Invito alla Carnia di Paolo Monelli

Invito alla Carnia Foreste di faggi e abeti, prati verdissimi Invito alla Carnia Alcuni lettori mi hanno scritto manifestandomi il proposito di visitare la Carnia, e chiedendomi d'indicar loro un itinerario per imparare a conoscere bene quella regione, nei suoi aspetti più tipici. La Carnia è tutta interessante; comincia dove la pianura friulana si gonfia d'un tratto in colli prealpini, ed è chiusa a nord a est e ad ovest da catene di monti arditi, mossi, vari, che superano di poco i 2500 metri (la vetta più alta, il Coglians, giunge a 2782 metri) ; ma per il fenomeno, proprio di queste alpi orientali, detto dei « bassi limiti altimetrici », per cui la coltivazione arborea si arresta quattrocento cinquecento metri prima che nelle alpi occidentali e centrali, hanno solennità di alta montagna, con orride gole e creste aspre e nude che balzano su da un manto di boschi o da verdissimi pianori aprichi, ed hanno qua e là nevi perenni, e ghiacciai, e laghi, e altissimi balzi d'acqua. Ed è rtgione in un certo senso ancora da scoprire, non guastata ancora dalle attrezzature ingombranti e pacchiane del turismo di massa o dei luoghi troppo di moda; il rombo dei motori è confinato alle strade di fondo valle, appena se n'esce si trova silenzio e solitudine. Un silenzio vivo delle voci della natura, del vento, di acque correnti, di una fauna ricchissima specialmente di uccelli (le sere d'estate chi campeggia sui mille metri ode spesso venire dal bosco il grido cupo e malinconico del gioì di montagne, o gallo cedrone). Ed una solitudine animata da paesi, da villaggi frequenti, lindissimi, fioriti, ricchi ancora di case antiche di legno o di pietra con loggiati volti al sole, da chiese issate sulla cima di cucuzzoli che si vedono di lontano, dagli alpeggi punteggiati dai ricoveri per pastori ed animali che perpetuano il nome latino, stabula, stàvoli in lingua, stàlis o stàis in vernacolo. Il castello di Udine Poiché la Carnia è parte integrale del Friuli come è il Piemonte dell'Italia, il viaggio deve prendere le mosse da Udine che del Friuli è la capitale; con sosta obbligatoria nella bellissima piazza veneziana ai piedi del castello che sorge sul poggio isolato da cui è fama che Attila contemplasse l'incendio di Aquileia; castello del cinquecento celebrato nella villotta « O ce biel cis'cel a Udin — o ce biele zoventxd » (o che bel castello c'è a Udine, che bella gioventù), a cui segue pindaricamente un assioma, « a bussa fantatis bielis — no l'è fregiti di peciàt » (a baciare ragazze belle non è ombra di peccato). Da Udine in un'oretta d'automobile, per una strada lungo il Tagliamento traverso la florida pianura verso la giogaia verde e nera delle maestose montagne si arriva a Tolmezzo, capoluogo della Carnia. Ove, giunti in piazza, invece di girare a sinistra per andare a vedere davvicino il duomo settecentesco, consiglio di lasciare la macchina ed entrare a destra per una porta a vetri in un ristorante che ha in fondo il classico fogolàr friulano; con le panche tutto intorno all'ara su cui arde perpetuamente un fuoco di ceppi, sotto la cappa piramidale del camino. E far subito conoscenza con una raffinata cucina che ha tradizioni secolari, gustosa e lieve; e ove si riveli un po' compatta è buon pretesto per iniziare senza indugio l'assaggio dei vini friulani, il giallo dorato verduzzo, il giallo citrino tocài, il rosso sfavillante merlòt, il rosso rubizzo cabernet. Da Tolmezzo si dipartono quattro valli ciascuna percorsa da una comoda strada asfaltata; la valle del Tagliamento che per Ampezzo, Forni di sopra e Forni di sotto sale al passo della Mauria, donde si cala in Cadore; la valle del Degano che per Ovaro. Comeglians e Forni Avoltri sale AUs^k It dai Cimna *f ^" a Cima Sappada (Cadore); la valle della But (o Canal San Pietro, canale significa «valle» in quell'idioma) che per Zuglio, Paluzza e Timau sale al passo di Monte Croce Carnico, dal quale si scende in Austria nella valle della Drava; ed infine, retrocedendo un poco, la valle del Fella (o Canal del Ferro) che porta a Chiusaforte e a Tarvisio e di nuovo in Austria a ritrovare la bassa valle della Drava. Le valli di Tolmezzo Il Carducci che venne in Carnia nel 1885, e prese alloggio in una modesta locanda a Piano d'Arta, poco sopra Tolmezzo, accanto a Zuglio ove si vedono ancora le tracce di Forum Julium Carnicum capitale della Carnia romana — ed è considerato lo scopritore turistico della regione — così la descrive, magistralmente, in una sua lettera alla moglie : « Qui son tutte montagne, e le montagne sono tutte coperte di abeti, e anche di larici, e qua e là di castagni e di faggi: ma sul pendio e in vetta ci sono prati bellissimi, d'un verde tenero e smagliante. Tutto questo paese montuoso, che comincia dal Tagliamento e finisce con le vere Alpi, è partito in quattro piccole valli, per ognuna delle quali corre tìn torrente maestro, e in esso influiscono altri torrentelli; e tutte queste valli sono bellissime, selvose, fresche, aerate, piene di villaggi ». (Il Carducci vedeva le grandi montagne per la prima volta; e comode passeggiate per sentieri fino a un valico descrive nelle sue lettere quali vertiginose escursioni. Come turista antelettera, apparteneva alla categoria di coloro che pensano che bisogna viaggiare leggero e con scarsissimo corredo: quell'anno 1885 partì da Bologna il 30 giugno, con il proposito di tornare a casa alla fine d'agosto, con un solo paio di mutande, quelle che aveva indosso. Scrive infatti alla moglie da Desenzano, in data 13 luglio, pochi giorni prima di partire per Gemona nel Friuli: « Quando Salvatore tornato a Bologna partirà anche lui per Gemona bisogna che tu gli dia un paio di mutande, che queste che ho addosso mi si stracciano tutte...»). Quindi mettendo il quartier generale a Tolmezzo, o a Piano d'Arta, in quattro giorni, con quattro escur sioni su per le quattro valli citate, si può avere una co noscenza dei luoghi destinata a restare nella memoria, perché le distanze sono scarse, e si può fare una sosta comoda ad ogni paese che si traversa, magari fermandosi al bar di piaz za per un tajùt (che può essere un bicchierino di slivoviz, che è la graspa del luogo, o anche solo un caffè corretto) e facendo quattro passi fra le case o godendosi le mutevoli vedute. ( Un giorno di riposo a Tolmezzo permetterà una visita minuziosa, e che vale più che la lettura di una dozzina di guide, al Museo delle arti e delle tradizioni popolari della Carnia, ove si può vedere quale fosse la vita privata e familiare degli abitanti dal secolo XIII a oggi, e ammirare i prodotti d'un artigianato intel¬ ligente e pieno di gusto, mobili intagliati, cassapanche nuziali, paioli di bronzo, maschere e crocifissi di legno). I giorni restanti possono essere dedicati alle valli minori, quelle ove scorrono « i torrentelli » di cui parla il Carducci. Così risalendo la valle del Tagliamento poco dopo Ampezzo consiglio di lasciare la strada di fondo valle e dirigere arditamente l'utilitaria su per una strada erta, stretta, straordinariamente pittoresca, che va a lungo entro una fosca gola selvaggia, finché si arriva ad un amenissmo lago e al più alto comune della Carnia, Sauris, disteso in una conca romita, verdissima, ai piedi d'un monte di larghissime spalle e di roccia nuda che trascolora secondo le ore del giorno e il gioco delle nubi. Oppure, lasciando la valle del Degano poco prima di Comeglians e prendendo a sinistra per la vai Pesarina si giunge in meno di mezz'ora a Pesariis, ove una tipica casa carnica del 600 è stata adattata a comodo albergo; e si trovano esempii di case del cinquecento con loggiati di pietra sovrapposti. In questa valle c'è ancora gente che si 'dedica all'antico mestiere del boscaiolo, ingrato, pesantissimo, nel quale i progressi della tecnica non servono; nessun ritrovato potrebbe sostituire il sapìn, una specie di accetta a manico lungo con un ferro appuntito e ricurvo in cima, che serve a far scivolare il legname abbattuto giù per i pendii. /I monte Canin Oppure, partendo da Ravascletto in Valcalda, lungo una strada che congiunge la valle del Degano con quella della But, si può percorrere in una mattinata la cosidetta « panoramica delle vette » ; una strada che corre intorno a un grandioso circo di roccia, salendo fino a 2000 metri, con vedute esaltanti dominate dall'eccelso monte Coglians, bianco di splendenti calcari e di anfratti di neve eterna. Infine, lasciando a Resiutta nel Canal del Ferro la strada di Pontebba si completerà degnamente la visita prendendo a destra e risalendo la valle del tor rente Resia fino a San Giorgio e a Prato di Resia, in vista del gigantesco monte Canin striato di neve anche nel pieno dell'estate; un paesaggio vasto, sereno, con paesetti distesi su verdi terrazzi (« ce beleze di valade — cui pais pojàz sul pian », dice la villotta, che bellezza di vallata con i paesi poggiati sul piano). I resiani sono gente industriosa, vanno in giro per tutto il mondo, ombrellai, stagnai, tagliapietre, arrotini ; solidi, alti, biondi, molto belle le donne. Parlano ancora una antichissima lingua slava ; ed è tradizione fortemente radicata presso di essi che i loro vecchi siano giunti una decina di secoli fa dalla Russia: «do Za Russie l'antenàt — stabilit sot il Canin... ». A Tolmezzo, a Villa Santina, a Paularo nel canal d'Incaroio (bellissima conca dominata dalle bianche dolomiti del monte Serio, vi si giunge per una strada a mezza costa, d'una forra stretta e boscosa), in tutti gli altri borghi e luoghi nominati si trovano alberghi piccoli ma accoglienti, molto puliti con cucina curata e spesso ottima. I viaggiatori potranno fare curiose esperienze richiedendo a quegli ospitali albergatori piatti d'antica tradizione come la sope di vin o di ciavàl (zuppa di vino o di cavallo, ma il cavallo non c'entra) ; la jota, minestra senza pasta né riso, fatta di fagioli e di sceltissime verdure ed erbe aromatiche; i cjalsóns (calzoni, una specie di agnolotti ripieni di ricotta) o d'un patùm ove alla ricotta affumicata si aggiungono patate, cipolla fritta, cannella, eccetera; la] brovada (grosse rape messe a macerare nelle vinacce), e le fritae di rude (frittelle fatte con una pasta di farina, uova, latte, zucchero e foglie di ruta). Paolo Monelli