Un giovane strozza l'amante nel letto e i due bimbi della donna che dormono

Un giovane strozza l'amante nel letto e i due bimbi della donna che dormono L'orribile strage nella notte a Sant'Ambrogio di Su sa Un giovane strozza l'amante nel letto e i due bimbi della donna che dormono Dopo il crimine attende l'arrivo del marito della vittima che tornava dal lavoro - Nel buio lo colpisce selvaggiamente con un ferro da stiro - L'uomo, ferito, si salva gettandosi dal ballatoio del primo piano nel cortile - L'assassino, un falegname immigrato dalla Calabria, si costituisce ai carabinieri di Avigliana - « Ero d'accordo con lei — dice — dovevo uccidere tutti e poi morire anch'io» - La sua versione però non convince - La donna aveva 24 anni, i suoi figlioletti rispettivamente 5 anni (una bambina) e 3 mesi (un maschio) - La relazione durava da due anni ed era nota a tutti in paese - Gelosia o vendetta all'origine della tragedia?, (Dal nostro inviato speciale) S. Ambrogio di Susa, 28 die. «Ho strangolato la mia amante e i suoi due bimbi con queste mani. Ho cercato anche di uccider^ il marito, ma è riuscito a scappare ». L'assassino che con queste parole si è presentato stanotte, dopo una lunga marcia nella neve, ai carabinieri di Avigliana per farsi arrestare è un immigrato, il ventottenne Giuseppe Gulli nativo di Villa San Giovanni (Reggio Calabria). Le sue tre vittime sono Rita Pino di 24 anni — sposata al meccanico ventisettenne Sergio Clemente — , la figlia Eddie di 5 anni e 11 piccolo Pierangelo, che ieri aveva compiuto i tre mesi. Il piantone della caserma stenta a credere alle parole dell'uomo, un giovanotto alto, bruno, di spalle quadre e robuste, col cappello calato sugli occhi. Poi Io fa entrare e lo perquisisce. Non ha armi, nelle tasche trova soltanto un fazzoletto macchiato di sangue e un pacchetto di « nazionali », vuoto. Gli chiede: < Perché ha ucciso? », ma l'altro non risponde, tiene la testa china. « Volevo morire anch'io — dice finalmente. — Mi sarei gettato giù dalla Sacra di San Michele. Mi metta in guardina, la prego, mi arresti ma non mi faccia del mele ». E'notte fonda, l'orologio del corpo di guardia segna la una. Pochi minuti più tardi i carabinièri sono sul posto dello spaventoso delitto, a S. Ambrogio di Susa, in una modesta casa di via Umberto I, all'imbocco del paese verso Torino. L'edificio è. vecchio- ma affollatissimo, In uno di questi alloggi viveva la famiglia Clemente. Rita Fino, nativa di Condove, aveva sposato Sergio Clemente nel settembre del 1957. La coppia, subito dopo le nozze, era venuta a vivere In questo stabile. Lui era operaio alle « Ferriere » di Avigliana, faceva il turno dalle 15 alle 23 ma trovava il modo di errofondare- -lo stipendio " lavorando come decoratore nelle ore lìbere', del mattino, oppure aiutando- la madre vedova, Angiolina Ponti, che gestisce con un altro Aglio, Franco, un negozio di fiori in via Umberto I. La moglie — una donna snella, bruna, piacente — badava alla casa. L'alloggio de¬ gli sposi, formato da una grande cucina che serve anche da ingresso e da due camere da letto, è accogliente: non mancano il frigorifero, la televisione, la radio e un piccolo bar casalingo con liquori e vecchie bottiglie di vino, Nell'anno seguente le nozze nacque la prima bimba, bion da e minuta. La madre la volle battezzare con un nome straniero, la chiamò Eddie. La vita della coppia proseguì tranquilla, senza grandi scosse, per un paio d'anni. Ogni domenica andavano a ballare, Sergio aveva comprato anche la « 600 » e, d'estate, facevano gite in Riviera. Molte serate libere le passavano dai genitori di lei, che abitano fi vicino. Sembravano a tutti assolutamente felici fin quando non comparve Giuseppe Gulli. La voce della relazione non tardò a spargersi in paese. Gli amanti erano stati - visti assieme nelle boscaglie della «Cava» e del «Porto», due località isolate di Sant'Ambrogio. La madre di Sergio Cle¬ mente, l'agosto scorso, decise di sorprenderli. Li seguì, di nascosto, mentre si recavano a un incontro ma il Gulli, appena la vide, le fu subito addosso: tNon ti interessare dei fatti miei f44 disse ària...Vedova -i-i altrimenti sono guai per tutti ». La vedova, già sofferente di cuore, ebbe un attacco' e perdette i sensi. L'indomani ne parlò al figlio, delicatamente ma con fermezza; Sergio Clemente, però, non volle credere. Il primo scontro fra Sergio Clemente e il rivale avvenne tre mesi fa, alla nascita del secondo figlio dell'operaio, Pierangelo. Ormai il giovane non aveva più pace; quando andava in fabbrica trovava sul banco di lavoro biglietti anonimi che lo dileggiavano informandolo di qualche particolare scabroso della tresca. Poi Gulli aveva assunto un atteggiamento prepotente. S'era licenziato dall'industria, dove lavorava, passava le giornate all'osteria, beveva molto e volentieri. Sul conto dei due amanti correvano strane voci: che la donna fornisse all'amico il denaro per le sigarette, il vino e persino per i vestiti, che- gli amanti volevano fuggire, che il piccolo Pierangelo fosse figlio del Gulli. L'operaio affrontò il rivale un pomeriggio, prima di recarsi alle «Ferriere»: € Senti, lascia stare in pace mia moglie — gli disse. — Fatti la tua strada e non darmi noie ». Giuseppe Gulli non rispose ma due giorni dopo andò dalla madre di Sergio, nel negozio di fiorista: « Suo figlio mi ha detto di fare la mia strada, lo me la farò e fino in fondo. Sappia ohe sono anche capace di compiere una strage». E uscì sbattendo la porta. La strage annunciata è avvenuta ieri sera a un'ora imprecisata, che il perito professor Grìva colloca fra le 22 e le 23. Giuseppe Gulli ha cenato con pane e formaggio in un'osteria, non ha soldi, è più corrucciato e taciturno del solito. Entra in casa Clemente alle 19,30. La televisione è accesa. Eddie e Pierangelo dormono già. La bimba è sola nella sua cameretta in fondo all'alloggio. Prima di addormentarsi ha detto le preghiere e ha voluto che la madre le mettesse sul letto il suo balocco preferito, un cavalluccio di pezza rossa. Pierangelo, invece, riposa nella culla accanto al letto matrimoniale. I due amanti chiudono la televisione alle 21, caricano la stufa e poi sturano due bottiglie di liquore dolce ' e le consumano quasi tutte. Poco dopo le 22 Rita Fino si alza dal divano, entra nella camera per vedere se Pierangelo riposa bene; ir. cmel momento il Gulli le è addosso, alle spalle la rovescia sul letto stringendole le -grosse', tremende mani attorno al collo. La dolina non oppone resistenza, più tardi non si troverà traccia di lotta. Anche i vestiti che «indossa non appariranno scomposti. La morte della donna — dirà il perito — è quasi istantanea, urdme L'assassino, completamente ubriaco, sfoga la sua furia irragionevole, primitiva, sulle due creature indifese che dormono ignare a pochi passi da lui: La seconda vittima t*.cb* sì si-: «itggo^ne. sulla base, della ricòafru^EJWie compilila' dar rabiniérir^. è Pierangelo, pdf tocca ad Eddie. Nessuno dei vicini ha udito rumori di'lotta. Giuseppe Gulli torna in cucina, apre l'armadio accanto al televisore, prende un pacchetto di fogli e una matita biro e scrive due contorti, sgrammaticati messaggi. Uno dice, all'in circa: « Voglio fare uno sfregio al marito. Voglio che moriamo tutti e non se ne parli più ». Sull'altro c'è scritto: «Non potevamo continuare quaggiù e ci incontreremo di nuovo pre¬ sto in paradiso. Rita ti amo tanto ma dovevo vendicarmi ». Sono le 22,30, l'assassino spegne le luci, si distende sul sofà e beve ancora liquore. Nelle stanze accanto ci nono i . cadaveri delle' sua. vittime, ma i m&i '^pensieri sc^^r^oltfciqra fa ÌSérgib' ' demeriti:*' Sa che uscirà dalle « Ferriere » alle 23 e mezz'ora più tardi entrerà ih casa. Deve uccidere anche lui e cerca con gli occhi un'arma adatta (la scure per spaccare la legna, fortunatamente, Sergio Clemente l'aveva dimenticata in un angolo del cortile). Sceglie il ferro da stiro, un oggetto massiccio, pesante quattro o cinque chili. Alle 23,20 un'auto si ferma dinanzi al portone: è la «600» del suo rivale. Sergio Clemente sale le scale tranquillo, apre la porta d'ingresso e nello stesso istante vede un oggetto metallico balenare nell'aria. Si scansa istintivamente ma il ferro Io colpisce di strìscio, gli apre una lunga ferita nella testa. Stqrdito, l'operaio si volta. scorge' il-^éuìli, gli sì - avventa tempestandolo di calci. L'altro gli è subito addosso, lo colpisce alla cieca, disperato. 1 due uomini, lottando, cadono sui pavimento, rotolano sul terrazzo, si mordono e si graffiano. La meglio tocca a Gulli, ma Sergio Clemente non gli dà tempo: balza in piedi, fugge lungo la terrazza e poi si lancia, con un balzo nel vuoto. Cade e batte la schiena, ma trova la forza di rialzarsi e di correre alla porta del più vicino alloggio, dove abitano i coniugi Maria e Riccardo Fran¬ co, proprietari di una trattoria: «Aiuto, aiuto! Sono Sergio! Chiamate i carabinieri: stanno sterminando tutta la mia famiglia! ». L'assassino fugge, un'altra inquilina, Etisia Pandi ved. Gai, lo vede scappare a gambe levate dal portone. Sono le 0,20. Tutta la strada è a rumore. Sergio Clemente, si trascina vicino alla casa dei genitori della moglie e li informa dell'aggressione. L'operaio non sa ancora nulla della strage. Con loro risale le scale, entra nella cucina, chiama sottovoce: « Rita, Rita.' ». Nessuno gli risponde. Entra nella stanza, accende la luce. La moglie è li. con gli occhi sbarrati; sul collo sono evidenti le tracce dello strangolamento. Dolorante, per le ferite, sconvolto, quasi im¬ r pazzito Sergio Clemente s'avvicina alla culla, poi piomba nella camera di Eddie: < Sono morti! Tutti morti! Maledetto, meli ha uccisi! » e scoppia in un disperato pianto finché non perde i sensi. L'allarme s'è sparso in paese. I telefoni funzionano male e i volenterosi accorsi non rie-' scono a fare il numero delia caserma dei carabinieri di Avigliana. E' il giudice conciliatore di S. Ambrogio a salire sulla propria auto e a dirigersi a 'tutta velocità verso la caserma. Quando vi giunge Giuseppe Gulli è in guardina, sorvegliato a vista dai carabinieri. All'alba, con una camionetta, l'assassino è trasferito nel carcere mandamentale in una cella isolata. Chiede da mangiare e da fumare ma le sigarette, per regolamento, gli vengono negate: « Mi spiace di essermi costituito — dice. — Ho fatto una fesseria ». Due ore più tardi lo Interrogano il Sostituto Procuratore della Repubblica dott. Fioravanti, del tribunale di Torino, il pretore di Avigliana dott. Sensini e il tenente dei carabinieri Saracino, che ha diretto l'inchiesta di polizia. Giuseppe Gulli parla poco, a frasi monche. Dice di essere pentito per quello che ha fatto. «'E' un destino —- mormora. — Dovevamo morire tutti. Cesi avevamo deciso Rita ed io. Non potevamo vivere per conto nostro, ci calunniavano, dicevano che Pierangelo è figlio mio e non di Clemente. Dovevo vendicarmi di tutto. E' stata lei, Rita, che mi ha detto: "Uccidi me e mio marito". Anch'io volevo morire. Mi sarei gettato giù dalla Sacra di San Michele ». « Perché non l'ha fatto t » gli chiede uno degli inquirenti. L'assassino china la testa e non risponde. Quando gli domandano come ha compiuto la Btrage dà due o tre versioni diverse. Afferma che, per primo, strozzò Pierangelo, poi l'amante e infine Eddie. Ma non gli credono. Lo trasferiscono alle «Nuove» nel pomeriggio, alle 17,30. Quando sta per uscire dalla cella i sei o sette detenuti del piccolo carcere di Avigliana lo insultano dalle sbarre del carnerone e gli tendono i pugni. Un immigrato calabrese, ch'è in prigione per furto, gli grida in dialetto: « Che tu non possa mai più dormire ». Giuseppe Mayda Sergio Clemente, ferito dall'assassino della moglie e dei suoi due figlioletti pvnmmusA ll cortile della casa di S. Ambrogio di Susa dove 6 avvenuto lo spaventoso delitto: i corpi delle vittime vengono rimossi dalla stanza dove la donna e i suoi due bimbi sono stati uccisi. A destra, l'assassino Giuseppe Gulli, mentre è scortato dai carabinieri di Avigliana