Montelungo, prima vittoria contro i tedeschi dell'esercito italiano risorto dopo l'8 settembre di Paolo Monelli

Montelungo, prima vittoria contro i tedeschi dell'esercito italiano risorto dopo l'8 settembre NELLO SMARRIMENTO DEL PAESE, CONTRO LA DIFFIDENZA ALLEATA Montelungo, prima vittoria contro i tedeschi dell'esercito italiano risorto dopo l'8 settembre La battaglia ebbe a protagonisti poche migliaia di uomini, con poveri mezzi; fu combattuta, in una nebbiosa mattina del dicembre 1943, nel corso di un'azione mal preparata dal Comando americano - Il primo attacco fu un successo effimero: non sostenuti ai fianchi, battuti da una soverchiante reazione tedesca, i reparti italiani dovettero ripiegare dalla vetta occupata di slancio - Ma con la tenace resistenza, perdendo con sacrificio cosciente due intere compagnie, conquistarono il rispetto e la fiducia degli alleati: cosi incominciò la difficile rinascita (Dal nostro inviato speciale) Mignano Montelungo, 16 die. Sono venuto a Montelungo nel giorno anniversario della battaglia; la prima battaglia contro i tedeschi, e la prima vittoria, — dopo un sanguinoso attacco fallito una settimana avanti — di un piccolo corpo militare italiano (I Raggruppamento Motorizzato), costituito in Puglia alla fine del settembre 1943 per ordine delle Stato maggiore dell'Esercito. Venti giorni dopo la procla¬ ■MiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii mazione . dell'armistizio; nei giorni in cui si erano già dissolte o stavano per dissolversi le ultime sparse unità dell'esercito che in Italia, Jugoslavia, Grecia avevano reagito alle offese ilei tedeschi, « tornati ad essere, — come gli aveva detto Badoglio nel suo proclama alla radio dal 13 settembre, — tornati ad essere apertamente nemici, come in passato, del popolo italiano ». Dopo la pubblicazione dell'armistizio e la dichiarazio¬ iiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii iiimiiii ne di guerra alla Germania, il nostro governo si era affrettato a mettere a disposizione degli alleati le divisioni rimaste nell'Italia Meridionale, per creare subito da parte nostra una collaborazione attiva alla guerra. Ma gli alleati, e specialmente gli inglesi, mostrarono che questa offerta non gli era gradita. Accettarono si che i nostri soldati fossero destinati a servizi ausiliari, per cui gli impiegarono come guidatori di autocarri, mec- miiii iiiimiiHiiiiimiiiiimmiimiiiiiiiii canici, specialisti del genio, e conducenti: quelle <pazienth, generose, eroiche salmerie che con la loro abnegazione permisero dì fare arrivare fino alle prime linee, anche in terreno montano e dove gli autoveicoli non potevano giungere, tutti i rifornimenti necessari ». (Gen. Edoardo Scala, La riscossa dell'esercito, Ufficio storico del ministero della Difesa, 19Jt8). Ma combattenti, niente. Ad una seconda offerta di Badoglio per l'immediato impiego delle divisioni di fanteria Friuli e Cremona che avevano già combattuto onorevolmente in Corsica contro i tedeschi, e della divisione paracadutisti Nembo, il generale Alexander rispose seccamente che « i piani degli alleati per la campagna d'Italia non prevedevano la partecipazione di reparti Italiani alle operazioni*. Gli alleati, come già nel corso delle trattative di armistizio, dimostrarono un'assoluta incomprensione per lo stato d'animo degli italiani migliori; che intendevano riscattare con un'altra più giusta guerra la debolezza di aver subito quella imposta dal dittatore; e dimostrare al mondo che se si . ano trovati nemici degli alleati di ieri, questo non era la conseguenza di un tradimento ma il ristabilimento di una. tradizionale condizione storica; e dimostrare soprattutto che la conclusione dell'armistizio non era stata il passaggio dalla parte di chi poteva meglio garantir loro il cibo e la tranquillità, come scrissero in quei giorni due semplicioni giornalisti americani in un loro libretto (Alfred Wagg e David Brown, No spaghetti for breakfast,). Si, credo proprio che l'ostilità di quei generali ad accogliere come .compagni d'arme gli italiani fosse in gran parte conseguenza della riluttanza a rinunciare ad un mito che era loro comodo e caro, di una Italia aliena da ogni rischio di guerra, desiderosa solo d'esser lasciata alle sue fac■■ cende e ai suoi traffici. Solo verso la fine d'ottobre gli angloamericani s'Ì7idussero a promettere a quel Raggruppamento, formato contro i loro desideri, d'impiegarlo in prima linea; ma non doveva passare i 5S00 uomini. Ne faceva parte il 67° reggimento di fanteria, un battaglione di bersaglieri (allievi ufficiali), quattro gruppi di artiglieria da campagna e di obici e un battaglione controcarri. L'uniforme era quella coloniale, di tela cachi, con la bustina, senza elmetto; le armi di quei fanti erano le mitragliatrici, i mortai da 88 e il venerando '91. La sussistenza era la nostra, povera e squallida. Scalcinatissimi, accanto alle magnifiche lucide truppe angloamericane, ricche d'ogni risorsa. Il Raggruppamento fu messo agli ordini del generale Walker, comandante la 36° Divisione americana; che gli affidò per l'8 dicembre la conquista del Montelungo. Eccomelo qui davanti, nelle folate di nebbia, nelle brevi chiarite d'un sole dispettoso, sotto piovaschi rapidi, il Montelungo, fosco, sinistro come lo stesso giorno venti anni fa. Non proprio un monte, con la modesta altezza, nel punto più atto, di 343 metri: un dosso lungo e gibboso che balza su dalla piana, erte cataste di massi neri e bianchi tenuti insieme da un terreno arido, prato povero e cespugli spinosi; posto avanzato dei tedeschi sulla Casilina, dominato da cime più alte in loro possesso. Il servizio d'informazioni americano aveva detto al gen. Dapino, comandante del Raggruppamento, che sul dosso i nostri non avrebbero trovato che un battaglione, disposto a protezione dell'imminente movimento di ritirata dei tedeschi verso il Garigli'ano: « un velo di fuoco >. Come per dire: « Sarà una casetta da poco, un battesimino del fuoco con poche perdite*. Mentre gli italiani sarebbero partiti alla conquista dei dossi più elevati del monte, le quote 25$ e 343, un reggimento americano avrebbe attaccato il Monte Maggiore da sud-ovest, e un altro avrebbe marciato alta conquista del Monte Sammucro a nord-est. Come per dire: < Combatterete fra due guanciali >. E i grossi calibri americani avrebbero preparata l'azione tempestando il monte con un bombardamento sconvolgente. Ora in realtà il < velo di fuoco > sul Montelungo fu una reazione rabbiosa di mitragliatrici bene appostate e di mortai in caverna di tre o quattro battaglioni, die in alcuni mesi avevano fatto di quel labirinto carsico di sassi di buche di roccioni diritti un fortilizio catafratto. Il promesso bombardamento rovinoso, forse a cagione del¬ la nebbia che la mattina avvolgeva il monte, lo scalfì appena; sì che quando i fanti del 67°, superata la quota 253, giunsero a ridosso della quota 343, gli si scatenò addosso una tempesta di mitragliatrici, di mortai, di bombe a mano. Occuparono tuttavia la vetta nuda, aspra; ed i rincalzi avanzavano quando la nebbia si stracciò, i vincitori furono subito bersaglio di un fuoco preciso dalle posizioni tedesche di fronte e sui fianchi, e particolarmente di armi automatiche dal Monte Maggiore che li dominava da tergo (gli americani si erano spinti fin sulia vetta, ma non avevano molestato il fianco ove i tedeschi erano ancora saldamente annidati). I fanti si abbarbicarono ai sassi conquistati: un olocausto cosciente sotto l'offesa da ogni parte del cielo. Due ore resistettero, non volevano mollare la prima zolla strappata al nemico, sapevano la posta di quel primo impegno. Quando le due compagnie che erano andate all'assalto furono distrutte, caduti tutti gli ufficiali della prima, i pochi superstiti ripiegarono con i rincalzi sulle posizioni da cui erano partiti all'alba. Uscirono i tedeschi al contrattacco per sloggiarli anche di qui, ma furono ricacciati; e alla sera il secondo battaglione rioccupò la quota &K3 che era stata la prima tappa dell'azione. Le nostre perdite furono in cifra tonda 500 uomini fra morti, feriti e dispersi. Scrive Gabrio Lombo 'di («Il Corpo Italiano di Liberazione». 1945): «...Vi fu, da parte di chi ordinò l'azione, ura non lieve leggerezza. Perché le truppe italiane furono spinte a incunearsi nel dispositivo nemico ancora saldamente tenuto; senza che al loro fianchi si fossero svolte o almeno jì stessero svolgendo quelle azioni offensive che erano state preannunciate, e che sole avrebbero potuto giustificare una fondata speranza di successo; su di un obiettivo particolarmente difficile quale è Montelungo». II generale Walker dovette avere il senso di aver chiesto troppo agli italiani, e di averli lasciati troppo allo sbaraglio; e il giorno dopo inviò una lettera al generale Dapino ove dava atto del «magnifico comportamento delle truppe italiane lanciate all'attacco delle posizioni di Montelungo»; e si congratulava «per l'entusiasmo, lo spirito e 11 magnifico coraggio dimostrato». Una settimana più tardi il generale Walker ordinò di nuovo al Raggruppamen¬ to di conquistare la quota 348. Ma questa volta l'azione fu preparata sul serio, inquadrata a destra e a sinistra da due effettive puntate della fanteria americana. Il comando italiano collocò arditamente, in una località scoperta al fuoco avversario, i dodici mortai del 67" reggimento e alcuni pezzi da 75 per sostenere l'azione dei fanti. Il secondo battaglione del 673" e la compagnia di bersaglieri giunsero rapidamente sulla vetta; ma gli ci vollero due ore di combattimenti ravvicinati per snidare il nemico buca per buca, postazione per postazione, e sgominare alla fine ogni resistenza. E anche questa volta, gli alleati furono generosi di buone parole e di complimenti. Da questo sparuto raggruppamento di volontari, guardati con ammirazione ma con perplessità dalla popolazione, come fossero matti o illusi, considerati con sospetto dai commilitoni che facevano un servizio più comodo nelle retrovie e temevano di esserne distolti per ricominciare la guerra in linea, accusati da parte delia stampa e dei partiti politici di essere una milizia di parte a sostegno della crollante monarchia, da questo primo combattimento nacque fra contrasti diffidenze e dubbi il Corpo italiano di Liberazione, di cui l'incredibile fede e la cruenta marcia fino alla linea gotica ed oltre, la primavera e l'estate dell'anno seguente, sarà da celebrare a suo tempo. I superstiti di Montelungo raccolsero i compagni morti sul campo in un rozzo cimitero'ai piedi del monte, cinto da un reticolato, dominato da una grande croce di legno. Alcuni dei caduti non furono riconosciuti; e come « ignòti » ebbero anch'essi la loro croce, e come « ignoti » sono ricordati oggi nel grandioso sacrario che è stato sostituito all'umile cimitero di noi soldà. E vi apposero una lapide, che con parole un po' troppo alambicco te ma con sincero sentimento definisce esattamente U fervore che spinse alla battaglia lo sparuto manipolo, quando tutto intorno era inerzia e rinunzia; e il valore di quel primo temerario gesto di riscossa fra tanti che predi' cavano la diserzione dalle armi e dal dovere: «Quand'era per i fratelli smarriti — Vanità sperare follìa combattere — Primizia dì credenti — Noi soli quassù accorremmo — Invitti per te cadendo — Italia». Paolo Monelli

Persone citate: Alfred Wagg, Badoglio, Dapino, David Brown, Edoardo Scala, Gabrio Lombo