Sopravvive lo spirito della «nuova frontiera» di Alberto Ronchey

Sopravvive lo spirito della «nuova frontiera» Sopravvive lo spirito della «nuova frontiera» (Dal nostro inviato speciale) New York, 26 novembre. Il presidente Lyndon Johnson ha dato l'avvio alla sua opera ricevendo Anastas Mikoyan, che ieri aveva rappresentato il Presidium sovietico e personalmente Kruscev ai funerali di Kennedy. Dopo tre quarti d'ora di colloquio, mentre usciva dalla Casa Bianca, Mikoyan è stato interrogato sulla possibilità d'un incontro fra Johnson e Kruscev : « Non abbiamo precisamente discusso su tale argomento — ha risposto — ma siamo dell'opinione che la politica americana e sovietica rimarranno quali erano prima ». La notte scorsa Johnson aveva già avuto una con versazione con De Gaulle, che è stata seguita oggi da lunghi dialoghi con alcuni leaders occidentali, fra : quali Erhard e Home. Mikoyan è stato ricevuto anche dal Segretario di Stato Rusk e dopo questo incontro ha detto : « Abbiamo trovato qualche metodo nuovo per la trattativa sul disarmo ». Hanno lasciato Washington già quasi tutti gli statisti e dignitari che da ogni capitale, con l'eccezione di Pechino e dell'Avana, erano accorsi a condividere il lutto degli Stati Uniti, que sto impero della democrazia contemporanea. Il presiden te Johnson, affrontando anche i nuovi problemi interni del potere, ha annunciato a trenta governatori che la sua amministrazione s'inizia all'insegna della continuità. Egli solleciterà personal mente il Congresso, con le capacità di pressione che gli derivano da ventitré anni di esperienza parlamentare, ad approvare in breve tempo il programma legislativo di Kennedy, dal vasto disegno sui « diritti civili » dei negri alle misure finanziarie che dovevano costituire un massiccio intervento d'ispirazione keynesiana nell'economia Domani, nel messaggio che Johnson rivolgerà alle due Camere del Congresso in sessione congiunta, presenterà se stesso come tutore e garante del programma della « nuova frontiera ». Questa non è solo una necessità di rito, ma una manifesta obbedienza allo stato d'animo che si diffonde nel paese. Finché viveva Kennedy, i suoi propositi potevano essere contrasta ti: ma adesso, e ancora nei prossimi mesi, votare contro i « diritti civili » sarebbe votare contro il mito di John Fitzgerald Kennedy sarebbe impossibile. Forse il programma legislativo di Kennedy verrà at tuato nelle prossime settimane più facilmente di quanto non apparve mai possibile finché egli viveva. Il kennedismo sopravvive a Kennedy. Non si tratta solo di alcune leggi. Attraverso l'emozione questo paese, o gran parte di esso, sembra aver percepito tutto il valore dei messaggi kenne diani, già oscurati dalle lotte polìtiche. Non era il linguaggio facile del generico progressismo, ma quello ri goroso e talvolta crudo del la moderna ragione politi ca, fondata su forti legami con la cultura e la tecnica e su un senso quasi temerario della serietà e moralità delle opere, capace anche di sfidare opposte correnti di impopolarità. La morte di Kennedy, e lo sforzo di comprensione che ne è seguito, sembrano aver avvicinato il popolo a questi fondamentali valori. Sarà evidente solo in seguito se da simili premesse l'amministrazione Johnson saprà cogliere l'ispirazione per dare una risposta globale e rigorosa ai problemi del nostro tempo, come' quella che il « circle » kennediano fu capace di offrire. Non sappiamo se, a lungo termine, rimarrà unito al potere il gruppo di specialisti e d'intellettuali che Kennedy aveva chiamato a sostenere la sua azione: da Stevenson a Harriman, Bundy, Heller, Seaborg, Rostow, Schlesinger, Sorensen. Gli interrogativi più seri avranno una risposta reale solo col volgere del tempo: così i problemi del rapporto con l'Unione Sovietica a lunga scadenza, col « terzo mondo », con le classi poli tiche riformiste che emergono in vari paesi, o la que stione vitale del modo di opporsi alla moltiplicazione dei nazionalismi atomici. Più d'un commentatore americano, in questi giorni, ha-ricordato che la politica kennediana non era fatta di atteggiamenti. Con la sua strategia, della pace», Kennedy ammoni che il comunismo, questo problema delle nostre generazioni, non è semplicemente « il male », ma un frutto della storia in quella parte della terra che va da Sofia a Pechino e dovunque esistano condizioni in qualche modo simili. Fare politica verso i russi, per Kennedy, presupponeva un giudizio articolato sulle tendenze del mondo sovietico (tale giudizio fu spesso illuminato, come quando misurò le prospettive dell'urto fra estremisti cinesi e krusceviani). Il «terzo mondo », a sua volta, veniva in terpretato sulla base, di calcoli che si proiettavano su alcuni decenni avvenire. Questo metodo era alla base di ogni atto, rigido o duttile secondo le circostanze, e veniva adottato su scala mondiale, dalla crisi del Congo al Viet Nam e alla Germania. Quando Kennedy diceva che la « torcia » era passata a una nuova generazione, indicava una notevole riforma del modo di pensare e sentire. Potrà il presidente Lyndon Johnson pensare e sentire i problemi con pari efficacia? Dal periodo di transizione ehe s'inizia a Washington volgiamo lo sguardo all'intero paese; è difficile non avvertire un clima di profondo raccoglimento. Il leader repubblicano Nelson Rockefeller ha dichiarato un mese di tregua nelle competizioni per la campagna . presidenziale del. '64. Wall Street s'è risollevata dal collasso di venerdì scorso. Il presidente Johnson, come ha scritto oggi il New York Times, temeva che il passato comunista attribuì to a Lee Oswald, a sua volta assassinato, avrebbe suscitato qualche nuovo riflus so macchartista: ma il popolo americano manifesta ora piuttosto un orrore e una paura della violenza, che accomunano sotto la stessa condanna ogni estremismo. « Nella sua alienazione — ha scritto Walter Lippmann — Oswald s'era volta a sinistra. Ma questo fu incidentale. Coloro che (pure a Dallas) aggredirono già Lyndon Johnson e Stevenson si erano volti a destra. La comune caratteristica era l'alienazione ». Oggi è sotto processo la capacità di odio e di crudeltà che si manifesta di volta in volta in alcune regioni, soprattutto nel Sud. Questa reazione è venuta dalla società medesima, come sa bene chiunque abbia osservato negli ultimi quattro giorni l'immagine che le stazioni televisive davano del paese, esprimendo le tensioni emotive con estremo scrupolo ma frenando le passioni e rinno vando sempre' un implicito appello alla ragione. Si può dire che la televisione, questo privato strumento di conoscenza qual è in America, abbia governato da sola per tre giorni almeno il paese. E' la conferma d'una civiltà complessa, che prevale sulle forze irrazionali, siano esse nichiliste o razziste. Alberto Ronchey J6886 Curry, capo della polizia di delle polemiche sull'assassinio di Dallas, è al centro Kennedy (Telefoto)