttibile dell'idea islamitica mondiale ed è contro di esso essenzialmente che l'Inghilterra deve lottare. Quando si guarda ai sessanta e più milioni di coranici indiani e si considerano le condizioni degli islamismi 'di là dai mari o delle montagne indiani, non si può non pensare che se i maomettani sono destinati ad avere ancora nel mondo un dominio, una missione, un compito, sono questi.delle Indie ohe rappresenteranno la parte principale. E a Delhi si vede ^veramente un aspetto dell'India rivohizió■ maria, che non è ne braminica nè buddista ne indù e nemmeno fatta di genti ohe dalla nostra;oiyiltà attinsero la suggestione alla ribellione, ma islamitica ed essenzialmente afgana. Ed è qui, nella capitale dell'Impero, che risalta l'importanza dell'Emirato asiatico centrale, resosi'indipendente da poco più di due anni, e già.così preoccupante da costringere l'Inghilterra a mantenere verso le frontiere nord-occi'dentali una gran parte del suo dispendiosissimo esercito indiano. La ciclopica moschea Sono dunque i giorni del Bairam. L'enorme moschea di Jama costruita due secoli e mezzo or sono dallo stesso Scià Ja'han che ©levò il Taji di Agra, rigurgita Idi popolo. E' un monumento la moschea idi Delhi ohe una volta veduto, rimane scolpito nella. memoria, indimenticabile. Nessun avvicinamento con le moschee d'occidente, nessun adattamento o mescolanza con i templi d'altre religioni. Nessuna ispirazione presa. da fedi diverse da quella coranica.. Una montagna dì pietra sanguigna, elevata unicamente per affermare ohe Flslam sarà il padrone delle Indie. A Costantinopoli, a Gerusalemme, al Cairo, le moschee hanno un non so che di chiesastico, traducono nei loro aspetti l'adattamento con il cristianesimo, l'origine comune delle due credenze monoteistiche, dicono infine che il minareto è figlio del campanile o della torre, ohe la cupola può coprire '51 mìi'hab come l'altare. Quante moschee e chiese, islamismo e cristianesimo, si sono scambiati nel sangue? La moschea di Jama è viceversa un tempio fatto unicamente per l'Islam : se questo scomparisse dalla terra, l'edificio a tutto potrebbe servire fuorché ad accogliervi i simboli e i riti di una altra credenza. Scalinate immense, iperboliche, sui gradini delle quali può assidersi jun popolo intero, adducono dal basso all'altissima spianata interna, ampia così a a potervi, contenere centomila persone. E' un'aecesa verso il cielo quella che si compie salendo all'entrata principale che nel passato non s'apriva che per f Gran Mogol. Dove non v'è scalinata,. muraglie di pietra jrossa, muraglie da fortezza, aperte in alto al livello della spianata da una fila di arcate. Sicché il tempio risulta un'enorme costruzione pensile, un-titanico altare, sul quale il sole sfolgora. Avete raggiunto la spianata, dalla quale, attraverso le arcate, scorgete le tre metropoli da cui Delhi è formata: l'antica, grigia, lontana, costellata da ciuffi di nalme fra le rovine, l'attuale a metà nascosta da boschi e da giardini e la Delhi di doma-, ni, lontana, accecante nel biancore delle costruzioni. Al centro'dèlia spianata una portentosa fontana per le abluzioni e, in direzione idi occidente, Una serie frontale di enormi nicchie scavate in un altissimo portale di marmo bianco, sormontato da tre cupole mastodontiche e fiancheggiato da elevatissimi minareti. E tutto è, aperto al sole, e i fedeli dagli enormi turbanti che s'avanzano verso le nicohie pare che vadano a prostrarsi e ad adorare il sole, poiché esso è il padrone sfolgorante del tempio. Non altrimenti dovevano pregare i Pandù, i a- Figli del Sole », quando erano padroni di Delhi e dì un impero considerato il più potente dell'India e Delhi contava due milioni di abitanti ed aveva le strade lastricate d'oro e irrigate da ruscelli d'acqua profumati. Invece dei Pandù, i musulmani indiani d'oggi venuti da ogni parte del Tengiab, del Ragiputana del Nepal, del OEfaeoemin, dell'Himalaya, di Gwabiar, delire Provincie. Unite e in numero tale che le. scale, dall'arto, sembravano versare sulla ^ittà cascate d'umanità che scaturissero dalla spianata, dove altre decine-di migliaia di .bianchi turbanti, s'agitavano attorno ai loro vasi d'ottone colmi d'acqua recala dalla fontana da donne ignudo sino ali», ar&bara e cariche di tintinnanti monili d'argènto. Era il meriggio, il pieno meriggio, e verso le nicchie, schiere fitte ed allineate di oranti compivano ritmici, in un assieme da esercizi militari, le genuflessioni del rito. La folla guardava ostilmente l'intruso, bianco, confuso fra di essa che sfiorava i torsi delle portatrici d'acqua, ma io straniero era preceduto da*una guida poco comune, un parente dell'Emiro di Kabul il quale fendendo la calca mormorava una parola d'ordine che apriva il varco e quotava le avversioni. Le due Delhi Intanto, giù in basso, la città indigena, nei suoi divisi quartieri indù e musulmani viveva la sua vita intensa ed inafferabile di tutti i giorni. Animatissimo era il mercati» delle perle, aperto il palazzo dell'avorio, rigurgitante il bazar indù, con i suoi marcanti dalla fronte dipinta dei segni rossi delia loro casta, coi suoi fruttaioli armati di pèrtiche per scacciare i nembi di corvi, di tortore, dì uccelli d'ogni specole e colorer che, abusando dell'impunità che la religione offre loro, s'avventurano a divorare frutta e granaglie. Animali e veicoli d'ogni genere fendevano la folla e portantine sontuose sorrette da ooolies giganteschi e altre stranissime, piccoline, fatf- da una spaoi» «Vi piatte quadrate di bilancia, sospeso per i quattro angoli ad un palo portato a spalla'da due uomini. Accovacciata sul piatto, una donna, coperta, stravelata, ridotta ad un mucchio oscillante di mussola bianca. Nelle strade più larghe, passaggio e scampanellio di trams elettrici; che solo le più basse caste ' adoprano, veicoli per resetti dove si accalcano gli uomini dai mestieri più umili o ad occhi indiani più ignobili, casto che l'introduzione della civiltà occidentale medesima ha creato, sicché in India, dove in generale il mestiere caratterizza la casta, si verifica lo strano fenomeno che le fognature, lo condutture del gas, gli impianti elettrici, i «closet» nelle case, abbassano ancor più il valore sociale di innumeri individui. Delhi, per quasi tre quarti dell'anno è disertata dàl'Vicerè, dal Governo, dal Parlamento, dagli europei tutti che fuggono la Bua torrida calma, per rifugiarsi a Simla, sulle pendici dell'Hymalaya, o fra i laghi alpestri e le foreste del Kascemire. Ma contro questo lungo abbandono cagione di ingentissime spese e contrario al carattere imperiale della metropoli, sta la costruzione, che dura da una dozzina d'anni, della nuova Delhi, a parecchie miglia di distanza dall'attuale e che vorrebbe rendere, con mezzi assolutamente stupefacenti, la metropoli abitabile dagli organi dirigenti dell'impero, anche durante il perio-. do più inclemente dell'anno. Ma su Delhi, città di Tamerlano, capitale dell'Impero dei Mogol, pesa una fosca tradizione. Gli indù che nell'ultima fioritura indostana videro i bi-uchi divoratori di foglie disegnare sulle medesime il nome di Gandi é credettero alla fine dell'Impero, dicono che ogni qual volta un dominatore si accinge a costruire'in vista della vecchia capitale una nuova, stabilisce indeprecàbilmente la fine del suo dominio. E dicono pure che Delhi deriva da dila che in indostana significa piantare un palo nella sabbia, cioè compiere un'opera vana destinata a cadere. Ma la traduzione vera di Delhi è cuore e gli inglesi, che hanno murato nella cittadella dei Mogol lapidi esaltanti il celebre assedio del 1857, quando la metropoli era divenuta il oentro della rivolta, vogliono che essa divenga e senza interruzioni il vero cuore dell'India... Dell'India, del Sub-Continente dai settecento Stati e dalle oento e sedici lingue, senza contare i dialetti, della terra immensa dove vi può esser guerra in un punto e supina pace in un altro, del Paese dove non. é possibile designare razze, nazioni, religioni, nazionalità, senza precipitare nel più spaventevole confusionismo. Dalle.città indigene, musulmane ed indù, si passa alla Delhi europea, alla vecchia, attraversando l'immensa piazza dinanzi alla cittadella. Anche a Delhi, come ad Agra, la città dei bianchi è nascosta sotto la verzura dei giardini tagliati da viali amplissimi, difesa dai soffi torridi della pianura da grandi boschi pieni di canti di uccelli e di strida di scimmie.. Qua e là, radure verdi per la metodica, diligente irrigazione e in - mezzo: alle radure monumenti ad illustri inglesi, d'una stonatura, a prima vista, più unica che rara nello sfondo dove sorgono,' ma che si comprendono, come si comprende l'orgoglio ' del dominatore e il suo diritto a ricordare1 le. epiche lotte che sostenne e il sangue che versò e l'opera civile che compì nel Sub-Continente indiano. Così, anche Taylor, anche. Nikolson, monumentati a Delhi, entrano nella serie delle innumeri figure che spiccano sulle maree delle generazioni abbattutesi, contro le mura di questa capitale imperiale. Imperiale sovra tutto e che manifesta nei monumenti in piedi come nelle rovine, nei segni del passato, come in quelli del presente, il privilegio di essere l'eterna capitale dell'India. Lo dice la colossale moschea di Jama, ma lo dice più ancora la Cittadella, la residenza dei Gran Mogol, conservata'in modo mirabile nel cerchio delle sue mura che paiono pareti di montagne basaltiche. Lo dicono le rovine della vecchia'Delhi che si stendono a perdita d'occhio lungo la Gemma e lo dice la Delhi in costruzione dove gli inglesi stanno elevando edifici che sorpassano in grandiosità quelli dei periodi più leggendari. Perciò Delhi, come Roma, è una città dove gli uomini, quando si accingono a dare alle costruzioni lo spirito della metropoli, debbono elevare edifici d'una grandiosità superiore. Ed è pùrioso constatare come le stesse càuse producano a tante migliaia di chilometri di distanza e in ' ambienti così diversi, gli stessi effetti. Gli'inconvenienti, gli scandali, lo sciupio enorme di denaro, di cui è piena la storia delle grandi costruzioni pubbliche di Roma italiana, sono gli stessi che la stampa indostana' di ogni colore denuncia avvenuti a Delhi. La costruzione che nessuno sa quando, potrà finire, del mastodontico palazzo del Governo, costato sinora qualche cosa come tre miliardi di lire italiane, forma uno degli argomenti attorno ai quali s'accaniscono maggiormente, le opposizioni anti-inglesi. Per aver voluto provarsi ad esprimere in pietra rossa di Agra quello che lasciaron detto i Gran Mogol nella Cittadella e nella Moschea, l'Imperiale Inghilterra è messa alla gogna, trattata da dissanguatrice del popolo, deprecata come tiranna uso faraonico o babilonese. La maggioranza dei pennaioli ohe succhiarono il veleno e la miseria occidentale nelle scuole nazionali si scagliano ora contro la nuova Delhi, perchè vuol essere bella, grande, sontuosa 'più delle antiche. La residenza dei Gran Mogol Vediamo prima l'antica, almeno di volo. Entriamo cioè nella Cittadella, nella residenza dei Mogol. che stamane, Mohamed Vali Kan, il cugino dell'Emiro, guatava con l'aria di pensare che Kabul, fra le montagne, era una ben misera cosa in confronto dello splendore della dimora dei suoi avi. Ma la strada è lunga fra Kabul e Delhi, e il Pengiab è tropno ricco perchè le belle batterie da montagna inglesi addestrate sulle rendici dell'Himalaya, lascino passare le tribù afgane male in arnese. Nè saranno i 6000 fucili che l'Italia, chi sa • perchè, forse per rovinare il fiorente commerci» che potrebbe avere nell'India, ha venduto all'Emiro e che gli inglesi ossequienti al trattato di pace lascieranno passare quelli che lo faranno ritornare a Delhi... La cittadella di Delhi è una riunione di palazzi, di chioschi, di moschee, di bagni, di giardini d'uno splendore che sorpassa ogni immaginazione. Due porte, quella di Delhi e quella di Lahore, fatte per il passaggio di cortei d'elefanti, la prima ornata di statue di pachidermi, l'altra irta di tutte le difese uwlla fortificazione saracèna, attraversano le mura e conducono dinanzi alla visione di sogno della dimora di quelli che furono i più potenti e voluttuosi sovrani d'Asia. Non erano indiani i Mogol e lo si vede subito dal trapiantare che qui fecero di ciò che a loro era più gradito e che avevano appreso dai persiani e dagli arabi. Culto del Dio unico, .culto della bellezza femminile, nostalgia della freschezza delle montagne originarie, amore degli alberi e delle fresche acque correnti... Torrida era la terra conquistata, chiuso, impenetrabile 10 spirito degli assoggettati, ma ricchissima l'una e numerosi gli altri e bisognava rimanere. Eretto il muro che separava il mondo indigeno da quello dei conquistatori, la meraviglia fiorì dalle acoese fantasie degli artisti di Bagdad e di' Teheran... La stessa commozione, il medesimo senso di orgoglio che prova un italiano ammirando le vestigia della grandezza romana fra le. montagne della Siria o alle foci del Danubio, fra genti che di Roma furono schiave, invadono l'animo dell'arabo, del persiano, dell'afgano, dinanzi al Divan-iAm, alla sala aperta sorretta da colonne armoniose, dinanzi al trono di marmo, al centro della sala, trono che una volta era d'oro, incrostato di rubini e zaffiri, oon la spalliera formata da pavoni a coda spiegata, sormontati da un pappagallo di grandezza naturale tagliato in un Solo smeraldo. Dal giardino ih mezzo al quale sorge 11 Divan-i-Am, si entra in quello della piccola Moschea d'oro miniata come un manoscritto benedettino medioevale e poi,all'altro giardino attorno al Divan-i-Kas, la Baia delle udienze private, sulla quale s'aprono gli appartamenti dell'imperatore. Ricchissimi i bagni, elevati in un quarto,giardino. In essi, l'acqua scorre in canaletti di marmo giallo e grigio, il cui fondo, imita nei disegni, il brivido di un ruscello corrente. Da per tutto acqua mormorante, finestre traforate, mosaici, oro, superbi fiori nei giardini, ingegnosità meravigliose che oreano condizioni di soggiorno seducenti, ohe danno agli occhi e alla carnè, il senso della desiata frescura, il senso di tutti i piaceri e di tutte le voluttà. Romanità moderna Non diversamente hanno cercato di realizzare gli inglesi nella nuova Delhi, sfidando dima, storia e pregiudizi, sfidando sopratutto questa montante marea d'odio che vorrebbe travolgerli: per arrivare a cosà? Ah! non domandiamocelo ancora! Ho visitato la nuova capitale in ùn pomeriggio di fuoco. Il vento del sud stendeva sulle masse'bianche del « Parlament House » già ultimate, su quelle in pietra rossa, ancor basse ma estese come una città a parte, del « Governement House, sulle Caserme, sulla serie estesissima delle abitazioni dei funzionari^ tutte eguali, una nebbia greve di sabbia. La .città nascente dà l'impressione di sorgere su di uno squallido deserto, di essere stata elevata per il soddisfacimento di creare tutto dal nulla, di condurre fiumi d'acqua dove v'è la sterilità, di far sorgere foreste dove non cresce neppur l'erba. Le proporzioni degli edifici sono veramente romane, la futura dimora del viceré, sulla quale è stata stesa una rete ferroviaria per dislocare -i materiali, supera ogni proporzione concepibile. Preceduta da dodici fontane che son veri laghi, provvista di immense sale sotterranee dove si rifugierà .la vita dei governanti nei periodi torridi', abbellita da immensi bacini interni che daranno modo di avvolgere tutto l'edificio di liquido elemento per mantenerlo in permanenza fresco, ornato sulla facciata da basamenti di mastodontiche statue d'elefanti, il a Governement House » costituisce la dimora più grandiosa e sontuosa e dispendiosa del mondo. Aveva ragione il duca di. Connaught quando affermava l'anno scorso che l'Inghilterra intende di lasciare a Delhi, pei posteri, un ricordo non perituro dell'Impero. Questa Delhi moderna è proporzionata alla grandezza del Sub-Continente. In essa, tutti gli scopi vennero raggiunti all'infuori di quello di soddisfare gli uomini per i quali venne eretta. Trasportandosi a Delhi, da Calcutta, il Governo Indiano si è sottratto all'influenza del Bengala, della massa dei suoi 80 milioni di abitanti. E' venuto qui dove aleggia una storia millenaria di dominio ariano. E di qui, in vista dell'antica Indraprostha, imitando il concetto australiano e americano di avere una città unicamente fatta per esser la capitale, spera di trasformare l'India, per salvarla ad Albione. Ci riuscirà? Gli inglesi,, lo credono, ma gli indiani no. E non mostrano, gli indiani, la più piccola gratitudine per chi afferma di lavorare infine per loro. E' vero_ che i miliardi sono dell'India e che le sue innumeri genti gridano in tutti i modi di ess .re preda della squallida povertà. ARNALDO CIPOLLA.