I portoghesi restano a Macao perché così vogliono i cinesi

I portoghesi restano a Macao perché così vogliono i cinesi "PRIGIONIERI,, DI PECHINO NELLA PIÙ' ANTICA COLONIA DELL'ESTREMO ORIENTE I portoghesi restano a Macao perché così vogliono i cinesi Da 410 anni Lisbona tiene questo minuscolo possedimento: 16 kmq, 250 mila abitanti, un porto in declino, di faccia ad Hong Kong ed a 100 km da Canton - Era detto « il giardino d'Oriente », il paradiso del contrabbando e del gioco, un esempio di pacifica convivenza tra europei e asiatici - Dopo la « rivoluzione culturale » e le umilianti condizioni imposte da Mao per gli incidenti del dicembre scorso, il potere è di fatto nelle mani dei cinesi - Ma Pechino non consente l'abbandono di questa « porta di servizio » secondaria della grande Cina, utile per traffici occulti (Dal nostro inviato speciale) Macao, giugno. Tutf attorno è Cina Rossa: il mare aperto, le isole innumerevoli, l'estuario maestoso del Fiume delle Perle, l'accavallarsi infinito di colline al di là delle quali, a meno di cento chilometri, è Canton. La più. antica colonia europea in Estremo Oriente, Macao, non è che un graffio sulla carta geografica: due isolotti, la punta di una penisoletta che sembra un'appendice infiammata in una radiografia, in tutto sedici chilometri quadrati, Z50 mila abitanti. Ad arrivarci dal tumultuoso Giappone, dal campo trincerato coreano, dall'isola-fortezza di Formosa, si è presi da un senso di smarrimento, si ha la sensazione di tro- tempo e dallo spazio. Sono 1,10 anni che la bandiera rosso-verde del Portogallo ciondola immota nell'afa del Mar della Cina, e Macao sembra più che mai quella che uno scrittore lusitano definì « la terra senza tempo dove gli uomini possono vivere in pace ed i poeti sognare ». Nella microscopica colonia chiamata prima dei navigatori A Ma-kau (Baia della Dea dei Marinai), la pietra dei palazzi, il colore delle facciate, il selciato delle strade, tutta l'atmosfera sembra confermare la validità del titolo che le fu concesso dai re di Lisbona e che ancora appare su ogni documento: «Città dal nome divino non ve n'ha altra più fedele ». Siamo in un angolo di Portogallo. Dai bastioni della seicentesca fortezza di Monte, tra secolari cannoni di bronzo, vedo spiccare nell'infenso verde tropicale (« giardino d'Oriente y, altro nome di Macao) il rosso della residenza del governatore, il bianco della sede vescovile, il rosa del club militare, il giallo del faro che fu il primo ad essere costruito su queste coste, la gamma policroma delle case. In un grande parco, domina il monumento a Camoens che Qui, durante un lungo soggiorno, meditò le Lusiadi.- nel bronzo sono incisi i primi versi del poema dell'impero portoghese. Nessun colossale edificio nuovo turba questo panorama di altri tempi. Imponente e splendida è la facciata seicentesca della basilica di San Paolo, ma solo la facciata: dietro non c'è niente, dopo un incendio la chiesa non è mai stata ricostruita. Le guide non mancano di portarti a visitarla, e ci si sente inquieti, come davanti ad un qualoosa di vagamente simbolico. Fino a Qualche anno addietro, a Macao, i portoghesi erano ottomila ed i cinesi duecentomila, e fornivano insieme un raro esempio di felice convivenza favorita dalla prosperità dell'attivissimo porto franco. Ancor oggi, trovo solo gente cortese nel centro « giallo y formicolante di folla in continuo movimento, ma pulito, quasi occidentale. Un gruppo di vecchi accoccolati attorno al monumento a Camoens interrompe — rispettosamente, mi sembra — una mormorata discussione. Nel giardino, profumato di incenso, del tempio di Ma Kok Miu, una frotta di bimbi mi circonda festosa, canta qualcosa in mio onore, non mi lascia più andar via. Sono cosi belli e simpatici questi cinesini che mi dispiace di non aver niente da regalare, e mi guardo attorno cercando se c'è qualche venditore ambulante di caramelle. Alla fine, la mia guida — una ragazza portoghese, riservata e malinconica — si decide a tradurmi i canti in mio onore dei bimbi: « Straniero maledetto - te e tutti i tuoi - vi faremo presto a pezzi - noi gloriose guardie rosse v Mi rifiuto di crederci, intervengono alcuni personaggi cinesi di passaggio, ascoltano compiaciuti, traducono allo stesso modo, approvando e accarezzando i frugoletti, forse invitandoli a soprassedere momentaneamente ai loro lodevoli propositi. Per un vessillo portoghese sugli edifici di ieri, sono cento, mille drappi rossi, che svettano tutt'attorno, sulla breve linea tra penisoletta e continente, sulle isole che circondano i due isolotti della colonia, sulle giunche che muovono piano alla pesca davanti alla città. Ed oggi è una rara giornata calma: sempre più frequentemente Macao stessa av-vampa all'improvviso di rosso alle finestre o nelle strade, dove la folla è pronta a scendere compatta scandendo in altro modo slogan come quelli che ho sentito dai bambini. La situazione è irreale. Si era fatta sempre più difficile man mano che Pechino diventava più aggressiva; ma la speranza in un modus vivendi non si era mai persa. Questa « porta di servizio y (in confronto a quella principale, e vicino, di Hong Kong), col suo porto no ridotti ad un migliaio, in prevalenza funzionari: chi può, parte; chi non può, si preoccupa di mandare al sicuro in patria tutto guanto riesce a spedire. E' gente malinconica, triste, che risponde cautamente, che non nasconde il disagio nel parlare col visitatore straniero. j Non può dir niente, del resto, vive alla giornata, in attesa di una mossa di Pechino, che forse verrà domani, che forse non verrà mai. I meno pessimisti sperano. La Cina non ha interesse a chiudere questa «porta di servizio » che non è importante economicamente (il traffico marittimo è quasi ridotto a zero, manca un aeroporto qualsiasi) e che per certi passaggi (armi? oro? uomini?) le serve di più. così com'è oggi, e soprattutto Pechino non può separare il problema della piccola Macao da quello della grande Hong Kong, che sorge superba sull' estuario orientale dello stesso Fiume delle Perle, « porta principale y utilissima proprio perché in mano agli inglesi. Forse l'argomento è sensato; certo il filo della speranza è sempre più esile in questa cidade mais leal che sembra ancora e non è più « la terra senza tempo dove gli uomini possono vivere in pace ed i poeti sognare »: microscopica, infiammata appendice del tremendo, convulso corpo della sterminata CinaGiovanni Giovannini franco, era — ed è — di una certa utiiità soprattutto per l'uscita dal paese comunista di qualsiasi tipo di merci e di uomini. Il vecchio posto di frontiera aveva visto sfilare i più singolari cortei. Cacciati dalla Cina comunista che non desidera t bocche inutili y, hanno continuato per anni ad entrare centinaia di ciechi che avanzavano tastando col bastone, tenendo l'uno la mano sulle spalle dell'altro, ed ancor più numerosi oppiomani « incurabili y, larve d'uomo ridotti a trentacinque, trenta chili, che si trascinavano nella polvere, e vecchi decrepiti. Macao, ad onor del vero, ha accolto tutti, oggi ha in proporzione più ciechi che qualsiasi altro paese al mondo, ed ha in una delle due isolette un centro di dtsintossicazione degli oppiomani. Ha accolto anche altra gente che dalla Cina Rossa non usciva liberamente ma fuggiva. I soldati comunisti, che vedo fitti ed armati fino ai denti sulla breve frontiera, i posti di guardia in cemento armato che si scorgono dovunque sulle loro isole, le cannoniere dalla bandiera rossa che incrociano continuamente tra le giunche, sembrano rendere impossibile ogni fuga. Migliaia di cinesi hanno tentato lo stesso di raggiungere Macao strisciando per terra o nuotando nel mare o in ogni altro modo: migliaia sono riusciti, migliata sono morti. Pechino ha sempre protestato contro queste « mene capitalistiche », ha chiesto inutilmente la restituzione dei profughi, ha vantato a sua volta la cattura di agenti cino-nazionalisti sorpresi mentre dalla colonia tentavano di entrare nel continente. Con la «rivoluzione culturale y, la tensione si è trasformata in crisi aperta: le autorità della provincia rossa del Kuangtung (Canton) e quelle della comunità cinese di Macao hanno fatto a gara nel ridicolizzare la presenza imperialista dei portoghesi: nell'autunno scorso non c'è stata settimana senza una manifestazione di lavoratori, studenti, cittadini, con le loro brave bandiere rosse. L'incidente grosso, finalmente, è venuto fuori in dicembre: le modeste forze di polizia di Lisbona hanno perso la testa, aprendo il fuoco contro una folla di dimostranti, ammazzandone otto, ferendone una decina. In not. tata, duplice ultimatum al governatore portoghese dal governo del Kuangtung e dalla comunità cinese focale: settantadue ore di tempo per inviare delegati a Canton per presentare scuse, annunciare provvedimenti contro i colpevoli, consegnare sette agenti nazionalisti. Che farei Nell'impossibilità di resistere, Lisbona ha ceduto, ha acconsentito a tutto. Nessuno mi conferma ufficialmente, ma tutti concordano nel dirmi che, davanti a tanta umiliazione, i portoghesi hanno comunicato ai cinesi che preferisco¬ no sgombrare. Ne hanno avuto una risposta ancor più umiliante: «Niente affatto; ve ne andrete quando e come piacerà a noi, insieme agli inglesi da Hong Kong; ed intanto rigate diritti». .Mentre i cinesi sono saliti a duecentocinquantamila, gli ottomila portoghesi di qualche anno addietro si so¬ varsi d'improvviso fuori dal

Persone citate: Giovannini, Mao