«Una donna sposata» di Godard radiografia di una moglie borghese

«Una donna sposata» di Godard radiografia di una moglie borghese SULLO SCHERMO «Una donna sposata» di Godard radiografia di una moglie borghese Gli altri film in prima a Torino: «Kozara, l'ultimo comando», un episodio della Resistenza jugoslava - « Pecos è qui : prega e muori ! », è un western composito (Vittoria) — Vita difficile del cinema intelligente. Alacremente girato nel '64, quasi apposta per la Mostra di Venezia, dove manco a dhsi non ebbe nessun riconoscimento, Una donna sposata («Une lemme mariée») giunge soltanto oggi sui nostri schermi: alla vigilia della «smobilitazione» estiva e con modesto apparato. Cagione del ritardo è, al solito, lo zelo delle censure, che non hanno perso un'altra occasione per applicarsi a sproposito, combinatosi questa volta con una certa diffidenza, da parte dell'«esercizio», verso un tipo di film da esso giudicato poco redditizio. Cosi ci ha rimesso il pubblico, che pur sente tanto parlare delle « magnifiche sorti e progressive » del cinematografo e del conseguente obbligo, per lui, di affinare via via il proprio gusto. Perché Una donna sposata (l'autore dovè cedere ai censori l'articolo originario «la:») è non soltanto uno dei migliori film del francese JeanLuc Godard, ma segnando una rottura o meglio una svolta di linguaggio costituisce un ottimo test per giudicare della perspicacia dello spettatore e del suo senso della modernità. Fatto di tante « schede» riunite a caso (come piace fare a Godard, caposcuola degli « scioltisti »), contempla, non narra, il «comportamento » di una moglie borghese dei nostri giorni con l'impassibilità che un entomologo metterebbe a studiare una farfalla, o anche, in termini più divertenti, con lo stesso spirito con cui un pubblicitario illustrerebbe un elettrodomestico. Vediamo dunque Charlotte, la donna-oggetto, fare due volte il giro dell'orologio: dapprima è fra le 'braccia del suo amante, un attore, poi, con studiata simmetria e impercettibili varianti, fra quelle del marito aviatore. Frammezzo, è andata a prendere all'aeroporto il coniuge, che le ha fatto una piccola scena di gelosia senza conseguenze. Più tardi ella ritrova l'amico in un albergo di Orly; lui deve partire per una tournée in provincia; insieme ripassano la scena degli amanti della «Berenice» di Raclne. Quindi Charlotte torna a casa con una certa sospensione, consulta un medico, apprende che aspetta un bambino. Divisa tra due uomini, non sa quale sia il padre, e neanche gliene fa molto. Sceglierà poi, per intanto si richiude nello statu QUO. Studio d'insetto, volantino pubblicitario; ma anche « memoria » archeologica («Frammenti di un film girato nel 1964 » era infatti il sottotitolo): accendendosi e spegnendosi come una lanterna, la macchina da presa fruga nel caos della vita (quale appare alla «nouvelle vaglie»), facendone uscire avanzi d'una civiltà remota, astrusa, lunare, che è poi precisamente la nostra in cui viviamo. E non Inganni la frivolezza, in qualche punto civettuola, con cui è condotto lo scavo: anche qui — come in Fino all'ultimo respiro e in Questa è la mia vita— Godard si guarda bene dal costruire e dal concludere, ma sotto l'apparenza di un movimento casuale ed errabondo la materia di questo ritratto, radiografia e giornata di una donna contemporanea 6i fa sentire giudicata fino alla disperazione Si badi che' l'eroina non è una sciocca. Ha intelligenza, sensibilità, fresche aperture di memoria e di sogno (come at testa il suo monologo interi^ re), e anche ha fortissime curiosità didattiche: che cosa è un attore? che differenza passa tra il teatro e l'amore? tra il piacere e l'amore? e cosi via. Su lei il regista ha spesso fermato e spezzato il film in « capitoli » a parte, con titoli speciali; il ritratto è volutamente dissipato in trovate aneddoti, epigrammi (taluni gustosissimi), da cui sale, inavvertitamente, l'esame di una società clie ha soltanto fiducia nei fenomeni; e per Charlotte tutta la fenomenologia si ri duce al suo bel corpo, di cui ha tanta cura. Se le forbici del censore hanno lasciato qualche traccia nelle più indugiate scene erotiche, non è chi non senta, da quel che ne ri mane e dalla stessa purezza del segno, che qui la pornografia è perfettamente trascesa. Allo stesso modo 1 dialoghi che trascorrono dall'acutezza all'idiozia, trovano un loro ordine nella sociologia poetica di Godard, qui in vena come non mai. Perché quel ch'è mirabile in Una donna sposata è che da tanta sconnessione e cinismo rappresentativo esca una visione così unitaria e lucida della vita contemporanea, sentita nei suoi difetti; e più mirabile ancora, al nostro gusto, che a risultati di alienazione e incomunicabilità Godard giunga senza il minimo ricorso a un simbolismo artificioso, ma con le più semplici e persino futili immagini del vedere quotidiano Soltanto per questo Una donna sposata è un film difficile, perché ha l'apparenza di una facilità qua e là insen- sata. Ma lo spettatore che voglia mettere a prova la prò-' pria intelligenza, lo deve vedere e saper riconoscere; concludendo poi che si tratta di un film-guida e molto bello. Nella luminosa inerzia In cui il regista li ha volutamente tenuti, gl'interpreti — l'oriunda russa Macha Meril, Philippe Leroy (il marito) e Bernard Noel (l'amante) — sono eccellenti. * * (Corso) - I fasti della guerra partigiana in Jugoslavia sono rievocati in Kozara, l'ultimo comando, diretto in bianco e nero dal regista jugoslavo Velico Bulajic. Ambientato nella Bosnia del 1942, durante l'occupazione nazista, rappresenta gli eroici sforzi dei patrioti armati, ai quali si sono unite 'e popolazioni dei villaggi, atterrite dalle feroci rappresaglie tedesche, per resistere e quindi rompere l'accerchiamento delle forze nemiche, che tanto superiori di numero e di mezzi, hanno deciso di espugnare il monte Kozara, covo dei « ribelli ». Per meglio operare i partigiani si dividono in gruppi, molti dei quali pressoché votati a sicura distruzione. Ma appunto questo spirito di sacrificio, unito a una strategia geniale, fondata su attacchi di sorpresa e spostamenti assurdi, dà all'ultimo la vittoria a coloro che vedono nei greppi del monte Kozara il simbolo della loro dignità di uomini liberi. Il film, condotto con ottima tecnica, è commosso e convincente nelle scene collettive, dove il soffio epico non si tramuta mai in propaganda, e scene viste tante volte riacquistano freschezze dalla sincerità che le ispira. Cade invece nel melodrammatico quando passa a ritagliare figure e aneddoti, questi sì rigidamente «esemplari» e turgidi di un'enfasi mal misurata e addirittura leziosa. Nel coro, che è il vero protagonista con le sue vigo¬ rose maschere, si perdono gli interpreti principali, del resto bravi. I. p- (Ideal) — Barocco non solo nel titolo, Pecos è qui: prega e muori.', mescola in ingenuo disordine situazioni tipiche di una cinquantina di western. La pellicola, girata in economia (in Lazio o in Abruzzo, se non sbagliamo), annovera un tesoro azteco, sepolto nelle viscere d'un monte, il consueto pazzo che vuol conqui stare il mondo (un frenetico Emo Crisa nei panni di El Supremo), la bella figlia di un governatore rapita, un frate eremita, tre peones ladri e canterini (l'ingrediente più gustoso), le lezioni di filosofia di Pecos, il quale, più che sparare, parla in continuazione. Il film, diretto da Maurizio Lucidi, ha almeno il pregio di dimenticare la violenza so lita del genere per dare mag-\ giore spazio agli spunti comici, clie si rifanno, alla lontana, a « Brancaleone ». vice IIMlItlillMItlllllllllllIIIHIIinillllllllllTIIIIIItllllM

Luoghi citati: Abruzzo, Jugoslavia, Lazio, Orly, Torino, Venezia