Seicentomila italiani in Svizzera

Seicentomila italiani in Svizzera L'I MPORTANZA E 1 PROBLEMI DI UN'IMMIGRAZIONE SENZA CONFRONTI Seicentomila italiani in Svizzera Rappresentano più di Un decimo degli abitanti, un quarto delle forze di lavoro - Il governo, inquieto per le scosse che una simile «invasione» di , giovani stranieri dà alla vita tranquilla del paese, ha posto stretti limiti ai nuovi arrivi - Ma tutti sanno che l'economia elvetica ne ha bisogno, se vuol continuare a svilupparsi - Soprattutto a Zurigo si capiscono le difficoltà suscitate dalla immigrazione: 84 mila italiani, in gran parte meridionali, vivono in quella provincia - Per molti le ore di svago sono una vuota noia, malgrado lo sforzo di adattarsi ai cpstumi della città che li ospita (Dal nostro inviato speciale) Zurigo, novembre. n problema è grosso; lo si capisce fin dal primo momento scendendo alla stazione di Zurigo. Tra il via-vai di questi svizzeri, alti, pesanti, biondi, con le scarpe color senape e gli abiti krusceviani, gli italiani del Sud, i nostri emigrati meridionali, sono ancora più facilmente riconoscibili che alla stazione centrale di Milano o a quella di Porta Nuova a Torinu. Decine e decine; centinaia forse. Però sono diversi. Dal marzo scorso, da quan¬ l Hill Illllllllllllll 11111ii111 lim do cioè il governo svizzero ha posto precisi limiti alla immigrazione, gli arrivi di comitive intirizzite, stralunate, barbe ispide, donne con lo scialle, cumuli di valigie legate con lo spago, si són fatti più rari. I meridionali che tuttavia popolano da mattina a sera la stazione centrale di Zurigo sono lavoratori che risiedono qui già da qualche tempo, alle volte addirittura da 3 o 4 anni; gente che ha un posto, uno stipendio e che pertanto ha già gettato via gli abiti con- ili Ili Illllllllllllllllllimitll mi sunti con cui era arrivata quassù. Ma sono appunto i vestiti nuovi — giacche attillatissime pantaloni stretti, giubboni di cuoio, paludamenti impermeabili da nostromo, strane casacche < materassate » alla cinese, pesantissimi maglioni color girasole — a rivelare, unitamente alla statura, alla brillantina, alla parlata, la loro, origine forestiera. Vengono alla stazione per aspettare un conoscente che rientra dall'Italia, .per informarsi degli orari in vista delle vacanze natalizie, per far la corte alle signorine dei telefoni che dapprima si fingono seccatissime ma che a poco a poco finiscono per sorridere, o anche soltanto perché queste grandi arcate sotto cui si fermano i treni che vanno in Italia — *Stùckgard - Zurìch - Chiasso - Milano - Genova Principe > sta scritto sui cartelli — costituiscono ai loro occhi il posto più adatto per gli appuntamenti, gli affari, le chiacchiere. Compare, commare, paisà, Pasquale. Salvatore, abbracci. Come nella piazza del paese. Ma non c'è solo la stazione. Anche fuori per le vie di Zurigo gli italiani s'incontrano ormai dappertutto. La maggior parte abita attorno alla Langstrasse, nella parte nord-occidentale della città, un quartiere modesto, pulito, vecchie casette a iue o tre piani lungo il bastione della ferrovia, cortiletti, panetterie, fruttivendoli, vetrine di fotografi popolati di ritratti di giovinette svizzere dai visi pieni di efelidi e di ragazzi italiani con le basette a punta e lo sguardo alla Rodolfo Valentino. E' la Little Italy di Zurigo. Ma la sera, a lavoro ultimato, o nei giorni di festa, gli italiani si spingono a gruppi verso il centro, passeggiano sul Quai del Limmat, se non piove si siedono sulle panchine del lungolago accanto alle ragazze svizzere. Le ragazze guardano i gabbiani, le anatre, i cigni che si lasciano trasportare dalla corrente; loro, gli italiani, ridonò fòrte - fingendo di interessarsi anch'essi alle evoluzioni dei palmipedi. Da qualche tempo a,questa parte, presa confidenza con l'ambiente, i più giovani, quelli che non hanno una famiglia da mantenere, si avventurano perfino in quei silenziosi sacrari della quiete svizzera che sono i tea- room. Di solito ci vanno a coppie di giovani sposi — lavorano entrambi in fabbrica e con due stipendi, senza figlioli, possono permettersi qualche lusso — e ci vanno a gruppi, due o tre coppie alla vòlta, forse per farsi coraggio. Di fronte agli anziani signori col sigaro in bocca e alle donne attempate dalle candide camicette, perdono un po' della loro disinvoltura, ma 'è commovente vedere come cerchino, senza riuscirci, di abbassare la voce; come si affannino ad avvicinare e a togliere ia seggiola alla loro ragazza secondo una regola tutta latina che quassù nessuno si cura di osservare. Italiani dappertutto. Nel 1969 i nostri emigranti in Svizzera superavano di poco i 100 mila. Una minoranza composta quasi tutta di settentrionali — valtellinesi, bergamaschi, /riulani — tanto simili agli elvetici da passare assolutamente inosservate Li scambiavano per svizzeri italiani, per ticinesi. Poi all'improvviso il boom dell'economia elvetica, la fame di braccia, il grande afflusso di manodopera forestiera. In soli quattro anni sono arrivati qui 800 mila stranieri di cui quasi 600 mila italiani in buona parte meridionali. Trascurando momentaneamente le altre nazionalità — spagnoli, jugoslavi, turchi, tedeschi' ecc. — prendiamo in considerazione soltanto i nostri 600 mila connazionati: più del 10 per cento della popolazione locale (gli svizzeri sono 5451.000); più del 25 per cento della popolazione ' attiva. Per avere uria idea esatta di che cosa significano queste cifre basti pensare che gli svizzeri di lingua italiana, gli abitanti di Locarno, Bellinzona, Lugano e adiacenze, messi tutti insieme ammontano a Sto mila: circa la metà dei lavoratori italiani emigrati in Svizzera. Questa pacifica invasione non ha trascurato nessun angolo della Confederazione elvetica, ma si è diretta soprattutto verso il suo cuore* industriale, il Cantone di Zurigo, dbve gli italiani sono 84 mila, in netta prevalenza meridionali. Cè un paesino delia Sicilia, Bucheri, i cui uomini validi al lavoro, circa 800, si sono trasferiti in massa quassù. La grande ondata è durata quattro anni e sembrava che, pur con un leggero rallentamento dovesse continuare, quando nella primavera di quest'anno le autorità elvetiche, preoccupate dì und situazione che poteva modificare non soltanto alcuni aspetti ma la stessa natura del loro Paese, hanno eretto una « diga > di sbarramento. Per quanto la loro economia fosse in continua ascesa — qui non c'è stata pausa, il « miracolo > continua —, per quanto di conseguenza ci fosse ulteriore bisogno di manodopera, il governo federale dispose che nel 196S tutte le imprese svizzere di qualsiasi tipo e dimensioni avrebbero potuto aumentare le proprie maestranze soltanto del 2 per cento. Non un uomo di più. In pratica era il veto all'immigrazione, la barriera contro la « grande invasione > dal Sud; ma era, anche l'alt allo sviluppo dell'economia svizzera, la fine del « miracolo », visto che non potrebbe certo definirsi tale una espansione limitata a proporzioni tanto esigue. Gli industriali, colpiti direttamente nella loro attività e nei loro interessi, rimasero piuttoso perplessi; ma in generale l'opinione pubblica elvetica approvò il provvedi- iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiin mento. Per quanto educato, per quanto non razzista, lo svizzero medio di quella invasione appariscente e rumorosa era istintivamente portato a vedere più i lati negativi che quelli positivi. In alcuni casi, anzi, ne vedeva soltanto gli aspetti negativi. E approvò pertanto senza riserve la « diga » elevata dal governo. A ricordare agli svizzeri i giganteschi vantaggi che ciascuno di loro, senza eccezione, ritraeva dalla presenza dei lavoratori stranieri in generale e di quelli italiani in particolare, fu — contro ogni sua volontà — Albert Stocker, lo squallido profumiere che l'estate scorsa pretese di fondare un partito per « epurare > la Svizzera di tutti i lavoratori italiani. Via gli italianif Per la prima volta i bravi borghesi svizzeri — superiori a noi in «tolte cose, ricchi di cento virtù, ma non certo di quella dell'immaginazione — furono costretti a immaginare quello che sarebbe successo nel loro Paese se, di punto in bianco, i quasi seicentomila italiani fossero ritornati in patria. Solo allora si resero esattamente conto (naturalmente lo sapevano da tempo, ma il pensiero, per un naturale, umanissimo procedimento psicologico, non vi si era soffermato a sufficienza) che la presenza degli stranieri nei mestieri più umili e più gravosi — manovale, fonditore, muratore, contadino, cameriere — at'eva permesso a loro, agli svizzeri, di evitare simili fatiche, di scattare un gradinò più in su, di far rapidamente carriera, aumentando nel contempo il reddito generale. *' Solo allora si accorsero che, se gli italiani, i meridionali, fossero scomparsi, un buon numero di imprese piccole e grandi, industriali ed agricole, sarebbe stato costretto a chiudere i battenti da un giorno all'altro, proprio come succede per le feste natalizie, 'quando gli operai italiani se ne vanno a casa e la produzione svizzera si arresta per dieci giorni. Paralizzata. La risposta si è avuta alle elezioni del 27 ottobre, quando Stocker riusci a racimo¬ lare poco più di tremila voti. Meno, se non andiamo errati, di quelli che a suo tempo raccolse in Italia il « partito della bistecca >. Gaetano Tumiati

Persone citate: Albert Stocker, Bellinzona, Gaetano Tumiati, Genova Principe, Hill Illllllllllllll, Rodolfo Valentino, Stocker