Festeggiati gli alpini dell'«Exilles» che nel 1915 conquistarono il Monte Nero di Giorgio Martinat

Festeggiati gli alpini dell'«Exilles» che nel 1915 conquistarono il Monte Nero In Valle Susa con i «veci» di tutto il Piemonte Festeggiati gli alpini dell'«Exilles» che nel 1915 conquistarono il Monte Nero La cerimonia, ieri, davanti alla lapide e alla cappella che ricorda gli altri fieri battaglioni del 3° reggimento, dal «Fenestrelle» agli sciatori del « Courmayeur » - Erano presenti i generali Tua e Faldella - L'alpino Montagnino Policarpo (classe 1891, di Murisengo, decorato di medaglia di bronzo) rievoca con i compagni come fu strappata agli austriaci la martoriata vetta DAL NOSTRO INVIATO Exilles, lunedì mattina. Una brezza gagliarda ha spazzato le nubi e ora gli spalti ferrigni del forte di Exilles si stagliano contro il cielo terso. Qui, due anni fa, gli alpini in congedo hanno eretto la cappella, costruita come il forte nella pietra grigia e dura di Queste montagne, a ricordo dei Caduti della valle: le penne nere dell'i Exilles » e dei due battaglioni fratelli, il «Val Dora» e il « Monte Assietta ». Una lapide ricorda, insieme, tutti gli altri fieri battaglioni del 3° Reggimento: il < Pin^rolo », il « Fenestrelle », il « Susa », il «Val Pellice», il «Val Chisone», il «Val Cenischia», il «Monte Granerò», il «Mon- te Albergian», il <Moncenisio », i battaglioni sciatori « Courmayeur » e « Rocciamelone ». Una croce di cavaliere di Savoia, tre medaglie d'argento e due di bronzo alla bandiera del reggimento; 5 ordini militari di Savoia, ìf medaglie d'oro, 5J,5 d'argento e 1000 di bronzo ai soldati dei a, battaglioni. Ma è soprattutto all'Exilles che oggi la riunione è dedicata. Sono venuti alpini da tutto il Piemonte, la fanfara della brigata. « Taurinense » intona « Dai fidi tetti del villaggio » e il corteo si muove tra le case di Exilles, dai tetti aguzzi di pietra grigia. Un alpino in armi e uno in congedo depongono una corona d'alloro al monumento ai Caduti, la fanfara accompagna il rito con l'inno al Piave come 10 suonano le fanfare alpine, lento e solenne, cadenzato sul passo lungo dei battaglioni con la penna. C'è, irrigidito sull'attenti, il comandante della « Taurinense », gen. Felicino Tua, medaglia d'oro, e accanto a lui 11 sindaco del paese con la sciarpa tricolore. Poi, presso la chiesetta di pietra minuscola, sotto gli sproni ciclopici del forte, il cappellano dell'Exilles, don Vanni Ferraro, celebra la Messa e il vento fa schioccare il tricolore inastato, presso l'altare, si porta in cielo le parole della liturgia e le note accorate di « Stelutis alpinis » che accompagnano l'Elevazione. In prima fila, accanto ai dirigenti dell'Associazione nazionale alpini che hanno organizzato il raduno, c'è il gruppetto dei superstiti dell't Exilles » che conquistò il Monte Nero. Dopo le brevi parole del colonnello Farinacci e del generale Emilio Faldella, parliamo con il caporale Amisano Beniamino, classe 1892 di Alpignano, che porta i suoi 75 anni con la stessa fierezza con cui porta la medaglia d'argento conquistata sulla vetta, il 16 giugno 1915. Gli è accanto l'alpino Montagnino Policarpo, classe 1891, di Murisengo: ha sul petto la medaglia di bronzo. E, intorno, altri reduci del Monte Nero: Giuseppe Pedrale, di Verolengo, Umberto Viola e Giuseppe Ferino di flii.-oii, Grato Fasoglio di Aramengo d'Asti. Pietro Villata tira dal portafoglio una vecchia fotografia Il caporale Beniamino Amisano: ha partecipato alla conquista del Monte Nero ingiallita, dice: « Era il mio tenente, Vincenzo Alisio, morto sul Monte Rosso ». Con Montagnino, il caporale Amisano faceva parte della pattuglia votata alla morte che pose per prima i piedi sulla vetta, con il tenente Alberto Picco alla testa. Racconta: «Partimmo di notte, l'ordine era di camminare in silenzio, non perdere i collegamenti, guai a far rotolare un sasso soltanto ». Commenta il generale Faldella, che segue con noi il racconto: « Nessuno credeva possibile prendere il Monte Nero. Ce l'hanno fatta perché sono arrivati di sorpresa, completamente inaspettati, sulle trincee austriache ». Dice Amisano: «Camminammo tutta la notte, sul costone del Kosliak, seguendo nel buio un sentiero appena tracciato. A sinistra, avevamo la voragine. C'era nel cielo il primo annuncio dell'alba quando arrivammo addosso alla vedetta austriaca, che puntò il fucile e fulminò l'attendente di Picco, l'alpino Oggero. Gli ero dietro, lo vidi cadere riverso, feci il gesto di sostenerlo, poi non ne ebbi il tempo perché, il tenente, col suo moschetto, aveva già ucciso la sentinella e si buttava nella trincea urlando «Avanti Savoia » e bisognava andargli dietro ». Come morì il tenente Picco! «Oltre la trincea — racconta Amisano — vedemmo un gruppo di austriaci salire e venirci incontro. Il tenente mi disse: "Amisano, accendi una bomba a mano". Ne avevamo tre ciascuno, nel tascapane, bisognava accenderle con il fiammifero. Le diedi fuoco e gli dissi: " Ecco, signor tenente ". Si voltò per prenderla e cadde colpito al ventre. Già prima era stato ferito a un piede, era andato avanti come se nemmeno se ne fosse accorto ». Lo portarono al riparo, tentarono di soccorrerlo. Gli dicevano: «Non è niente, signor tenente». Picco rispose: «Sto per morire, avvertite il capitano ». Il capitano Arbarello era dietro di pochi metri, alla testa della compagnia, Amisano corse a chiamarlo. Picco ebbe il tempo di dirgli poche parole: «Capitano — riuscì ad articolare a stento — sono contento di aver fatto il mio dovere». Dice il generale. Faldella: «E' vero, furono queste le sue parole. Non è retorica ». Arbarello voleva andare avanti, s'era reso conto che il fronte era sfondato. L'ultima riserva degli austriaci, un battaglione ungherese del 20» Honved, era caduta in un agguato del « Susa », erano stati tutti presi prigionieri. Ma il generale Etna diede l'ordine di fermarsi. Racconta il generale Fal¬ della: « Più tardi, ripensando a .Quel giorno, Arbarello si mordeva le mani: " Avrei dovuto avere il coraggio di disubbidire, se fossimo andati avanti chissà dove saremmo arrivati " ». Guardiamo questi vecchi alpini dell'Exilles, che ascoltano in silenzio: sono piccoli di statura, quando vennero al mondo, su queste montagne c'erano solo fatiche e stenti, ripagati da una fetta di polenta, e i bambini crescevano gracili. Ma, a setfant'anni passati, sembrano fatti di ferro e hanno occhi chiari, limpidi, che sorridono nella rete di rughe. Giorgio Martinat