Genia e follia in J.J. Rousseau

Genia e follia in J.J. Rousseau Genia e follia in J.J. Rousseau Attorno a Rousseau le scussioni aumentano e le incertezze continuano. Quando si considerano soprattutto gli ultimi venti anni della vita del Ginevrino, presto o tardi, volenti o nolenti, ci si trova a dovere scegliere tra due opposti giudizi. Chi ripete con Voltaire che Rousseau fu « un energumeno che superò tutti i limiti della follìa ordinaria», non può trascurare le ragioni di chi ammira come, a sessantacinque anni, l'autore delle Rèveries d'un promeneur solitane conservasse « la poetica sensibilità di un bambino ». Il contrasto dura da due secoli ed è stato alimentato per ogni generazione con argomenti così convinti da non stupire che per risolverlo sia, ora, sceso in campo il dott. Jacques Borei. Esperto psichiatra, il Borei ha scritto un libro (Géme et folle de J.-f. Rousseau, Paris, Corti) per confermare la tesi secondo la quale la « follia » di Rousseau, più che sicura medicalmente, non fu tale da danneggiare l'ultima operosità dello scrittore. Per un caso più unico che raro nella storia delle lettere, il folle sospettoso sarebbe rimasto, fino alla morte, un prosatore ispirato. Indubbiamente, l'analisi del dott. Borei, condotta sul filo della rigorosa dimostrazione scientifica, offre l'attesa conferma che Rousseau fu vittima di un delirio sempre più accentuato negli anni. Il giovinetto troppo presto privato dell'affetto materno, il protetto di Madame de Warens, il catecumeno di Torino, il diplomatico di Venezia scoprì molto tardi, a trentasette anni, la sua vocazione di scrittore. Fino al 1749 è conosciuto soltanto come « Rousseau le musicien ». Poi, viene il periodo di intensa attività letteraria quando lo scrittore pubblica La nouvelle Héloise (1761), il Contrat Social (1762), VÉmile (1762). Il grande sforzo intellettuale definitivamente aggrava le tare di un temperamento che, già diffidente ed ombroso, diventa in quel giro di anni instabile e ossessionato. Dopo il 1760, il delirio ossessivo di Rousseau, convinto di essere da tutti odiato e perseguitato, si accentua e ben presto diventa cronico. Tormenti sentimentali, angoscie, parossismi, timori di morte imminente, fughe improvvise segnano ogni mese degli ultimi quindici anni della vita dello scrittore. Nel '62 abbandona sotto falso nome Parigi, quando ormai ha raggiunto la notorietà. Privo di una fissa dimora, lascia la Francia per l'Inghilterra, l'Inghilterra per la Francia, le città per le campagne, i castelli per i tuguri. Nel delirio ossessivo il pensiero dominante della persecuzione evolve secondo una sua logica ben documentata. Rousseau si convince, in primo luogo, di essere pedinato in ogni suo gesto perché giudicato una spia. Poi, il delirio assume toni melanconici, il povero scrittore si intenerisce sulla sua morte imminente e, quando VÉmile è condannato, fantastica di morire sul rogo. Gli amici non lo calmano, i nemici non lo spaventano. Convinto di essere un agnello braccato dai lupi, Rousseau si ere de, infine, un pubblico avvele natore, tenta in ogni modo di difendersi e, agli occhi degli avversari, sempre più si copre di ridicolo. La malattia raggiunge il culmine durante il soggiorno inglese. David Hume aveva persuaso l'amico a cercare pace e sicurezza nella campagna di Wootton. Rousseau si decide, ma presto immagina di essere caduto in una trappola. Non parla inglese, Thércse Le Vasseur alimenta i pettegolezzi, la solitudine diventa una prigione. Dominato dai suoi fantasmi, Rousseau lotta per la sua esistenza, insulta gli ospiti, fugge e a Dover approfitta della tempesta per nascondersi in una nave. Lo cercano, lo sbarcano, lo convincono fino a quando « le plus misérablc des hommes » calma il suo delirio arringando da un abbaino la folla incapace di comprenderlo. Finito l'esilio, i guai continuano. Nel novembre del '67. l'ospite del principe de Conti, perde l'amico più fedele, Du di-i inndo gli vita rdi, a a osti ire gumiti può mque ries onlità seper gotuora, ues Bome Pa la fol si tape un ella sofino pidel filo one fer di entto 'af di atemaolto sua ino nto n ». nsa lo elle So Il efi di dif in os osnto perprenti ssienano uinritotto oretà. lateranne, dedoone ogidi-iPeyrou, quando nel modo più goffo lo assicura di non averlo avvelenato. Nel 71, a Parigi, dopo lo scandalo delle prime letture delle Confessions, si ribella ai giudizi che corrono (« petit fourbe, petit menteur, petit escroc »), scrive un'altra sua difesa e, quando non riesce a depositarla sul'altare di Notre-Dame, omaggio fiducioso alla pubblica opinione, cade nel più pericoloso delirio. Negli ultimi anni la malattia muta direzione, le manifestazioni esteriori cessano e, in conclusione, una morte ben diagnosticata permette allo psichiatra di giustificare la sua analisi. Una fatalità biologica avrebbe costretto Rousseau a subire e ad approfondire un delirio ossessivo che, per una ventina di anni, lo costrinse a distruggere con le proprie mani tutto quello che agli occhi degli ammiratori rappresentava il valore della sua vita. Come e facile pensare, una simile conclusione non lascia del tutto soddisfatti. Ammesso he « la psicopatologia dell'insuccesso » abbia dominato la vita di Rousseau, trascurate le prove che assicurano come lo scrittore sia stat- veramente perseguitato e, in certi periodi, « braccato » come un criminale, resta pur sempre da spiegare come un simile « insuccesso » abbia fatto di Rousseau il maestro dell'autobiografia cara a Stendhal e a Gide, il rinnovatore del romanzo personale illustrato da Senancour e da Proust, l'inventore del « journal intime ». Di fronte ai limiti dell'analisi psicanalitica, più che mai la critica letteraria ha la sua parola da dire. Nel nostro caso, volendo comprendere perché negli anni dolorosi della sua vita Rousseau abbia composto le sue opere letterariamente più riuscite, non credo sufficiente osservare che la psicosi mai arrestò nello scrittore la sua capacità creativa. Il « genio » si afferma sempre per la via meno attesa, fosse pure con la maschera della follia ». Balzac si scoprì romanziere rincorrendo la ricchezza, Flaubert accese la sua fantasia con il più severo lavoro erudito, Baudelaire mise a nudo il suo cuore per farsi ascoltare da una società che lo ignorava. Anche più inattesa fu la via tracciata dal precursore di Balzac, di Flaubert, di Baudelaire. Rousseau si presentò come un esempio eccezionale dell'umana dignità proprio perché sapeva di essere giudicato un furbo, un bugiardo, un imbroglione. Ossessionato dal disprezzo dei suoi avversari lo scrittore si ammira almeno per tre volte allo specchio. Tanto non avevano osato né S. Agostino né Montaigne. Votatosi alla diffi cile impresa di conoscere se stesso per meglio farsi riconoscere, Rousseau dimostra per la prima volta nelle Confessions, nei Dialogues, nelle Rèveries che « le mot est aimable ». L'amor di sé, legato alla coscienza della propria originalità, diventa passione creatrice. Non altrimenti il prosatore fecondo vince la malattia, la domina, se ne serve e, per reazione, dalla follia trae incitamento per nobilitare una vita apparentemente mediocre. Il delirio sceglie ed esalta tutti gli elementi del ritratto e suggerisce un nuovo tipo di letterato anche troppo noto ai nostri giorni: ostinato a scrivere contro la propria scrittura, immerso nella vita letteraria colla speranza di presto rinnegarla, consapevole di tutte le sue difficoltà di comunicare con sincerità assoluta. E' questo il più attuale insegnamento di Rousseau; l'insegnamento che ancora Gide ripeteva a quanti si propongono « di mantenere il proprio cuore nella posizione esaltante dell'assoluta trasparenza ». Franco Simone I DELIRI DIVENTANO MATERIA DI POESIA

Luoghi citati: Dover, Francia, Inghilterra, Parigi, Torino, Venezia